Modulo 11. Occorre superare il distacco tra cultura e modo di vivere: la cultura deve supportare non solo la speculazione intellettuale sul valore ma la ricerca della realizzazione del valore...

 

 

 

 

1. Superare il distacco tra cultura e modo di vivere: la cultura, da attività intellettuale sul valore ad attività realizzatrice del valore
2. I luoghi di tirocinio delle attitudini cooperative ed empatiche

1. Superare il distacco tra cultura e modo di vivere: la cultura, da attività intellettuale sul valore ad attività realizzatrice del valore.

“La filosofia antica recava l’invito per ogni uomo a trasformare se stesso, era conversione, trasformazione della maniera di essere e del modo di vivere”

 

I valori più elevati sono spesso incarnati nella società da persone straordinarie e noi ci siamo abituati a questo modello di “straordinarietà”, che è implicitamente rinunciatario per molti di noi. Ma oggi, poche individualità non bastano. La strada per incarnare i valori desiderati dovrebbe diventare una via praticabile per tutti coloro che ritengano di voler essere meno predatori e più cooperatori, nella vita affettiva, nel lavoro, nell’impiego delle risorse della Rete della vita. Un percorso di vita evoluto dovrebbe essere oggettivato, reso comprensibile e praticabile, rifuggendo da metodi brevettati, da nuovi business, da dipendenze dogmatiche e umane e da garanzie temporali di risultati: dovrebbe essere un fisiologico impegno di una vita, come lo è, ad esempio, il nutrirsi. La cultura dovrebbe trasformarsi da mera speculazione intellettuale sul valore, a cultura della realizzazione del valore.
Dovremmo superare la lettura intellettualistica della vita, cui abbiamo già accennato, che ha portato avanti il convincimento della irrilevanza oggettiva della vita interiore, la banalizzazione della coerenza tra vita interiore e vita esteriore e l’irrilevanza degli atti della vita quotidiana. Una lettura intellettualistica, spesso, tesa a coprire la pratica delle morali multiple. In pubblico esterno valori socialmente condivisi, in privato perseguo solo le mie ambizioni e mi costruisco un contesto idoneo ai miei obiettivi predatori da realizzare nella realtà sociale. Non a caso, i vantaggi della vita sociale sono ancorati alle sole abilità intellettuali e non alla moralità o all’autenticità.
Peraltro, l’insegnamento dei valori umani, osserva Ricard, “viene generalmente considerato pertinenza della religione o della famiglia. La spiritualità e la vita contemplativa vengono ridotte a delle specie di vitamine dell’anima. Le conoscenze filosofiche, se acquisite, sono spesso avulse dalla pratica, e ognuno deve trovare da solo le proprie regole di vita. In questo momento, in cui si dispone della pseudolibertà di fare quello che si vuole, senza però aver punti di riferimento certi, ci si ritrova smarriti. Le considerazioni astratte e molto spesso incomprensibili della filosofia contemporanea e lo stile di vita frenetico, con l’imperativo del divertimento a ogni costo, lasciano poco spazio alla ricerca di una fonte d’ispirazione autentica che dia una direzione alla nostra vita. Come dice il Dalai Lama: “Si vorrebbe che la spiritualità fosse facile, rapida e a buon mercato”. Vale a dire inesistente” (1).
Il distacco tra cultura e modo di essere e di vivere, indagato ottimamente da Hadot nel campo della storia della filosofia, deve essere, come sostengono in molti, necessariamente ricucito. Hadot ci ricorda che la “filosofia antica recava l’invito per ogni uomo a trasformare se stesso, era conversione, trasformazione della maniera di essere e del modo di vivere” (2). Solo a partire dalla fine del secolo XVIII, rileva Hadot, la nuova filosofia fa il suo ingresso nell'università e perde il connotato di modo di vivere, di stile di vita: infatti, “la filosofia moderna è anzitutto un discorso che si svolge nelle lezioni, che si affida a libri, a un testo di cui si può fare l'esegesi […]. La filosofia antica propone all'uomo un'arte della vita, mentre al contrario la filosofia moderna si presenta anzitutto come la costruzione di un linguaggio tecnico riservato a specialisti” (3).
Come è stato osservato recentemente, “nella nostra cultura il filosofo inteso come “maestro di vita" o “sapiente" è una figura praticamente scomparsa […] saremmo tentati di affermare che la nostra società è priva di filosofi. Eppure la nostra cultura è piena di "professionisti" di questa disciplina […]. Però sta di fatto che i "filosofi" mancano; anzi, manca anche solo la pretesa di essere filosofi. E c'è di più. Tale mancanza è ben lungi dall'essere avvertita come un difetto […] questa situazione dipende in gran parte dal fatto che nella nostra civiltà ha prevalso una particolare concezione della saggezza e della sapienza, quella che, per dirla in maniera ultraschematica, fa coincidere la sapienza con il sapere razionale, cioè "logico", e più propriamente con quello epistemico" (4). Ma ciò che riguarda la filosofia, a ben vedere, può essere esteso a tutte le manifestazioni culturali.

Ravasi ha ben messo in evidenza che la parola “sapienza” non può essere identificata con il vocabolo “intelligenza”. La sapienza è invece qualcosa di più e di oltre […] deriva dal latino sàpere e questo vocabolo in latino ha come primo significato non il sapere che sconfina con l’intelligenza, ma l’avere sapore, l’avere gusto […]. Ed è per questo che la sapienza ha bisogno certo anche di un pizzico di intelligenza, ma ha bisogno soprattutto di una grande carica di umanità, di una grande capacità di dare senso, sapore all’esistenza. Un genio come è stato Leonardo da Vinci diceva: “L’intelligenza senza la sapienza è come un naviglio, una nave senza bussola e senza timone può procedere, ma procede senza un approdo, senza una meta”. Ed è un po’ questo, io penso, il grande grido della società contemporanea che non trova più uomini sapienti, che non incontra più persone che sanno indicare la strada giusta […] per essere sapienti non basta la scatola cranica, non bastano i neuroni nel cervello, è necessario tutto l’essere della persona […] la sapienza è coinvolgimento dell’aspetto intellettivo, affettivo, volitivo dell’essere umano” (5).


Il sapere intellettuale da solo non trasforma la nostra esistenza (6). Non si può essere fraterni nelle idee, nei sermoni e nelle affermazioni verbali e predatore quando si mangia, quando si ama o quando si lavora. Siamo obbligati, se vogliamo avanzare, a sincronizzare pensieri, sentimenti e atti, cioè a far convergere tutto il nostro essere sui nostri ideali. Per insegnare la fraternità, osserva Baggio, “bisogna viverla, perché solo vivendola la si comprende” (7).
Se venissero recepiti nella nostra società concetti così pacifici, supportati oggi anche dalla scienza, potremmo assistere al repentino cambiamento del sistema formativo.


Infatti, un sistema formativo, ricorda Morin, privo di anima offre solo una frammentazione del sapere e non insegna a vivere: l’Emile di Rousseau dice, invece, «voglio imparare a vivere» (8).
La cultura, quella vera, scrive Roszach, “è il collante che tiene unita la comunità e la fa durare nel corso delle generazioni, più ancora del potere economico e politico. La cultura costituisce l’anima, la forza vitale di una comunità: è l’espressione collettiva di valori, arte, spiritualità […] parlo qui della cultura come stile di vita, distinta dalla cultura come attività intellettuale” 9. Nelle nostre comunità, tutti lo possiamo constatare, rischiamo di perdere proprio questa cultura, questo collante naturale e sociale.
L’istruzione attuale prende in considerazione solo la sfera logica in vista di reperire occupazioni nel mercato, la “cultura della realizzazione” prende in considerazione anche la sfera del sentimento e della volontà in vista del Lavoro nella Vita. L’istruzione ufficiale “incoraggia i giovani soprattutto a competere e non a sentirsi parte della grande comunità vivente” (10). L’istruzione dovrebbe, invece, offrire una comprensione più completa e profonda di ciò che è costruttivo per l’individuo e per la sostenibilità collettiva, anche perché come esseri umani “siamo automaticamente motivati a fare ciò che crediamo sia bene per noi [...] non possiamo pensare che la motivazione verso il cambiamento possa sorgere, fissando vincoli o promettendo incentivi” (11).
La conquista dei valori di fraternità, bisogna evidenziarlo, è una immensa rivoluzione culturale da perseguire lungo tutta la vita, ”richiede una riforma radicale della nostra psiche individuale e collettiva mediante auto e co-formazione, e nuove capacità psicosociali ed etiche […] è una sfida che dobbiamo affrontare per diventare uomini migliori” (12).
Spesso invitiamo gli altri e noi stessi a portare nella vita sociale buoni frutti (cioè comportamenti cooperativi ed empatici) però, malgrado i moniti, nulla accade in quanto non sappiamo che dobbiamo piantare il seme appropriato e farlo crescere. Anche gli inviti che riceviamo alla compassione e all’empatia in realtà ci chiedono una semina preventiva in quanto sono esiti di processi interiori, per taluni più immediati ma per altri più difficili. L’attesa dei buoni frutti sembra essere destinata a essere vana, se non c’è una semina negli atti della vita quotidiana. La cultura dovrebbe occuparsi di questi aspetti molto trascurati anche perché se la nostra mente è incarnata e riflette tutto l’organismo, anche i valori della cultura debbono essere vissuti dal nostro organismo, se vogliamo una vita coerente e più sana.
Per questo vi è il bisogno di una cultura che aiuti a vivere la sacralità dell’esistenza già nei piccoli atti quotidiani in quanto solo così si può costruire gradualmente e radicare una nuova coscienza. Come un tavolo si regge sui piedi, così la coscienza si regge sugli atti quotidiani.
Le prigioni, gli ospedali e i luoghi di sofferenza non si riducono con le leggi o con i programmi politici, ma con una nuova impostazione pedagogica della nostra esistenza. Il ruolo della scuola e del mondo accademico potrebbe essere straordinariamente utile in questo processo di cambiamento.
Le riflessioni fin qui svolte inducono a condividere l’idea che la situazione attuale in cui viviamo esige una cultura che non sia materialistica e che non sia nemmeno indirizzata alla ricerca di valori esclusivamente interiori di tipo individualistico ma di una cultura che coordini il perfezionamento individuale con lo sviluppo della collettività (13). In tutti gli scambi sui quali poggia la nostra vita, implicanti affetti, risorse umane e naturali, siamo chiamati a comportamenti “evoluti”.
Vi è il bisogno di una cultura che contempli l’uomo nella sua totalità e superi il dualismo corpo e mente. Una cultura sperimentabile, finalizzata a vivere le qualità mediante il recupero del valore del cuore nei processi cognitivi e comportamentali al fine di ricercare l’autenticità nella nostra vita. Una cultura vasta in quanto deve prendere in considerazione tutta l’area dei bisogni fondamentali dell’essere umano. Una cultura che valorizzi la creatività di ognuno, posto che tutti, nessuno escluso, possono collaborare e migliorare la qualità della Rete della Vita. Se accettiamo l’idea (anche se, evidentemente, è una esemplificazione) che l’Occidente ha insegnato l’importanza della materia e l’Oriente l’importanza dello Spirito e delle attività interiori, dobbiamo convenire che abbiamo bisogno di entrambe le sensibilità nel quadro di una riconciliazione tra spirito e materia, senza interferire sulle appartenenze religiose. Le manchevolezze dell’Oriente e dell’Occidente sono evidenti a tutti. Ma entrambi hanno fatto un percorso di strada importante.
Non mancano i contributi di pensiero idonei a supportare questo percorso di crescita, alcuni dei quali sono citati in questo testo. Sono numerosi gli apporti costruttivi presenti in molte aree disciplinari. Abbiamo la possibilità, scrivono anche Boff-Hathaway, “di optare per un nuovo modo di vivere sul pianeta, un nuovo modo di vivere tra di noi e con le altre creature del mondo. Numerose sono le fonti di ispirazione […]. Alcune di esse sono antiche e provengono dalle diverse tradizioni culturali e spirituali presenti nel mondo. Altre stanno nascendo adesso da ambiti come l'ecologia profonda […] la nuova cosmologia che si fa strada a partire dalla scienza. Una nuova visione della realtà, un nuovo modo di essere nel mondo stanno diventando possibili” (14).
In questo contesto, ad esempio, il sistema filosofico e pedagogico di Aïvanhov, offre certamente concrete opportunità, in termini di metodi e argomentazioni, per impostare un cambiamento di prospettiva, in sede di revisione e risacralizzazione della nostra vita quotidiana, al fine di favorire la costruzione di una coscienza di fraternità.

2. I luoghi di tirocinio delle attitudini cooperative, empatiche e fraterne.

 

 

Se accettiamo di correggere simbolicamente i nostri problemi di vista, dobbiamo ridare al cuore il ruolo che gli compete per riequilibrare, innanzitutto, i processi cognitivi e comportamentali. Se decidiamo di sperimentare la sacralità della vita quotidiana, dobbiamo dare spazio alle istanze della nostra natura cooperativa. In entrambi i casi, appare molto importante potersi confrontare con possibili esempi concreti che possano aiutarci nella cura di noi stessi.
In effetti, occorrono luoghi tendenzialmente esemplari ove si possa sperimentare questo tirocinio e praticare l’arte della cooperazione fraterna nel vivere quotidiano. Evidentemente, gli esempi possono anche non essere perfetti ma questa è una ragione di più per dare il proprio contributo al miglioramento del luogo nel quale si vive.


La fraternità “come afferma Martin Luther King, si apprende. Per questo nell’apprendimento della nostra umanità, l’educazione deve trovare il suo ruolo fondativo“ (15).


Occorrono luoghi caratterizzati non dall’erogazione di corsi teorici in quanto a ciò provvede già l’istruzione, ma dalla pratica della parte altruistica ed empatica. Occorrono luoghi (non sostitutivi della società, della famiglia e della scuola), nei quali praticare l’etica nel pensare, nel modo di nutrirsi, nel relazionarsi concretamente con gli altri; cioè luoghi di sviluppo della reciprocità ove il sapere (umanistico e scientifico), evidentemente necessario, è selezionato ed estratto in funzione del miglioramento contestuale della vita vissuta; luoghi che esprimano concretamente un nuovo significato degli atti della nostra vita quotidiana, affinché questi possano essere vissuti consapevolmente (16). Peraltro questa appare essere la strada maestra per apportare cambiamenti valoriali nelle organizzazioni umane in generale, comprese quelle aziendali: “Un messaggio sarà raccolto non solo perché ha una certa intensità o frequenza, ma perché per loro è pieno di significato. Le organizzazioni umane non possono essere controllate con interventi diretti, ma possono essere influenzate dando loro stimoli invece che istruzioni […]. Lavorare con i processi intrinseci ai sistemi viventi significa che non abbiamo bisogno di spendere un sacco di energia per cambiare un'organizzazione. Per ottenere un cambiamento non c'è bisogno di spingere, tirare o costringere. Il punto non è la forza, o l'energia, ma il significato […] offrire stimoli” (17).


I nuovi valori potrebbero essere anche innervati nella organizzazione dei pubblici poteri, introducendo figure dedicate in tema di cooperazione ed empatia, per superare le rigidità dei moduli giuridici dell’azione amministrativa. Non a caso le continue riforme della semplificazione amministrativa sortiscono esiti sempre scarsi e incerti. Anche in questo caso il cambiamento non potrà avvenire con le circolari ma con una nuova consapevolezza del potere: occorre passare da “dominio e controllo a cooperazione e collaborazione. Questa anche è un'implicazione fondamentale per una nuova comprensione della vita […] i biologi e gli ecologisti sono giunti a realizzare che in natura la maggior parte delle relazioni tra gli organismi sono essenzialmente di tipo cooperativo. La tendenza ad associarsi, stabilire legami, cooperare e mantenere relazioni simbiotiche è uno dei tratti distintivi della vita […] il passaggio dal dominio alla collaborazione corrisponde a passare dal potere coercitivo, che minaccia di imporre delle sanzioni per ottenere l'adesione alle regole, e dal potere compensativo, che offre incentivi economici e ricompense, a un potere condizionato, che cerca di dare istruzioni significative mediante la persuasione e l'educazione” (18).


I nuovi valori potrebbero essere anche innervati nelle scuole introducendo, ad esempio, una materia concernente la cooperazione fraterna. La fraternità, come ha rilevato Mattei, “non è né spontanea né immediata […] la fraternità invece va appresa attraverso l’educazione e la formazione; ed è proprio quello che dicevano anche i redattori della Dichiarazione Universale nel preambolo al loro testo […]. La fraternità è oggetto di un apprendimento non solo lungo la vita scolastica ma lungo tutta la vita. Nelle scuole, ad esempio, si potrebbe cominciare con l’insegnare ai bambini ed ai ragazzi come cooperare, come aiutarsi a vicenda, come imparare con gli altri e grazie agli altri invece che contro gli altri o giustapposti ad essi […] come purtroppo accade non di rado nelle scuole delle nostre democrazie liberali nelle quali si impone la libertà del più forte nel quadro di una gara spesso precoce e feroce. Se la fraternità come categoria politica avrà delle probabilità di avverarsi un giorno, si avverrà solo se la base della società civile, cioè gli uomini, i cittadini decideranno di addossarsi l’onere di relazioni fondate su delle pratiche sociali economiche e culturali fraterne” (19).
Anche Aïvanhov ha formulato in modo articolato e approfondito questa necessità formativa ed ha auspicato luoghi di tirocinio di fraternità, dove apprendere concretamente a vivere fraternamente e a sviluppare, soprattutto, la coscienza fraterna, condividendo alcuni momenti significativi della vita quotidiana, per vincere la tendenza ad isolarsi e persino ad essere ostili gli uni agli altri (20).


Anche il filosofo Alasdair MacIntyre ha colto questa bisogno formativo e ha proposto comunità vere e proprie al cui interno la civiltà e la vita morale possano essere protette e coltivate per far fronte alla crisi valoriale che attanaglia la società: “siamo in un punto di svolta decisivo, simile a quello vissuto fine dell’impero romano quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l’imperium romano e smisero di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con la conservazione di tale imperium. Il compito che invece si prefissero (spesso senza rendersi conto pienamente di ciò che stavano facendo) fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale poteva essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale avessero la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e di oscurità. Se la mia interpretazione della nostra situazione morale è esatta, dovremmo concludere che da qualche tempo anche noi abbiamo raggiunto questo punto di svolta” (21).


Anche Olivetti aveva colto questa necessità formativa ma riteneva che fosse possibile realizzarla direttamente nella società, precisamente, nella sua cellula base cioè nella comunità locale concreta, quale spazio indispensabile per sviluppare la vita associata in fraternità (22). Nella stessa prospettiva sociale, Boff propone il “bioregionalismo cioè “società fondate su piccole comunità locali legate tra loro da una rete di relazioni basate sull’uguaglianza, la condivisione e l’equilibrio ecologico […] comunità che si sostengono e si rigenerano da sole […] l’estensione di tali comunità dovrebbe corrispondere alle bioregioni naturali fondate sull’ecologia, la storia naturale e la cultura di una area specifica e dovrebbero rispecchiare i valori dell’autonomia e dell’armonia con la natura” (23).


Al di là delle singole proposte, vi è comunque una condivisione generale sul fatto che la “conoscenza di sé” raramente emerge nell’isolamento. I momenti di vita comunitaria sono essenziali per conoscere meglio noi stessi, grazie al processo interattivo di identificazione con coloro che, condividendo gli stessi ideali, partecipano alla vita comunitaria (24).


Per superare “l’impotenza interiorizzata” che ci attanaglia cioè la difficoltà ad apportare trasformazioni interiori, è necessario recuperare il valore della comunità grazie al quale possiamo vincere l’isolamento e sviluppare compassione, solidarietà e forza interiore: “non possiamo sperare di trasformare il nostro modo di essere umani nel mondo senza il sostegno e lo stimolo di altre persone che condividono lo stesso percorso […] deve essere la comunità il contesto all’interno del quale cerchiamo di guarire e stimolarci l’un l’altro ad acquisire nuovi modi di essere” (25).
Si è anche aggiunto che le comunità in questione dovrebbero fondarsi, beninteso, non su relazioni oppressive, né su diversi gradi di potere e rispetto, ma sulla reciprocità e sul comune impegno alla crescita e all’azione trasformatrice (26). A queste condizioni, le comunità possono favorire l’empowerment e la liberazione della forza interiore attualmente dormiente (27).
L'empowerment “si contrappone ad ogni intervento educativo che crei dipendenza e sudditanza nelle persone o nei gruppi cui si rivolge. Si contrappone all'assistenzialismo e a progetti che non si propongano strutturalmente di contribuire alla costruzione di individui capaci di autonomia e identità autosussistenti. Oggi più che mai lavorare per una nuova cittadinanza attiva significa operare per l’effettivo e critico empowerment di tutti i cittadini” (28).


Le soluzioni formative esperibili sono, dunque, in effetti numerose. Le neuroscienze ci dicono che siamo attrezzati a livello genetico per comprendere, immedesimarci e cooperare con gli altri. La scienza ci dice anche che proviamo benessere quando nutriamo relazioni altruistiche. Le nuove tecnologie ci dicono che è agevole, materialmente parlando, incontrare e comunicare con gli altri esseri umani da un capo all’altro della Terra. A questo punto occorre il nostro impegno per sviluppare contenuti autentici e pacifici, dando vita, ove possibile, a luoghi di apprendimento dei valori in esame.

 


 


1. M. Ricard, Il gusto di essere felici cit.
2. P. Hadot, op. cit., p. 167.
3. Ivi, p. 164.
4. R. Màdera, L. Tarca, La filosofia come stile di vita: introduzione alle pratiche filosofiche, Mondadori, 2003, p.111 e segg.
5. G. Ravasi, Intervento a San Giovanni in Laterano cit.
6. “Anche se è indispensabile che i bambini e gli adolescenti vadano a scuola e ottengano un titolo di studio, si è obbligati a constatare che la formazione del carattere è più importante dello sviluppo dell’intelletto […]. Una cosa è l’istruzione, altra cosa l’educazione. Più che di professori eruditi, i giovani hanno bisogno di istruttori che rivelino loro cos’è la vita e come devono viverla affinché le forze, le qualità e i doni che essi possiedono possano manifestarsi in pienezza. Finché non si porrà l'accento sulla formazione del carattere, ma solo sullo sviluppo dell’intelletto, le conoscenze impartite ai giovani nelle scuole e nelle università non serviranno che al loro successo personale e a quel successo essi giungeranno spesso a spese degli altri. Si insegni loro a lavorare anche sul proprio carattere, a non cercare di utilizzare quel sapere solo a proprio vantaggio, e si vedranno sorgere degli esseri in grado di far evolvere una società intera” O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 10 aprile 2014, Prosveta.
7. A.M. Baggio, La sfida della fraternità cit.
8.Citato da Lilli, A scuola senza amore, Repubblica, 4 aprile 2007.
9. Citato da L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 606.
10. Secondo Boff - Hathaway, “se è vero che i sistemi educativi tendono a scoraggiare le dipendenze dalle sostanze nocive, però tendono ad alimentare l’ossessione sociale per il consumo illimitato incoraggiando i ragazzi a lottare per un lavoro ben retribuito che garantisca il benessere materiale”, ivi, pp. 182-185.
11. S. Zamagni, Gratuità e agire economico: il senso del volontariato, Facoltà di Economia, Università di Bologna, Paper n. 9, 2005, www.aiccon.it.
12. B. Mattei, Solidarité ou Fraternité cit.
13. “In passato, gli insegnamenti spirituali conducevano gli esseri umani sulla via della salvezza individuale. Il sapere, i poteri, l'illuminazione, ovvero tutto ciò che si riusciva ad acquisire era finalizzato per se stessi, per il proprio sviluppo e la propria elevazione. Ecco perché molti andavano a isolarsi da qualche parte nei deserti, sulle montagne, nelle grotte o nei monasteri per non essere disturbati. Ora però siamo entrati nell'era della collettività, della fratellanza, e dobbiamo superare la filosofia della salvezza personale. Occorre perfezionarsi, è chiaro, ma non isolarsi fisicamente o spiritualmente per evitare di essere disturbati dagli altri; al contrario, bisogna accettare gli inconvenienti, fare dei sacrifici, soffrire persino, ma essere utili… Perfezionarsi per se stessi rappresenta solo la metà del compito. Il nostro vero compito è quello di perfezionarci per noi stessi e per gli altri, al fine di essere utili al mondo intero” O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 24 ottobre 2014, Prosveta.
14. L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 48.
15. B. Mattei, La fraternité: une valeur d’avenir? cit.
16. Il significato è essenziale per gli esseri umani: “Abbiamo continuamente bisogno di dare un senso al nostro mondo interiore ed esteriore, di trovare significati nel nostro ambiente e nelle nostre relazioni con gli altri esseri umani e di agire in accordo a tali significati. Ciò comprende in particolare il nostro bisogno di agire intenzionalmente, con uno scopo o un obiettivo in mente” F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 392.
17. Ivi, p. 404.
18. Ibidem.
19. B. Mattei, Solidarité ou Fraternité cit.
20. O.M. Aïvanhov, Conferenza 5 agosto 1975 in Opera omnia n. 16, Prosveta.
21. A. MacIntyre, Dopo la virtù, Feltrinelli, 1993, p. 313.
22. Cfr. V. Pazè, Comunitarismo, Enciclopedia delle Scienze Sociali, Treccani, 2001. Per A. Olivetti, la comunità è intesa come "diaframma umano tra individuo e Stato", quale cellula base. “Nel caso di Olivetti preponderante è l'influenza di pensatori cattolici come Maritain, Mounier, Weil, destinati a lasciare consistenti tracce anche nel pensiero di alcuni dei padri della Costituzione italiana del 1948, come La Pira e Dossetti. Dettagliatamente progettata nelle sue dimensioni ideali (tra i 75.000 e i 150.000 abitanti) e nella pluralità delle sue funzioni economiche e sociali, la comunità di Olivetti non è semplicemente un ente amministrativo intermedio tra il comune e la regione. Per la sua grandezza 'a misura d'uomo' e per le sue caratteristiche ambientali e urbanistiche, è pensata per costituire un'autentica 'unità di sentimenti', uno spazio entro cui anche gli antagonismi di classe vengono superati e sublimati in nome della fratellanza e della solidarietà. Il pluralismo cui si ispira Olivetti non è dunque conflittualistico come quello della tradizione liberale e sindacalista, e rinvia piuttosto a quella concezione organicistica del mondo che ha profonde radici nella tradizione cattolica“, V. Pazè, Comunitarismo cit.
23. L. Boff - M. Hathaway, op. cit., p. 52-53.
24. M. Nozich, No Place Like Home, Canadian Council on Social Development,1992, citato da L. Boff - M. Hathaway, op. cit., p. 223.
25. Ibidem.
26. M. Lerner, Surplus Powerlessness, Oakland 1986, citato da L. Boff - M. Hathaway, op. cit., p. 223.
27. Ibidem.
28. L. Guerra, in Le parole chiave della cittadinanza democratica, a cura di V. Baruzzi, A. Baldoni, Franco Angeli, 2008, p. 20.


 

Mappa cliccabile degli argomenti

PRIMA PARTE

Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale

Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità.

SECONDA PARTE

Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale

Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza.

TERZA PARTE

La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività.

QUARTA PARTE

Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale...

Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche

QUINTA PARTE

Linee di sviluppo di nuove attitudini concrete, espressive dei valori di cooperazione, empatia...

Modulo 12. Mappa delle attitudini significative in coerenza con la visione sistemica della Vita

Attitudine a percepire la comune appartenenza alla Rete della Vita. La cura di se stessi
Attitudine alla scelta degli Ideali, pensieri e sentimenti per manifestare comportamenti civici
Attitudine alla scelta delle intenzioni
Attitudine alle relazioni empatiche. La rilevanza civica della empatia
Attitudine alla rivalutazione e alla sacralizzazione della vita quotidiana
Attitudine alla rivalutazione del corpo fisico e del suo apporto cognitivo
Attitudine a sperimentare il gusto e la pienezza della vita: la “scienza della Vita”
Attitudine a valorizzare il bene relazionale e i beni comuni
Attitudine alla rivalutazione del lavoro
Attitudine al dimensionamento dei bisogni individuali
Attitudine all'assunzione delle cariche pubbliche. L’esempio
Attitudine a relazioni improntate ai valori di giustizia
Attitudine al rispetto dell’ambiente interiore ed esteriore
Attitudine a vivere come cittadino dell’Universo