Attitudine
a relazioni improntate ai valori di giustizia.
“Non
dobbiamo essere come una voragine che prende senza restituire,
ma dobbiamo restituire ciò che ci è stato dato”
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L’approccio
“olistico” è molto fecondo nella cultura civica in quanto sottolinea
l’attenzione “per l’intero” di cui la vita individuale è “parte”. Si è
detto, infatti: “c’è un codice morale iscritto nel tessuto stesso della
natura e del cosmo… qualsiasi cosa facciamo influisce in qualche modo
su ciò che ci circonda, sulla rete della vita. Nessun aspetto della vita
può essere separato dalla Comunità e dall’ambiente” (1).
L'Etica,
come afferma Morin,
è la coscienza di essere in relazione, di essere interdipendenti: rispetto
agli altri esseri umani e rispetto al mondo fisico che abitiamo; la negazione
dell'Etica è il dimenticare di essere parte dell'universo biologico. Questo
intrinseco legame tra l’individuo e l’Universo venne esplicitato da Platone
con queste parole: “anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o
uomo… ha sempre il suo intimo rapporto con il cosmo o un orientamento
a esso, anche se non sembra che tu ti accorga che ogni vita sorge per
il tutto e per la felice condizione dell’universa armonia. Non per te
infatti questa vita si svolge, ma piuttosto tu vieni generato per la vita
cosmica” (2). Osserva lo scienziato Maturana,
"niente di ciò che facciamo come esseri umani è banale, e tutto quello
che facciamo diventa una parte del mondo da noi realizzato come entità
sociali immerse nel linguaggio… la responsabilità umana nei multiversi
è totale (3).
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L’etica, in virtù di tali relazioni di interdipendenza, possiede, a ben
vedere, una base razionale e oggettiva, ottimamente illustrata dallo scienziato
E.
Laszlo secondo il quale: “possiamo discernere tra bene e male, giusto
e sbagliato. Questo perché nel modo in cui le cose sono, alberga effettivamente,
un’indicazione di come dovrebbero essere. Le cose non sono passive, inerti,
ma si evolvono e co-evolvono con le altre… possiamo dire se un’azione
merita di essere considerata bene o male in relazione al fattore che dà
energia al processo evolutivo: più esattamente, in relazione al fattore
che, se manca, lo indebolisce. Questo fattore è la coerenza. La coerenza
dà forza all’evoluzione anche nel mondo umano.
La coerenza in noi significa salute: il funzionamento ottimale del
corpo, quando un organo non è coerente con il resto funziona male, a sua
volta la coerenza intorno a noi equivale al funzionamento integrale dei
gruppi e delle organizzazioni di cui facciamo parte: famiglia, comunità,
nazione. Tutto quello che facciamo promuove o ostacola la coerenza e quindi
l’evoluzione e lo sviluppo dell’ambiente. Comportamenti caratterizzati
da equità, mutuo rispetto e solidarietà meritano di essere valorizzati
e premiati” (4), a differenza dei comportamenti antisociali e antiecologici
che meritano di essere sanzionati. La dimensione morale nella vita, afferma
Laszlo, la possiamo ritrovare, allora, nella capacità di discernere l’azione
che “promuove coerenza dentro di noi e intorno a noi”. Il bene, conseguentemente,
è costituito da intenzioni (energie del mondo interiore) e azioni (energie
del mondo fisico) costruttive in rapporto al processo evolutivo. L’idea
del “vivere coerentemente alla Natura”, adombrata nell’etica
stoica, è ben esplicitata e attualizzata nella prospettiva di Laszlo
anche sulla base delle conoscenze scientifiche dei nostri giorni.
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Anche Boff
e Hathaway sostengono che “nel quadro di una comunione sempre più
profonda con la Terra, si palesa un nuovo terreno per l'etica. Nella prospettiva
ecologica una cosa è giusta se tende a conservare l'integrità, la stabilità
e la bellezza della comunità biotica…è sbagliata se tende a qualcos'altro
(A. Leopold). Anche E.
Jantsch definisce il comportamento etico un comportamento che accresce
l'evoluzione. Parimenti, lo stesso principio cosmogonico fornisce le basi
per un'etica nel suo triplice appello a una diversità più ampia, a un'interiorità
più profonda e a un consolidamento dei legami di relazionalità” (5).
La morale,
in realtà, "non è stata inventata dagli uomini, dalla società o dalle
istituzioni religiose, essa è reale in quanto è insita nella Natura e
nell’uomo… la morale designa un insieme di leggi inscritte nell’organismo
umano, nel cuore delle cellule dei suoi organi" (6). La legge morale
universale scritta nel cuore dell’uomo è quella sorte di ‘grammatica’
che serve al mondo per affrontare la discussione circa il suo stesso futuro,
affermò Giovanni
Paolo II (7).
Ciò detto, dovremmo prendere atto che la genesi delle relazioni esterne
tra gli uomini si colloca nella sfera interiore ove si disegna ciò che,
successivamente, si manifesterà concretamente. I contenziosi e le sofferenze
per le ingiustizie germogliano nella realtà esteriore in quanto sono stati,
preliminarmente, seminati nel territorio interiore. Proprio in questo
territorio, l'approccio olistico ed etico può proiettare la sua luce.
Le ingiustizie e i conflitti si possono e si debbono curare nella società
laddove si manifestino, ma è preferibile agire al fine di prevenirne l’insorgere.
Non a caso il Preambolo alla Costituzione
dell’Unesco, firmata a Londra il 16 novembre 1945, contiene un’affermazione
profonda coerente con quanto evidenziato: “poiché le guerre nascono nello
spirito degli uomini, è nello spirito degli uomini che devono essere poste
le difese della pace”. Questo precetto riconosce, espressamente, che la
causa della pace si trova nel mondo interiore dell’uomo, cioè, secondo
il linguaggio della Costituzione citata, “nello spirito degli uomini”.
Parimenti, se vogliamo una società più equa dobbiamo partire da noi stessi,
in quanto il gesto concreto connotato da “ingiustizia” riflette una relazione
interiore ottenebrata tra la coscienza e il bene che si vuole conquistare
o difendere, a seconda dei casi.
Questo aspetto è per noi faticoso da accettare perché siamo abituati a
non prestare attenzione alla semina delle nostre forze, delle nostre energie;
questa è una fase che non percepiamo perché ci è stato insegnato che essa
è o irreale o libera da regole; siamo stati abituati a cimentarci con
i soli fatti esteriori e ora ci costa fatica preoccuparci ab initio della
semina. Effettivamente, per riappropriarci consapevolmente di questa porzione
della nostra vita, spesso istintiva, occorrono nuove energie psichiche
che dobbiamo distogliere da altre attività meno importanti, ma alle quali,
spesso, siamo molto attaccati. Alla base di questa nuova conquista occorre,
dunque, un apparente sacrificio, cioè un disinvestimento di energie da
un vecchio ambito per poter procedere ad un investimento delle stesse
energie in nuovi ambiti più costruttivi.
Le definizioni di giustizia
offerte nella storia del pensiero sono state numerose e hanno riguardato
profili molto diversi tra loro. A nostro avviso, la definizione, in questa
epoca, densa di maggiori potenzialità trasformatrici del nostro stile
di vita in direzione fraterna-empatica è quella che declina il valore
della giustizia come qualità di misura nei vari atti della vita quotidiana,
valorizzando, in tal modo, la rete della vita grazie alla quale riusciamo
a vivere e della quale dobbiamo essere consapevoli e grati.
Che la giustizia
debba essere posta in relazione alla ricerca di un equilibrio, di una
giusta misura e che in moltissime tradizioni la giustizia sia stata correlata
al simbolo della bilancia,
è notorio. Ma che la giustizia
debba palesarsi, dapprima, come una qualità dei nostri pensieri, dei nostri
sentimenti, e poi delle nostre azioni costituisce un aspetto di estrema
attualità e poco coltivato dalla cultura tradizionale molto attenta alla
mera analisi del pensiero dei singoli studiosi, piuttosto che alla sperimentazione
dei valori nella vita vissuta. Certamente anche Platone aveva già, acutamente,
affermato che la giustizia “consiste nell'adempiere i propri compiti non
esteriormente, ma interiormente, in un’azione che coinvolge veramente
la propria personalità e carattere” (8). Ma come tradurre concretamente
questa affermazione? Aïvanhov
osserva che la nostra Vita nei mondi fisici e psichici poggia su un equilibrio,
su uno scambio tra il dare e il ricevere (9). Questa condivisibile e pacifica
affermazione, risulta cruciale in tema di giustizia in quanto ci pone
alcuni interrogativi: cosa scambiamo come esseri umani, cioè cosa riceviamo
e doniamo? Cosa dobbiamo porre, concretamente, sui due piatti della bilancia
al fine di rispettare il tendenziale equilibrio richiamato dalla giustizia?
La risposta potrebbe essere semplice: la nostra vita, ci ricorda Aïvanhov,
è possibile grazie alle molteplici risorse (aria, luce solare, acqua,
calore, corpo fisico...) prodotte e fornite dalla Natura, dai genitori,
cioè da tanti organismi viventi. Ma anche le società e i Paesi nei quali
viviamo offrono risorse importanti ottenute con il lavoro, con il sacrificio
di chi ci ha preceduto. Tanti esseri hanno lavorato per permettere la
nostra vita sulla Terra. Noi, a nostra volta, dobbiamo dare qualcosa ai
soggetti dai quali abbiamo preso e dovremmo pensare ad agire per il meglio
anche per le future generazioni. Infatti, come ha detto Hans
Jonas, dovremmo avere una coscienza con il teleobiettivo, cioè che
veda in alto e lontano nello spazio e nel tempo.
Sui piatti del dare e del ricevere dovremmo considerare tutte le energie
della nostra vita, comprese quelle che sgorgano dai nostri cuori e dalle
nostri menti (affetto, stima, sostegno morale, gratitudine,etc.). L’equilibrio
tra dare e avere riguarda, quindi, anche le energie psichiche che sono
energie reali in Natura e del cui corretto uso siamo responsabili.
La giustizia è, dunque, una qualità di misura delle risorse che prendiamo,
assorbiamo e di quelle che doniamo. Essa, in termini concreti, ci avverte:
esaminate con molta sincerità, come vi comportate “con i vostri genitori,
i vostri figli, i vostri amici, con la società, con la natura e infine
con Dio. Scoprirete che avete preso una quantità di cose alle creature
visibili e invisibili, senza preoccuparvi minimamente di restituire. Avete,
dunque, dei debiti” (10). In questo senso, l'affermazione dei filosofi
antichi, "iustitia est ad alterum" cioè la giustizia riguarda
il mio rapporto con l'altro, è condivisibile, se per "altro"
non intendiamo, esclusivamente, le persone che incontriamo nel corso della
vita e se con la parola “rapporto” ricomprendiamo l’uomo nella sua interezza
(pensieri, sentimenti e azioni).
Ad esempio, dovremmo avere un’attitudine di rispetto nei confronti delle
risorse che la Natura elabora per noi, nei confronti delle nostre cellule
che hanno una loro vita e che lavorano con compiti diversi e in funzione
cooperativa, sempre, per Noi.
Attualmente, questa sensibilità è sviluppata relativamente alle relazioni
genitori - figli. In questo ambito si ritiene ingrato il figlio che non
ha rispetto e riconoscenza per i sacrifici dei genitori. L’esempio del
figlio ingrato rispetto ai sacrifici dei genitori tocca sempre le nostre
coscienze. Ma forse anche noi adulti riceviamo ed usiamo tante risorse
sulla cui origine non ci poniamo molti interrogativi. Proprio come quei
figli ingrati, ci rifiutiamo di considerare che le risorse che impieghiamo
sono limitate, dimensionate, nonché ottenute con il lavoro e il sacrificio
di altri esseri.
Ad esempio, potremmo riflettere sul fatto che quando prendiamo, in modo
egocentrico, cioè senza gratitudine e senza contraccambiare, gli affetti
e la stima, noi stiamo, forse, depredando le risorse altrui. In effetti,
è agevole teorizzare una umanità più giusta o riflettere sull’idea di
giustizia, difficile è, invece, per noi agire sui nostri molteplici attaccamenti
e ammettere che anche questi si collocano, a pieno titolo, nella filiera
delle ingiustizie che solo teoricamente non vorremmo vedere nel mondo,
soprattutto, quando noi ne siamo i destinatari.
Cercare la giustizia in modo autentico allora vuole dire iniziare ad agire
sulle nostre tendenze egocentriche, per non essere noi stessi un piccolo
tassello delle ingiustizie che operano nel mondo. Occorre aumentare lo
spettro della nostra sensibilità e coscienza in tutti i campi della vita,
al fine di mettere in circolo una nuova qualità di energie e “tradurre
in pratica l’invito del Poeta: “Non dobbiamo essere come una voragine
che prende senza restituire, ma dobbiamo restituire ciò che ci è stato
dato” (Dante,
La Monarchia)”(11).
Il valore di giustizia, pur illuminando le nostre condotte, pur esprimendo
un valore sociale necessario, non esprime il comportamento civico più
elevato, nel senso che prendere coscienza di quanto abbiamo ricevuto per
essere presenti sulla Terra ed essere riconoscenti di tutto ciò, è il
primo gradino di un percorso evolutivo. Non è sufficiente essere giusti,
in quanto dobbiamo anche essere capaci di saper dare, prescindendo da
quanto abbiamo ricevuto o da quanto riceveremo. Se fossimo ancorati alla
sola giustizia non potremmo mai essere generosi. La giustizia è la base
che ci permette di accedere a un valore superiore, quello dell’azione
disinteressata (modulo V) la
quale, lungi dal depauperare, genera un legittimo movimento armonioso,
favorevole anche per colui che lo ha avviato (12).
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Se la giustizia viene, invece, a essere separata dalla cooperazione fraterna
“può condurre alla negazione, all’annientamento di se stessa […]. È stata
appunto l’esperienza storica che, fra l’altro, ha portato a formulare
l’asserzione: summum
ius, summa iniuria. Tale affermazione non svaluta la giustizia e non
attenua il significato dell’ordine che su di essa si instaura; ma indica
solamente, sotto altro aspetto, la necessità di attingere alle forze dello
spirito, ancor più profonde, che condizionano l’ordine stesso della giustizia”
(13).

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1.
W. Bloom, Guarire il mondo con l'anima, Macro edizioni, 2008, p. 146.
2. Platone, Le Leggi X, 903 c.
3. H. Maturana, Autocoscienza e realtà, Cortina Editore, 1993, pp. 125-126.
4. E. Lazslo, Risacralizzare il Cosmo, Urra edizioni, p.73.
5. L. Boff - M. Hathaway, op. cit., p. 506.
6. O.M. Aïvanhov, Le leggi della Morale cosmica, 2000, Prosveta.
7. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Vaticano, 1995, p. 732.
8. Platone, Repubblica IV, 443 c.
9. Cfr., ad esempio, O.M. Aïvanhov, La Bilancia cosmica cit.
10. Ivi, p. 198.
11. S. Zamagni, Relazione Annuale sul terzo settore cit.
12. O.M. Aïvanhov, La Bilancia cosmica cit., p. 198.
13. Giovanni Paolo II, Enciclica, Dives in Misericordia, 30 novembre 1980,
n. 12.
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“C’è
una rete della vita che unisce la vita interiore, la vita biologica,
la vita sociale, la vita culturale…Questa trama invisibile va
studiata, compresa e amata”
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“Se
l’ideale è come una mappa… l’ideale del perfezionamento individuale
nella prospettiva della fraternità universale esprime la mappa
più estesa, più ricca di percorsi cioè di potenzialità cognitive
ed emotive”
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“Il
dipanarsi della vita è oggettivamente condizionato dalle intenzioni,
cioè dalle finalità che ciascuno si autoprefigge in quanto queste
ultime dànno senso alla nostra interpretazione del mondo, al nostro
ruolo nel mondo”
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Gli
esseri umani sono predisposti a essere empatici, a identificare
quello che provano gli altri, a condividere i loro sentimenti
con un’emozione corrispondente, ad accogliere le loro gioie e
i loro dolori
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Se
non ci disperdiamo in attività che ci indeboliscono, scopriamo
che è proprio nelle azioni più semplici e più quotidiane che la
vita ha nascosto i suoi veri tesori. Respirare, nutrirsi, camminare,
aprire gli occhi sulla natura, amare, pensare... Ecco i veri doni
della vita”
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"L’organismo
fisico che vive bene, in armonia… favorisce i processi cognitivi
e agevola la generazione in noi di immagini mentali altamente
benefiche le quali agiscono a loro volta favorevolmente sui nostri
comportamenti”
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“Ogni
vita richiede una scienza: la vita della pianta che vuoi coltivare...
la tua stessa vita che devi sviluppare. Per vivere, bisogna saper
vivere”
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“Una
comunità che non sa esprimere e valorizzare le attitudini cooperative
è più povera di capitale sociale e civile e avrà maggiori difficoltà
ad attivare circoli virtuosi di sviluppo”
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“Il
lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti
tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che
non serva e non giovi a un nobile scopo”
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“Non
si tratta soltanto di adottare stili di vita improntati alla sobrietà
ma di aprire la nostra coscienza, nel quotidiano, agli interessi
sensibili della Rete della Vita… dalla crescita quantitativa dobbiamo
arrivare alla crescita qualitativa”
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“Non
possiamo essere affidabili verso la collettività se siamo schiavi
di debolezze a causa delle quali l’interesse collettivo è potenzialmente
subordinato a quello personale”
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“Dobbiamo
proteggere le risorse naturali, la sacralità della Natura, ma
occorre proteggere anche la sacralità della vita interiore. In
entrambi i casi, abbiamo risorse da rispettare”
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“Quanto
più espandiamo il senso della nostra appartenenza, tanto più aumentiamo
la mappatura del mondo su di noi, e quindi le nostre capacità
intellettive ed emotive”
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La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre
scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza
aperta agli interessi della collettività. |
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Linee
di sviluppo di nuove attitudini concrete, espressive dei valori
di cooperazione, empatia... |
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