Attitudine a valorizzare il bene relazionale e i beni comuni “Una comunità che non sa esprimere e valorizzare le attitudini cooperative è più povera di capitale sociale e civile e avrà maggiori difficoltà ad attivare circoli virtuosi di sviluppo” |
Attitudine a valorizzare il bene relazionale e i beni comuni
8.1. Ma su quale area dell’agire sociale impatta l’attitudine cooperativa? Le scienze sociali ci dicono che l’agire sociale può declinarsi in quattro modalità paradigmatiche: a) agire per profitto o utilità; b) agire per comando o obbligazione; c) agire per reciprocità; d) agire per donazione (1).
L’agire per profitto o utilità si collega alle attività che si svolgono
nel mercato cioè nell’area privatistica; l’agire per comando o obbligazione
si collega allo Stato, cioè all’area pubblica, al diritto; l’agire per
reciprocità e per donazione, si collega all’area del “privato
sociale” ove le relazioni umane sono di per sé “beni”, cosiddetti
“beni
relazionali” (2). La sede naturale delle attitudini cooperative e
fraterne si colloca, soprattutto, evidentemente, in questa ultima area
ove primeggiano i beni relazionali.
Per le scienze sociali, il ‘bene relazionale” è un bene che non si identifica con una prestazione o una merce: esso è costituito dalle relazioni umane che animano una famiglia, una associazione, una comunità di vicinato (3). Il bene in esame risiede all’interno delle relazioni che connettono i soggetti; è da tali relazioni che il bene comune si genera (4). Il bene relazionale vive di cooperazione, fiducia, empatia: esso si depaupera con l’antagonismo e la rivalità e si accresce con l'aumentare dei soggetti relazionali implicati. I beni relazionali a differenza dei beni pubblici, “possono essere fruiti soltanto assieme dai partecipanti, non sono escludibili per nessuno che ne faccia parte, non sono frazionabili e neppure sono concepibili come somma di beni individuali” (5). Invece, il consumo di un bene pubblico “non è altro che un consumo che individui isolati fanno indipendentemente gli uni dagli altri (pensiamo all’uso di una strada non congestionata, o a due o più persone che ammirano lo stesso quadro in un museo, senza che il consumo dell’uno interferisca con quello dell’altro) [...] il bene pubblico resta una faccenda individualista: soggetti non legati da un rapporto tra di loro che consumano indipendentemente un bene” (6).
Il bene relazionale può manifestarsi, ad esempio, sui luoghi di lavoro:
“posso relazionarmi con i dipendenti secondo le regole del diritto e dei
contratti collettivi oppure posso trattarli come persone umane portatrici
di una dignità; in questo secondo caso ho realizzato una relazione interpersonale
che produce beneficio” (7).
Il bene relazionale può manifestarsi quando ci si rapporta con un medico:
“vado all’ospedale; dall’altra parte trovo un medico il quale mi può trattare
in due modi diversi: farmi una diagnosi corretta e prescrivermi una terapia
efficace; oppure fare la stessa cosa ma in più stabilire con me un rapporto
per cui mi spiega la mia situazione, mi descrive, mostrando nei miei confronti
un’attenzione personale, quale sarà il decorso. In quale dei due casi
traggo maggiore beneficio dal servizio? Ovviamente dal secondo” (8).
Appare pacifico riconoscere che la qualità del “bene relazionale” così inteso si riverbera sulla società favorevolmente in termini di progresso civile, morale e spirituale: “dalla riflessione teorica e da studi empirici emerge con sempre maggiore evidenza che esiste un rapporto molto stretto tra beni relazionali e benessere o felicità delle persone. Negli studi che si stanno svolgendo all’interno di quel filone di ricerca noto come «Economia e felicità» risulta che, in situazioni e contesti sociali molto diversi, la qualità dei rapporti interpersonali (in famiglia, nella società civile, nel posto di lavoro) sono di gran lunga la componente che pesa di più nella felicità percepita dalle persone” (9). Nella stessa direzione, Zamagni osserva che “oggi sappiamo che la felicità delle persone, intesa come fioritura umana, dipende sempre di più dai beni relazionali e sempre meno dai beni materiali. In passato, quando la gente moriva di fame, la componente materiale, ovviamente, faceva agio sulla componente espressiva. Oggi nei nostri sistemi avanzati non è più così. Il problema dei beni relazionali trova l’attenzione di tutti perché ci si rende conto che la condizione di vita delle persone dipenderà sempre di più dalla relazionalità e sempre di meno dalla materialità” (10).
L’area dei beni relazionali ha oggi acquistato un peso importante nel
nostro ordine sociale. Come è stato ben chiarito anche da Donati, i nostri
sistemi sociali, economici e politici erano basati tradizionalmente su
due principi complementari: da una parte la libertà individuale operante
sul mercato; dall’altra parte le pari opportunità individuali garantite
dal potere politico. Praticamente noi abbiamo confidato, come abbiamo
già osservato, il nostro sviluppo nello Stato che promuove i diritti e
nel mercato che massimizza le opportunità. Ma questo modello organizzativo
si è rivelato da tempo insufficiente in quanto occorre riconoscere, afferma
Donati,
che vi è anche la dimensione del “privato sociale” (associazioni, volontariato,
etc.) cioè la dimensione della reciprocità e della gratuità. Parimenti
dobbiamo pure convenire che prima dello Stato, del mercato e del privato
sociale vi è la cura del Sé che non è solo una faccenda privata in quanto
influenza tutte le aree dell’agire umano.
Il nucleo coscienziale e motivazionale della cooperazione fraterna apporta una nuova qualità nei rapporti interpersonali in quanto tende a ridurre l’area dei comportamenti “predatori” causativi di grandi sofferenze e iniquità nelle relazioni sia nel pubblico e sia nel privato. Tali comportamenti contaminano, purtroppo, tutte le aree del vivere: pensiamo soprattutto all’agire per profittare cioè al prendere senza dare tendenzialmente nulla o poco in cambio, profittando del potere o della forza, della fiducia, dello stato di bisogno, di qualsivoglia situazione. Tali condotte si situano ad esempio, nelle relazioni affettive, amicali e di lavoro, ove si acquisiscono risorse altrui, materiali e immateriali: cioè affetti, stima, fiducia, aspettative di giustizia ed equità, etc. In questi casi, la “banca”, simbolicamente parlando, depredata da condotte egocentriche può essere quella di un componente della stessa famiglia, di un collega di lavoro, della finanza pubblica, della natura, etc. Lo spirito cooperativo agendo sulla qualità del bene relazionale, conseguentemente, migliora il capitale umano e sociale. Fukuyama ci ricorda che il capitale sociale è un insieme di valori o norme non ufficiali, condiviso dai membri di un gruppo, che consente loro di aiutarsi a vicenda. Se le persone giungono a ritenere che gli altri si comporteranno in modo affidabile e onesto, tra loro si instaurerà fiducia. La fiducia accresce l’efficienza di qualsiasi gruppo e organizzazione (11). Al contrario, una comunità che non sa esprimere e valorizzare le attitudine cooperative è “più povera” di capitale sociale e civile, e avrà maggiori difficoltà ad attivare circoli virtuosi di sviluppo (12).
8.2.
Il cooperatore esprime gratitudine per tutte le risorse delle quali dispone
e grazie alle quali egli vive. Tramite questa nuova attitudine inizia
a percepire un nuovo benessere, una nuova dignità, una nuova gratificazione
e, in conseguenza di ciò, l’area dei suoi bisogni poco a poco cambia,
si affina e il peso del denaro e dei beni posizionali, cioè dei beni legati
allo status economico sociale, si riduce. Lo spirito fraterno, rafforzando
l’identità umana autentica, aiuta, dunque, ad affrontare le gravi situazioni
di crisi economiche in quanto riduce i bisogni superflui di consumo, attenua
il bisogno di denaro e prepara il terreno a condizioni di vita più dignitose.
L’approccio predatorio mira, invece, a estrarre ricchezze e ad accumularle,
anche se ciò porta al “rapido esaurirsi delle ricchezze della Terra tra
cui acqua e aria pulite, suolo fertile e una moltitudine composita di
comunità organiche... la stessa avidità che genera povertà tra gli esseri
umani, impoverisce anche la Terra” (13).
L’attitudine cooperativa promuove, al contrario, un impiego ragionevole dei beni comuni, cioè dei “beni di uso comune” (14). Tali beni possono essere “materiali (le risorse naturali che devono essere a disposizione di tutti, come l’aria e l’acqua, gli spazi fruibili da ognuno, come le strade e le piazze... gli spazi virtuali come il web, i monumenti e i beni artistici che devono essere conservati senza essere commercializzati) e immateriali (la pace, la coesione sociale, la solidarietà interna insieme con le istituzioni indicate per la salvaguardia e la promozione di esse)” (16).
L’attitudine cooperativa promuove i beni
comuni mediante la pratica della reciprocità, evitando il collasso
e l’implosione, ovvero ciò che è chiamata tragedia
dei Beni comuni: “pensiamo alla gestione dell’acqua, alle città, all’ambiente…
la domanda tragica sempre più urgente diventa: oltrepasseremo il limite
o saremo invece capaci di fermarci in tempo, di coordinarci, saremo cioè
capaci di quella saggezza individuale e collettiva che consente alle comunità
di non collassare e implodere, e vivere e crescere in armonia?” (17)
L'avanzamento della logica individualistica “sta moltiplicando il verificarsi di queste tragedie dei commons: dall'acqua all'ozono, dalle foreste alla finanza. Infatti, anche la crisi finanziaria recente può essere letta anche come una tragedia di quel bene comune chiamato ‘fiducia’: si è consumata troppa fiducia privata, scaricando (da parte delle banche e delle grandi imprese soprattutto) il rischio di sistema” (18). Il cooperatore valorizza, grazie all’assenza di bisogni conflittuali, il bene comune, materiale e immateriale, rispetta e valorizza l’insieme delle condizioni grazie alle quali ciascuno può svilupparsi ed esprimere la piena realizzazione del potenziale umano. Il cooperatore agisce in modo che le conseguenze della sua “azione siano sempre compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”(19).
1.
La classificazione riportata è tratta da P. Donati e Colozzi (a cura di),
Il privato sociale che emerge: realtà e dilemmi, Mulino, pp. 21-54.
2. Cfr. ibidem. Nella reciprocità vi è uno scambio simbolico: io posso
dare, ad esempio, tempo, spazio, e risorse anche per ricevere un qualcosa
che è di natura personale e interpersonale; attribuisco valore alla relazione
in sé e non mi attendo risultati immediati di natura economica o di potere,
cfr. E. Morandi, in Il paradigma relazionale cit., p. 384. Questa attitudine
potrebbe richiamare, per certi aspetti, “l’Ubuntu”, la filosofia di vita
africana diventata nota in Occidente per l’opera divulgativa di due premi
Nobel, N. Mandela e D. Tutu: l’ubuntu comproverebbe che “i fondamenti
più importanti della vita non sono le cose materiali, ciò che possediamo,
ma come ci relazioniamo con gli altri [...]. È un modo di vivere e di
concepire la persona in relazione alla comunità, che ha un ruolo centrale
nell’esistenza del singolo. Ogni situazione o cosa che ci riguarda personalmente
viene dopo la comunità, perché l’individuo è parte di essa ed è attraverso
la relazione con le altre persone che la compongono che lui diventa una
persona. Io non sono nessuno senza gli altri. Questa concezione è la chiave
per comprendere che la famiglia umana è davvero una sola cosa. L’Ubuntu
ci ricorda che il vero significato dell’esistenza è la gioia di vivere“
J. Mbae, L’Ubuntu e il valore della comunità, 1 maggio 2014, www.cittanuova.it.
Il prof. Mbae osserva che “se il mondo globalizzato valuta l’Africa per
il suo sviluppo economico o tecnologico, allora questo continente si taglia
fuori in partenza. Ma la vita non è fatta solo di processi economici o
tecnologici: c’è anche altro. Noi africani non possiamo competere con
il resto del mondo sui progressi economici, finanziari o tecnologici,
ma possiamo dare un contributo educando ai valori. Questo, io penso, è
il nostro specifico campo d’azione e questo è il vero tesoro e il vero
contributo che l’Africa può dare ad un mondo dove ad esempio l’anziano
è scartato, ma qui è circondato di rispetto per la sua esperienza. O ancora
sul ruolo educante della comunità nei confronti di un bambino o sull’importanza
del prendersi cura di chi è malato e magari non può svolgere un lavoro
e assicurare il mantenimento della famiglia. La comunità dove si vive
gli uni per gli altri è una risposta all’individualismo” ibidem.
3. P. Donati, Sociologia della relazione cit., pp. 96-97. Trattasi di
un bene in quanto “soddisfa bisogni propriamente umani”, cfr. P. Donati
e R. Solci, Beni relazionali. Che cosa sono e quali effetti producono,
Bollati Boringhieri, 2011. Secondo Zamagni per bene relazionale “si intende
un bene la cui utilità dipende dalla trama di relazioni che s’instaurano
tra i produttori e i consumatori. Ecco perché si chiama bene relazionale”
S. Zamagni, Verso l’economia del Ben-Essere, www.nonprofitonline.it.
4. P. Donati, Sociologia della relazione cit., pp. 96-97.
5. Ibidem.
6. L. Bruni, Beni relazionali. Una nuova categoria nel discorso economico
cit.
7. S. Zamagni, Verso l’economia del Ben-Essere cit.
8. Ibidem.
9. L. Bruni, Beni relazionali, www.journaldumauss.net. I Beni relazionali
osserva Bruni, sono un potenziale antidoto al paradosso della felicità
in quanto hanno un alto potenziale gratificatorio e sono privi di adattamento
edonico.
10. S. Zamagni, Verso l’economia del Ben-Essere cit.
11. F. Fukuyama, Fiducia, Rizzoli, 1996.
12. L. Bruni, Reciprocità, per offrire una rassegna della letteratura
recente sul tema e offrire nuove chiavi di lettura, Mondadori, 2006, p.
90 e segg.
13. L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 61.
14. L’espressione “beni comuni”, osserva Zamagni, traduce l’inglese “commons”,
termine che sta a significare “beni di uso comune”. È nel corso dell’ultimo
quarto di secolo che la questione dei beni comuni è letteralmente esplosa
a livello mondiale, anche se va ricordato che la prima riflessione in
ambito economico-scientifico sul tema risale al 1911 [...]. ma è solo
di recente che si è finalmente presa coscienza di ciò che costituisce
la loro essenza, che è quella di costituire il “limite” non tenendo conto
del quale si consuma la “tragedia”, S. Zamagni, Beni comuni e bene comune
cit.
15. P. Donati, I fondamenti della sussidiarietà cit.
16. L. Bruni, Beni comuni: quella virtù da riscoprire per salvarci dall'estinzione,
edc-online.org. “Ma che cos’è la Tragedia dei beni comuni? Innanzitutto
è il titolo del celebre articolo che il biologo D. Hardin pubblicò nel
1968 nella prestigiosa rivista Science. La tesi è forte e chiara: quando
si ha a che fare con i beni comuni (commons), anche se ciascuno segue
prudentemente i propri interessi, rischia, senza volerlo e senza accorgersene,
di segare giorno dopo giorno il ramo su cui siamo tutti seduti. Perché?
Ormai ogni testo di microeconomia cita l’esempio presente nell’articolo
di Hardin del pascolo comune e libero, dove ogni contadino porta a pascolare
le proprie mucche. La scelta che massimizza la libertà e l’interesse individuale
è quella di aumentare il bestiame al pascolo, poiché il vantaggio individuale
di portare una mucca in più a pascolo è + 1, mentre la diminuzione dell’erba
è soltanto una frazione di - 1 (poiché il danno si ripartisce su tutti
gli altri contadini che usano il pascolo comune). Quindi il beneficio
individuale è maggiore del costo individuale, e ciò spinge ciascuno ad
aumentare l’uso del bene comune. Il che porta alla distruzione del pascolo,
se […] non accade qualcosa che, in qualche modo, limiti la libertà individuale”
ibidem.
17. Idem, Quale economia nell'era dei beni comuni? www.edc-online.org.
18. Ibidem.
19. H. Jonas, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà
tecnologica, Einaudi, 1990, p.16.
Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità. |
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Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale |
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Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza. |
La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività. |
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Modulo 4. Il nuovo senso civico dello stare insieme in collettività, nella Rete della Vita. Il contributo della scienza .... Modulo 5. L’atto di cooperazione fraterna non è atto di impoverimento o di accettazione passiva dell’altrui egocentrismo Modulo 6. Perché il nostro “Io” si oppone alla cooperazione? Modulo 7. La nostra scelta avanti al bivio: Modulo 8. Il ruolo della coscienza e del modo di vivere per il cambiamento. Modulo 9. La moralità della vita vissuta condiziona i processi cognitivi.... Modulo 10. Gli apporti cognitivi dell’intelligenza del cuore. Modulo 11. Occorre superare il distacco tra cultura e modo di vivere... |
Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale... |
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Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche |