Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità. |
1. Fraternità, cooperazione ed empatia.
2. La fraternità, da vincolo di sangue a modello relazionale della vita sociale: dalle fratrie alle corporazioni medievali
3. Il quid novi della fraternità nella prospettiva cristiana
4. La fraternità, principio politico: l’esperienza della Rivoluzione francese.
5. Le speranze di una “Fraternité vivante” e la pedagogia per la realizzazione della fraternità.
6. La cooperazione fraterna, principio ispiratore dell’ordinamento giuridico e della vita sociale. Uno sguardo all’ordinamento italiano
1.Fraternità, cooperazione ed empatia
1.1. Il valore della fraternità ha avuto una notoria rilevanza non solo nelle dottrine religiose e nelle esperienze mistiche, ma anche nel pensiero filosofico, nell’esperienza giuridica e nel dibattito culturale. Il valore della fraternità può avere una certa legittimazione anche nel dibattito politico quale “categoria politica” cioè quale principio idoneo a influenzare i metodi e i contenuti della politica e delle leggi (1).
Ma in generale, quando si parla di fraternità, bisogna riconoscere che
“il nostro pensiero va immediatamente alla concezione religiosa, per lo
più giudaico-cristiana, di essa. Della fraternità, nel suo significato
più propriamente laico e repubblicano, come principio cardine dell’agire
pubblico e come criterio etico della decisione e della valutazione politica
e sociale, si è persa, invece, via via traccia. Tant’è che di essa si
parla come di principio dimenticato. Il termine è caduto pressoché in
disuso nel lessico pubblico contemporaneo”(2). Una parte della società,
comunque, non ha mai rinunciato a coltivare l’opzione politica della fraternità.
Osserva
Morin che ci sono dei momenti storici nei quali il problema cruciale
è quello della libertà, soprattutto, nelle condizioni di oppressione e
ve ne sono altri nei quali il problema maggiore è quello della fraternità
e della solidarietà ed è il caso del nostro tempo (3). Infatti, talune
coscienze (filosofi, spiritualisti, sociologi, giuristi, politologi, economisti,
cittadini impegnati nella società civile) si interrogano sulla necessità
di legittimare direttamente la fraternità nell’ordinamento politico al
fine di prevenire e risolvere i conflitti.
La fraternità, in effetti, oggi “viene riscoperta in una dimensione internazionale
e multiculturale che mai aveva avuto prima […] si stanno consolidando
scuole di pensiero e di azione […] e si accresce, di conseguenza, l'attenzione
per il ruolo che la fraternità ha avuto nella storia dei diversi popoli,
si cerca ciò che oggi essa può portare nei diversi contesti geopolitici:
la comprensione e l'applicazione della fraternità in politica, proprio
perché viene intesa come fraternità universale, può venire attuata solo
con il contributo di tutte le grandi aree culturali del pianeta”(4). L’idea
della fraternità “oggi si candida, forse, anche ad assumere un ruolo nella
comunità mondiale”(5).
Collocare “l’idea di fraternità in politica, cioè nella sfera pubblica
è un percorso molto importante, anche urgente, perché il momento è arrivato
di affermare la fraternità come categoria politica. È la sfida più grande
per il nostro ventunesimo secolo”(6).
Pare, sotto certi aspetti, essersi ricreato un clima favorevole a una
società animata dalla cooperazione fraterna anche se queste aspettative
sull’ideale di fraternità non sembrano ancora coinvolgere il grande pubblico
la cui attenzione viene catturata spesso da informazioni dispersive relative
a fatti contingenti del quotidiano, soprattutto, drammatici.
Non si può negare a questo proposito che una parte dell’umanità viva in
una sorta di penombra dell’esistenza e coltivi progetti portatori di sofferenza
per tutta la comunità vivente. Però, un’altra umanità, occorre evidenziarlo,
sta maturando una nuova coscienza cooperativa ispirata a una rinnovata
sensibilità verso i valori di collettività e di universalità, capace di
accedere al cuore degli altri e di avvertire che le relazioni con gli
altri esseri umani e con la Natura,
sono anche esse una parte profonda della loro stessa vita. La nostra riflessione
concerne, giustappunto, il valore della cooperazione fraterna quale possibile
principio ispiratore della vita collettiva e del nostro agire civico,
prescindendo dalla fraternità vissuta in ambiti religiosi o spirituali
intesi in senso lato, pur essendo questi ultimi molto importanti anche
per la società civile, evidentemente. Pensiamo, ad esempio, all’influenza
esercitata dalla fraternità francescana anche sul pensiero economico e
a come il monachesimo
benedettino (ora et labora) abbia sviluppato una cultura del lavoro
e dell’economia in tutto l’Occidente (7). Pensiamo all’influenza esercitata
nel tessuto culturale da numerose e coraggiose individualità che, sacrificando
talvolta anche la vita, hanno contribuito a mantenere vivi nella società
gli ideali di fraternità umana. La fraternità, lo sappiamo, non è, paradossalmente,
un facile argomento per l’uomo e non a caso coloro che hanno cercato di
portare concretamente la fraternità nell’ambito della società umana sono
stati strenuamente ostacolati.
1.2. La parola fraternità è impiegata nel linguaggio comune per individuare tipologie di relazioni umane molto diverse tra loro e anche antitetiche. Ciò determina l’esigenza preliminare di enucleare il significato sostanziale e minimale che questa parola possiede. Gli studiosi delle scienze sociali, ad esempio, hanno enucleato nella “forma primaria di comunità” tre specie di rapporti: 1) tra madre e bambino; 2) tra uomo e donna come coniugi; 3) tra coloro che si riconoscono come fratelli e sorelle. Quest’ultima, si è osservato, è la relazione maggiormente densa di umanità tra quelle che possono essere congetturate ed è quella che esprime in modo più autentico la vita comunitaria: “l'amore fraterno può essere assunto come la più umana relazione tra esseri umani”(8). La fraternità, pur implicando la paternità e la maternità, cioè la consapevolezza di essere figli dello stesso padre e della stessa madre, esalta nei suoi contenuti, il legame orizzontale che intercorre tra gli esseri: un legame profondamente empatico e cooperativo. Ma vi è anche di più: tra coloro i quali intercorre il legame di fraternità vi è un naturale riconoscimento di potenziale pari dignità. Questo appare essere, a prima vista, il cuore della relazione fraterna.
La famiglia di sangue rappresenta il terreno originario da cui sgorga la parola fratello nella nostra storia umana. D’altronde, anche in ambito giuridico la parola “fratello” richiama, in primis, il legame proprio della famiglia di sangue. Peraltro, anche il concetto politico di fraternità deriva dall’uso analogico dell’originario concetto “archetipico” legato alla famiglia (9).
La fraternità, a ben vedere, è permeata ab origine dal legame con altri
da sé: “la fraternità parte da una condizione: l’essere (come) fratelli.
In origine, dunque, vi è il legame. L’ordinamento dei rapporti sociali
non prende avvio da un “io” isolato e già confezionato, che poi, obbedendo
a una volontà mutevole, decide di aprirsi a dei “tu”, ma da un “io” che
si percepisce e si costituisce entro una trama di rapporti con altri “tu”
che lo accolgono e lo accompagnano nel corso della sua vita. La fraternità
esprime il riconoscimento di questo carattere strutturalmente e originariamente
relazionale della condizione umana” (10).
Proprio nella relazione con l’altro, afferma Buber,
l’uomo prende coscienza di se stesso come soggettività (11). Anche Bergoglio
recentemente ha posto in luce la natura relazionale della fraternità,
affermando che essa esprime “una dimensione essenziale dell’uomo, il quale
è un essere relazionale. La viva consapevolezza di questa relazionalità
ci porta a vedere e trattare ogni persona come una vera sorella e un vero
fratello; senza di essa diventa impossibile la costruzione di una società
giusta, di una pace solida e duratura”(12).
D’altronde, la stessa parola “io“ racchiude necessariamente l’altro: ”in
ogni individuo, vi è ciò che può essere chiamato un soggetto. Che cosa
è un soggetto? È qualcuno che dice "io". Ma la sua peculiarità
è che nessun altro diverso da me, può dire "io" al mio posto,
nemmeno mio fratello gemello. Ognuno ha il proprio "Io", si
tratta di una posizione unica. Dicendo "io", io mi colloco al
centro del mio mondo […]. Così ci sono due particolarità in questa nozione
di "io". Il primo carattere può essere chiamato egocentrico,
se mi metto al centro del mondo, è la realtà che la parola egocentrico
esprime, non è ancora egoismo, ma è una possibilità di egoismo […]. Ma
allo stesso tempo, c'è un altro carattere nell’"Io", è la capacità,
la volontà e il desiderio di essere parte di un "noi". Gli studi
sui neonati ci mostrano che la prima cosa che cerca il bambino, che si
aspetta e chiede con il suo sorriso, tendendo le piccole mani, è il sorriso
della madre […] il bisogno degli altri, di un legame con gli altri. Questo
bisogno si svilupperà durante l'infanzia e la vita adulta. Questo è il
"noi" della famiglia […]. Ma il "noi" può superare
la famiglia, il "noi" può essere il "noi" della patria,
può essere il "noi" del partito, può essere il "noi"
della religione, può essere il "noi" della specie umana” (13).
L’esperienza ci insegna che il legame di tipo fraterno,
in effetti, pur traendo origine dal luogo famigliare, non si limita alle
persone tra le quali intercorrono legami di sangue. Come accade di frequente,
la percezione di questo legame può sorgere anche dal fatto di far parte
di un gruppo umano a noi vicino, prossimo a noi: “nel senso più originario
del termine, fraternità si intende come vincolo di sangue, come sentimento
di appartenenza a una famiglia, a un clan (famiglia estesa) o ad un villaggio,
quartiere, gruppo piccolo e circoscritto di vicinanza. È questo il senso
primario della parola "prossimo", chi sta al mio lato, vicino
a me. Max
Weber definisce questo primo concetto di fraternità come «comunità
di vicinanza»: il vicino è il tipico prestatore di aiuto e la vicinanza
è perciò portatrice della "fraternità", seppure in un senso
spogliato di ogni sentimentalismo, prevalentemente etico-economico della
parola. Il prossimo aiuta il vicino perché un giorno anche lui potrà avere
bisogno dell'aiuto di quest'ultimo. Questa fraternità originaria è parte
dell'esperienza comune di ogni essere umano in quanto membro di una famiglia
e di una comunità di persone che gli sono prossime” (14).
Il legame di tipo fraterno può andare al di là della “comunità di vicinanza” in quanto può essere percepito anche verso esseri che non sono fisicamente vicini ma distanti da noi e addirittura anche sconosciuti a noi in quanto si ritiene di condividere con essi una comune discendenza ideale: figli della polis, figli della stessa Nazione, figli della stessa Madre Terra, abitanti della stessa Biosfera (15) o della stessa Terra patria (16) o della Terra quale casa comune.
Il legame di tipo fraterno può andare oltre il genere umano e abbracciare il Creato intero. Il legame di tipo fraterno può arrivare ad essere concepito e percepito come una qualità essenziale della nostra Vita in tutte le sue manifestazioni, anche a prescindere da prospettive squisitamente religiose. I legami di tipo fraterno possono, dunque, derivare anche dalla libera scelta compiuta dai singoli individui che decidono di assumere la fraternità quale modello relazionale, e in ragione di ciò vi è chi distingue la fraternità di origine dalla fraternità di risultato (17).
La storia comprova che la fraternità, effettivamente, è stata praticata
quale modello relazionale non solo della sfera affettiva di matrice familiare
ma anche delle relazioni umane in generale, sia a livello intersoggettivo
(amicizia fraterna) e sia a livello sociale (gruppi, associazioni e società
civile). Cioè la fraternità, da legame affettivo proprio dell’ambito famigliare,
evolve in modello relazionale esteso a soggetti, estranei al nucleo di
origine, con i quali si condividono interessi comuni.
La fraternità possiede, dunque, una sua forza espansiva orizzontale, via
via che aumentano i soggetti coinvolti nel legame in questione, e una
forza espansiva verticale, via via che dal vincolo genetico più materiale
(sangue genitoriale) si passa a quello più ideale (comunanza di interessi,
sentimenti, idee)... fino alla coscienza dell’Unità ove l’altro è un altro
“me stesso”.
Questa energia espansiva è presente anche nel terreno giuridico: la fraternità
“è un concetto assoluto e universale nel suo esprit, ed è variabile nelle
sue applicazioni. Al di là delle sue manifestazioni nazionali, la fraternità
può estendersi a tutta l'umanità, come è testimoniato dal diritto internazionale
umanitario, che impone una soglia di minimale di rispetto della dignità
umana anche durante la guerra. Può anche estendersi nel tempo, fondando
obbligazioni nei confronti delle future generazioni: obbligazioni, tra
le quali, vi è il lascito in eredità di un ambiente vivibile e di un ordine
mondiale basato sulla pace tra le nazioni" (18). Questa duplice forza
espansiva della fraternità è tuttora in itinere.
1.3. Il modello relazionale fraterno nel corso delle molteplici vicende storiche, evidentemente, non ha espresso un nucleo comportamentale univoco e stabile. Pertanto, appare opportuno precisare che le idee di fraternità tratteggiate nel nostro lavoro sono richiamate e intessute, soprattutto, nella prospettiva di cogliere ed evidenziare un percorso costruttivo già operante nella realtà sociale, con la consapevolezza che il nome “fraternità” è stato impiegato nella storia umana anche in funzione escludente o addirittura belligerante. Peraltro, questi profili non sono scomparsi nemmeno oggi, ma sono espressivi di un uso sostanzialmente improprio della parola “fraternità” in quanto essa, se è autentica, porta naturalmente con se pari dignità, legami empatici e cooperativi.
Al fine di liberare il terreno da incertezze di tal genere, noi preferiamo ragionare su una possibile evoluzione dell’umanità nella direzione di una società empatica, cooperativa e fraterna.
La scelta di porre le parole ”empatia”
e “cooperazione” accanto alla parola “fraternità” merita, comunque, un
chiarimento puntuale. L’empatia (amplius, modulo12/4)
di per sé è una facoltà, una possibilità per rapporti fraterni ma è anche
una possibilità per relazioni strumentali finalizzate all’autoaffermazione,
come accade nelle strategie commerciali (19). Anche Rifkin
che ha elaborato una nozione di “coscienza empatica” ammette che l'empatia
non è comunque un meccanismo infallibile, ma una grande opportunità per
dare una svolta al cambiamento (20). L’empatia può, dunque, non essere
fraterna, ma la fraternità deve contenere l’empatia. Nella nostra riflessione,
la parola “empatia” sottintende, dunque, una empatia di matrice fraterna
per sottolinearne la finalizzazione costruttiva. Questa connotazione,
peraltro, aiuta a comprendere anche che la fraternità è reale se ha un
autentico contenuto relazionale. Infatti, anche Bergoglio afferma che
“la buona novella richiede ad ognuno un passo in più, un esercizio perenne
di empatia”(21).
Un altro valore implicato dalla fraternità è quello di cooperazione: pur essendo anche esso un concetto moralmente neutro, rappresenta, comunque, una qualità imprescindibile della fraternità in quanto comporta un agire coordinato e finalizzato a raggiungere un risultato comune e condiviso (22). Le espressioni “natura empatica” e “natura cooperativa”, nel nostro approccio, sono, dunque, impiegate con una certa elasticità quali parole rafforzative o sinonime di “natura fraterna”. Considerato, inoltre, che la fraternità per noi non esprime un sentimento o una religione, ma una filosofia di vita, civica e ragionevole (modulo V), la matrice fraterna del valore di empatia attribuisce a questa ultima una connotazione di altrettanta ragionevolezza (23). L’empatia non è, quindi, una emozione o una manifestazione di altruismo irrazionale, come paventato da alcuni studiosi della materia.
Ciò precisato, bisogna riconoscere, da subito, che i valori empatici e
cooperativi sono in netta antitesi a quelli praticati da coloro che agiscono
nella prospettiva profittatrice e materialistica. L’espressione è un po’
forte, ma esprime con efficacia la realtà delle cose in quanto coloro
che agiscono nell’ambito di questa ultima prospettiva, non riconoscono
i valori di pari dignità negli esseri umani e tendono a vedere gli uomini,
ma anche il mondo nel quale vivono, come una “cosa” da strumentalizzare
impietosamente, che si tratti di risorse umane (intelligenze, fiducia,
affetti, aspettative, etc.) o naturali. È sufficiente pensare, ad esempio,
ai danni provocati alla salute della Terra e degli uomini da coloro che
speculano nelle produzioni industriali e alimentari.
1.4. In questo modulo, cercheremo di cogliere, in termini
sintetici, il percorso di espansione orizzontale e verticale compiuto
dalla fraternità e le diverse percezioni che si sono storicamente inverate
dell’idea di fraternità. Non mancheremo di porre in luce come, su influsso
del cristianesimo, la fraternità abbia acquistato nuove qualità contenutistiche,
dense di conseguenze anche per la società civile. Approfondiremo l’esperienza
della fraternità come principio politico durante la Rivoluzione francese.
Analizzeremo come, a partire dalla Seconda guerra mondiale, si siano esplicitate
nel tessuto giuridico-sociale energie valoriali riconducibili alla fraternità
quale possibile principio ispiratore di un nuovo ordine civico e sociale.
Concluderemo la Parte Prima con alcune riflessioni, esplicitate nel modulo
II, finalizzate a evidenziare lo stadio di attuale sviluppo dell’idea
di fraternità, il travaglio individuale e collettivo proprio della nostra
contemporaneità, nonché l’emergenza, malgrado le vicende drammatiche dei
nostri tempi, di una coscienza cooperativa, empatica e fraterna.
2. La fraternità,
da vincolo di sangue a modello relazionale della vita sociale: dalle fratrie
alle corporazioni medievali.
“L’idea di fraternità è una condizione antropologica universale entro cui gli esseri umani si riconoscono originariamente come fratelli”
2.1.
La parola fraternità, scriveva il
Paoli nel Settecento, è una “denominazione presa dall'attaccamento di
sangue, e per conseguenza, d’interesse, d’amore e di cordialità, che suol
passar fra coloro che nacquero da medesimi genitori, fu usata in tutti
i tempi per esprimere una unione ed un affetto necessario per conservare
di ogni e qualunque società la sussistenza a seconda di quanto insegnò
Quintiliano aver ogni società il diritto di fratellanza […] presso tutte
le nazioni vi furon sempre le unioni di persone che presero vicendevolmente
il nome di fratelli. Son celebri presso i Fenici
le fratrie”(24).
La struttura sociale organizzata mediante i moduli della “fratria”
era nota anche presso i popoli cosiddetti primitivi: la fratria “rappresenta
un elemento di coesione nella compagine della tribù
[…]. Essa dava infatti ai componenti di vasti gruppi l'abitudine di considerarsi
come "fratelli", come membri di un'unità superiore, e questo
sentimento era rafforzato dai culti e dalle cerimonie celebrate in comune”
(25). Infatti, Morin sottolinea che nelle società arcaiche “vale a dire
in quelle società che non hanno uno Stato, ciò che lega i membri è l'idea
che essi sono tutti discendenti di un antenato comune che fraternizza.
Tutte le regole di queste società arcaiche sono molto severe, nel rispetto
di coloro che fanno parte di questo "noi". Coloro che fanno
parte della comunità, non debbono essere uccisi, feriti o danneggiati
[…] occorre avere un comportamento comunitario nei loro confronti” (26).
In effetti, la parola fratello già dall’antichità, secondo gli studi dei
linguisti, era potenzialmente estensibile ad altre persone non consanguinee
(27). Il nome “fratello” riposa, osserviamo per inciso, sulla radice sanscrita
bhratr: “is the commun designation of brother from the Rigveda onwards“
(28). Da questa parola abbiamo ricavato nelle varie lingue: bratstvo,
brother, brüderlichkeit, frater, fratria, frère, fratello.
Anche lo studio della cultura greca e romana comprova che è risalente
nel tempo l’estensione delle relazioni proprie tra fratelli di sangue
a persone estranee all’ambiente famigliare. Ad esempio, le citate fratrie
erano note in Grecia: “nella più antica età della Grecia, l’organizzazione
della società era rivolta quasi esclusivamente agli scopi di difesa collettiva,
di qui la necessità che l’individuo trovasse in organizzazioni a base
più ristretta quella tutela giuridica che non poteva invocare dalla polis.
Fra queste la più importante era la fratria, gruppo di uomini legati da
vincoli di sangue e impegnati dalla stessa consanguineità a prestare reciproco
aiuto. In seguito, con il mutamento dei compiti della polis, anche un
forestiero poteva essere iscritto alla fratria” (29).
Il bisogno protettivo era, dunque, molto avvertito nell’ambito della fratria.
Peraltro, proprio la necessità di avere una protezione e un sostegno per
la prole ha forse “generato comunità, tribù, nomadi e villaggi che sono
diventati il fondamento della civiltà umana” (30). Non dobbiamo dimenticare
che la parola “patria”
a noi vicina, evoca sul piano etimologico, in effetti, l’antica aggregazione
tra fratelli (fratria)
(31).
La fraternità permeava anche varie situazioni giuridiche del diritto romano.
Ad esempio, in epoca arcaica esisteva un modello di consorzio fraterno
(consortium
ercto non cito), una forma di proprietà comune indivisa. Alla morte
del pater familias, i fratres, stretti da un vincolo naturale di sangue,
decidevano di stare uniti in modo da realizzare una comunità domestica
in cui il patrimonio familiare rimaneva non diviso (32). Detto istituto
probabilmente fu assunto come archetipo per disciplinare anche i vincoli
associativi avulsi dai legami di sangue (33): infatti “è alla fraternitas
che i giuristi romani si richiamano per consentire anche a soggetti non
legati da tale vincolo naturale di perseguire comuni obiettivi […] dal
consortium tra fratres si arriva, così, al consortium volontario tra estranei
ove la fraternitas permane come legame derivante non dal vincolo di sangue
ma dal consenso. Nel consortium tra estranei è proprio l’assenza del vincolo
di sangue che induce alcune persone a cercare di costruire con il consenso
un vincolo altrettanto forte, se non più forte, perché totalmente voluto
non solo nella fase della conservazione del rapporto ma ancor prima nel
momento di costituzione” (34).
La fraternitas era presente non solo nel diritto privato, ma, in certo qual modo, anche nella sfera pubblica: “Nel sistema giuridico-religioso romano il passaggio da una nozione di fraternitas come rapporto di consanguineità ad un rapporto diverso e più esteso è attestato, già sul piano sacrale, con riferimento all’antico collegio dei Fratres Arvales, i cui componenti erano deputati a proteggere i campi coltivati […]. Abbiamo anche notizia di rapporti giuridici fra il popolo romano e altri popoli improntati alla fraternitas” (35). Tale fraternità è “ricordata già nel De Bello Gallico di Cesare ove si dice che gli Edui erano stati molto spesso, con deliberazioni del Senato, definiti fratelli del popolo romano (Haeduos fratres consanguineosque saepenumero ab senatu appellatos)” e negli Annali di Tacito vi è il riscontro di un’antica fratellanza con il tale popolo (36). La fraternitas era presente, quindi, anche nell’ambito delle relazioni con popoli alleati. In verità, il ricorso alla fraternità per sigillare alleanze è di antica data. Gli esempi del genere sono numerosi: “i re greci che si combattevano fra di loro per la supremazia degli uni sugli altri sigillarono un patto di fraternità che gli unirono per distruggere un nemico comune, la potente armata degli spartani” (37). Osserva Baggio che “nell’area indoeuropea è possibile trovare traccia del concetto di fraternità, usato politicamente, già nell’epoca del Tardo Bronzo, ad esempio, nella corrispondenza diplomatica tra il re di Amurru e quello di Ugarit, o nel trattato tra l’ittita Hattushili III e l’egizio Ramses II” (38).
2.2. Il modello relazionale della fraternitas si espande
e si rafforza nei secoli successivi. Pensiamo, ad esempio, all’istituto
dell’adfratatio (affratellamento), di antiche origini, che si consolida
in epoca medievale, sia per esigenze economiche e di protezione e sia,
talvolta, per finalità altruistiche: “con questo nome si designa l’atto
con cui un elemento estraneo viene immesso nel cerchio familiare. L’affratellamento
è un patto che può avere per oggetto qualsiasi oggetto purché lecito.
Ha due caratteristiche: l’affectio societatis, che si manifesta in una
coabitazione ad unum panem e unum vinum per tutta la vita, e con la parità
di condizioni per i contraenti” (39). Ad esempio, una speciale forma di
affratellamento sviluppatasi nei popoli slavi, era denominata Bratstvo
o Pobratimstvo (40). Queste fraternità erano aperte a soggetti estranei
alla famiglia di origine: ”componenti di famiglie diverse decidevano di
essere tra loro fratelli e sorelle […] il legame che unisce questi fratelli
elettivi è più forte di quello discendente dalla fraternità naturale”
(41).
In tutto il Medioevo, bisogna dire, si sviluppa un intenso senso comunitario, tramite la valorizzazione dei legami di parentela, dei rapporti di vicinato, di amicizia e di lavoro (42). Sono, altresì, presenti nel Medioevo, le fraternità d’armi suggellate tra cavalieri con giuramenti di fedeltà e di sostegno reciproco. Si è rilevato acutamente che “uno spirito nuovo penetra nella vita del Medioevo…i mercanti, i lavoratori cercano nell'associazione i sussidi della difesa comune e dell'aiuto reciproco, e sorgono le nuove corporazioni. In esse si aggiunge un senso nuovo, quello della fede, che distingue le corporazioni medievali dalle antiche; le nuove associazioni si pongono sotto la tutela di un santo, hanno tra i loro fini principalissimo quello delle preghiere in comune, dei suffragi per i defunti, delle sepolture… e come nelle antiche corporazioni, si vuole dare aiuto reciproco agli affiliati, garantire la condizione giuridica degl'iscritti con la conquista e la difesa degl'interessi comuni. Mentre in Italia si formano le unioni dei mercanti e dei professionisti (compagnie, mercadantia, societas mercatorum, collegia notariorum, etc.) o le fratellanze artigiane (fratalea e "fraglie", paratica, ministeria, artes, officia), sorgono in Francia le confraternitates o confréries tra i mercanti e gli artigiani e i collegia dei professionisti; si formano in Inghilterra le corporazioni religiose, mercantili e artigiane, che si dissero "gilde" o guilds, non meno che nella Svezia e nei Paesi Bassi; si moltiplicano in Germania le associazioni giurate, che si dissero Innungen, Gilden, Zünften, non altrimenti che i gremios della Spagna” (43).
Secondo Durkheim
“come la famiglia è stata il contesto in cui si sono formati la morale
e il diritto domestico, così la corporazione è stata il contesto naturale
in cui sono stati elaborati la morale e il diritto professionale. È soprattutto
la corporazione medievale a svolgere un ruolo di grande importanza per
la società contemporanea per il posto centrale che essa ha occupato all’interno
della società” (44). Una notevole rilevanza ebbero evidentemente i comuni
giurati (45) relativamente ai quali il fraternizzare, secondo Weber, “non
significava esclusivamente garantirsi certe prestazioni utili con finalità
pratiche… ma diventare qualitativamente qualcosa d’altro rispetto a prima.
Gli associati devono lasciare che un’altra ‘anima’ penetri in loro” (46).
3. Il quid novi della fraternità nella prospettiva
cristiana.
3.1.
Come sopra rilevato, si sviluppano in età medioevale, effettivamente,
aggregazioni animate non solo da legami intercorrenti tra i pochi soggetti
ammessi per soddisfare interessi comuni (familiari, di vicinato o di lavoro),
ma anche da legami propri della fraternitas cristiana: pensiamo alle confraternite.
Infatti, “sorse un'enorme quantità di associazioni laicali (molte delle
quali denominate confraternite), che promuovevano una più intensa pratica
di rapporti fraterni, sia fra i componenti sia verso l'esterno, e che
hanno influito sia sul diritto (ad esempio, per quanto riguarda la teoria
della persona giuridica), sia sulla società nel suo complesso ponendo
le premesse per i moderni servizi sociali e di assistenza. Non mancarono,
anzi, visioni che andavano assai al di là della società del tempo: lo
spirito di fraternità verso tutta la realtà naturale e cosmica prospettato
da San
Francesco non appare oggi così moderno da poter costituire uno spunto
di giustificazione teorica per una legislazione che protegga l'ambiente?“
(47)
Secondo gli studiosi, le citate confraternite potrebbero essere identificate
come “gruppo variamente composto da laici e chierici, da uomini e donne,
consociatisi nelle città come nelle campagne per scopi di edificazione
religiosa, di solidarietà devota, di impegno liturgico, di pratica penitenziale
e caritativa, di socializzazione, di crescita pedagogica, di sostegno
reciproco” (48).
La fraternità in epoca medioevale e rinascimentale, su impulso della cultura
cristiana, effettivamente, “mostra una grande ricchezza di contenuti:
si va dal significato teologicamente "forte" della fraternità
"in Cristo", ad una miriade di manifestazioni pratiche, che
partono dalla semplice elemosina, al dovere dell'ospitalità e della cura,
alla fraternità monastica che presuppone la convivenza e la comunione
dei beni, fino a complesse opere di solidarietà sociale che, soprattutto
in epoca medievale e moderna, precedono i nostri attuali sistemi di welfare”
(49). Si è osservato a questo proposito che “l’Italia dell’Umanesimo civile
è il luogo in cui hanno preso avvio ed hanno iniziato ad operare quelle
istituzioni per il cambiamento umano che oggi chiamiamo Terzo
settore” (50). Il valore cristiano di fraternità in queste epoche,
ancorché non si manifesti con pienezza nella intera vita sociale, quanto
meno “ha trovato modo di esplicarsi in istituzioni capaci di cambiare
il modo di vivere sociale” (51). Il valore della fraternitas cristiana
non resta, in effetti, confinato in aggregazioni umanamente chiuse. Ma
qual è il quid novi della fraternità cristiana?
Appare opportuno sottolineare che, malgrado il termine “fraternità” non
sia stato coniato dal cristianesimo, “è stato il concetto cristiano a
esercitare l'influenza culturale più profonda e durevole. I primi cristiani
mutuarono dagli Ebrei l'uso di chiamare 'fratelli' i correligionari” (52).
Sulla matrice cristiana della fraternità,
Aïvanhov osserva: “anche se sono atei, i nostri contemporanei devono
ammettere che la nozione di fraternità è stata portata loro dal cristianesimo.
Certamente, anche prima di Gesù alcuni Saggi avevano potuto insegnare
il rispetto e l'amore del prossimo [...] anche Buddha insegnava la benevolenza
nei riguardi di tutte le creature e la compassione per le immense sofferenze
che esse debbono subire durante tutta la loro vita terrena. Ma il sentimento
di benevolenza o di compassione non è la stessa cosa del sentimento di
fratellanza, della coscienza di appartenere a una sola e medesima famiglia.
È dunque la filosofia di Gesù, trasmessa attraverso il cristianesimo,
che ha permesso al sentimento di fraternità di svilupparsi nel mondo occidentale"
(53). Anche per Baggio “si può non credere in Dio: ma si deve prendere
atto che, nella storia umana, è con Gesù che viene introdotta la categoria
della fraternità, che spiega come gli uomini, prima di appartenere ad
una razza, ad una cultura, ad un popolo, sono fratelli: la comunità umana
è la prima comunità, quella che rende possibili tutte le altre, e la fraternità
è il legame che la definisce” (54). Secondo Donati,
i Vangeli enunciano “un cambiamento strutturale e simbolico della relazione
di amore: prima gli uomini erano ‘servi’ (di Dio), dopo sono i suoi ‘figli’,
la formula positiva «ama il prossimo tuo come te stesso» implica una relazionalità
fatta di amore tra fratelli” (55).
È fondamentale porre in luce che con il cristianesimo, la parola fraternità
non identifica più un modello relazionale affettivo proprio della famiglia
di sangue o una relazione di interesse intercorrente tra determinati soggetti
all’interno di gruppi (fratrie, corporazioni, confraternite, etc.) o tra
popoli a scopo di aiuto e sostegno (alleanze), ma esprime nuove qualità,
ovvero, la universalità e la pari dignità in virtù della comune discendenza
divina. Anche Debray
osserva che la parola fraternitas, come sinonimo di appartenenza a una
famiglia unica e non a un gruppo umano ristretto, appare per la prima
volta presso gli autori cristiani (56). In questa prospettiva, la fraternitas
supera i confini dei legami di sangue, di etnia e di interesse, etc.
Il modello relazionale cristiano esprimendo una fraternitas universale,
oltrepassa i modelli relazionali implicanti protezione tra i componenti
di un dato gruppo, ma potenziale ostilità verso coloro che sono estranei
allo stesso gruppo (57). La fraternità cristiana non può essere una aggregazione
limitata ad alcuni esseri umani, non può essere escludente e parziale.
La fraternità cristiana comporta logicamente e necessariamente l’idea
di una sola famiglia umana. La fraternità in questo approccio non è un
semplice modulo di organizzazione dei gruppi sociali, non è una strategia
adattiva della specie, ma una verità oggettiva sul piano spirituale. La
fraternitas esprime una verità nel senso che noi esseri umani, nella componente
spirituale, siamo fratelli in quanto effettivamente figli dello stesso
Padre. Ciò che facciamo agli altri, tra l’altro, lo possiamo percepire
anche su di noi poiché siamo effettivamente “tutti uniti”. Il problema
storico della idea di fraternità cristiana è dato dal fatto che mentre
le fratrie, i gruppi, e corporazioni e le fraternità parziali sono realtà
storiche valutabili, la fraternità cristiana, fatta salva l’azione esemplare
di singole individualità, resta ancora una tappa da raggiungere. La fraternità
resta, ancora, una verità spirituale non incarnata sul piano della realtà
umana e sociale in quanto non è ancora entrata pienamente nelle coscienze
e nei comportamenti umani. Ma, nondimeno la sua presenza e le aspettative
che essa ha generato, hanno modificato radicalmente la progettualità umana
in quanto hanno prodotto nella società valori che sono stati interpretati,
anche in termini laici: pensiamo allo spirito solidaristico, al bisogno
di dignità, al bisogno di rivalutazione dell’essere umano anche se povero,
anche se privo di cultura e di potere sociale, anche se straniero, anche
se malato. Questo bisogno di solidarietà e di dignità ha agito concretamente
anche sulla coscienza dei movimenti politici e sui loro programmi di azione,
come evidenzieremo in seguito (cfr. modulo II). Maritain
ha osservato giustamente che “grazie all’ispirazione evangelica, spesso
misconosciuta, ma sempre attiva, la coscienza non s’è soltanto ridestata
alla comprensione della dignità della persona umana, ma anche alle ispirazioni
e all’anelito che agiscono nelle sue profondità… è venuta a stimolare
l’aspirazione naturale della persona a riscattarsi dalla miseria, dalla
servitù e dallo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo” (58).
4. La fraternità, principio politico: l’esperienza della Rivoluzione francese.
“L’esperienza francese appare straordinaria in quanto in essa si sono manifestate quasi tutte le interpretazioni possibili della idea di fraternità”
4.1
A partire dalla fine del Settecento
e sino alla metà dell’Ottocento, l’idea di fraternità ha una innovativa
spinta ideale grazie, soprattutto, alla Rivoluzione
francese. L’idea di fraternità in questo periodo storico supera i
confini delle singole famiglie, delle comunità religiose e delle corporazioni
ed entra, concettualmente, in un programma politico concernente direttamente
il popolo. Infatti, tutti gli studi sulla fraternità riservano grande
attenzione all’esperienza storica maturata dal popolo francese in tema
di fraternità (59). Nel periodo storico della rivoluzione si cerca, se
pur per un breve lasso di tempo, da parte di talune forze politiche di
tradurre la fraternità in un valore laico della vita sociale.
Con la Rivoluzione francese la fraternità, per la prima volta, viene accostata
agli altri due principi che caratterizzano anche oggi le nostre democrazie
contemporanee e che esprimono “una sintesi magistrale di tutte le utopie
umane” (60): la libertà e l’uguaglianza. In effetti, tuttora i tre valori
del trittico rappresentano “il nucleo normativo e il criterio interpretativo”
della nostra società, e definiscono “con particolare vigore sintetico
il progetto moderno di società desiderabile”, esprimendo “la tensione
fondamentale tra aspettative di libertà e di autorealizzazione dell’individuo”
(61).
In epoca rivoluzionaria, la fraternità non è intesa, come nel Medioevo,
quale valore relazionale tra i membri che fanno parte dei corpi intermedi
verso i quali si nutre ora, invece, un forte pregiudizio (vedi la legge“
“Le
Chapelier” del 1791 con la quale vengono soppresse le corporazioni
in quanto espressione dell’ancien
règime) ma quale valore relazionale che deve intercorrere direttamente
tra il popolo cioè il cittadino e il suo Stato, la sua Patria: tutti i
cittadini sono, infatti, fratelli. Tra gli interessi individuali e quelli
generali non sono più ammessi interessi intermedi.
Appare necessario precisare, per meglio inquadrare l’intenso dibattito
maturato in epoca rivoluzionaria sulla fraternità, che nella storia vi
sono state, da sempre, anime spiritualiste e laiche che, pur accettando
il messaggio cristiano di fraternità, non hanno inteso riconoscere, nel
contempo, il ruolo temporale e religioso delle istituzioni religiose e
le relative interpretazioni sul messaggio evangelico (cfr. modulo II).
In termini ancora più chiari, coloro che riconoscono il valore dei Testi
sacri e le figure dei Mistici,
non sempre riconoscono le istituzioni religiose e le relative dottrine
religiose. Infatti, nella mente di alcuni rivoluzionari, l’idea di fraternità,
pur originata dai Vangeli, appariva molto diversa da quella proposta dalle
istituzioni religiose. Ad esempio, Michelet,
un famoso storico del tempo, opponeva alla fraternità ritenuta figlia
della religione cattolica, la fraternità nata dalla Rivoluzione e nel
1847 scriverà: «Au lieu de la fraternité de parenté qu'enseignait le christianisme,
fraternité obtenue au prix d'une solidarité injuste entre le pécheur et
l'innocent, la Révolution a enseigné la fraternité de la justice avec
responsabilité personnelle: chacun comptant pour soi, mais voulant compter
avec les autres, voulant créer solidarité fraternelle» (62). I rivoluzionari,
secondo Michelet, intendevano “rompere il legame con la ereditarietà cioè
con l’idea di una fraternità umana collegata al peccato originale” e non
volevano “procrastinare la fraternità ad una vita ultraterrena” in quanto
ritenevano di doverla realizzare nella “vita da condurre qui sulla terra”
(63). Michelet poneva anche in luce il fatto che non occorreva cercare
la grazia “per vivere la fraternità in quanto tutti sono già fratelli”
(64). Anche sulla base di queste riflessioni, alcuni storici distinguono
la “fraternité révélées” fondata sulla rivelazione giudaico-cristiana
dalla “fraternité rationalisée” fondata sulla cultura illuministica della
ragione che accomuna gli uomini (65).
Il dibattito dei rivoluzionari sulla fraternità è intenso, ma non sfocia
subito in riconoscimenti formali (66). Il principio di fraternità, infatti,
assente nella Déclaration
des Droits de l’homme et du citoyen del 1789, nella Constitution
del 1791 e in quella del
1793, sarà accolto ufficialmente solamente con la Costituzione
repubblicana del 4 novembre 1848 (67) ,“puis répudiée par le Second
Empire, elle reprend finalement sa place au sein de la devise officielle
à la suite de la victoire électorale des républicains en 1880. Elle y
demeurera jusqu’à aujourd’hui, exception faite d’une courte éclipse sous
le régime de Vichy”
(68).
Il tardivo riconoscimento formale della fraternità si spiega con il fatto
che, malgrado i sermoni dei sacerdoti patrioti (69), sul piano squisitamente
politico, nell’ambito della triade rivoluzionaria, proprio la fraternità
si rivela la componente più debole. Si è osservato che “molto presto,
la fraternità non è stata amata nel trittico “Libertà, uguaglianza, fraternità”.
È stata accantonata... all'ombra di quei due grandi pilastri repubblicani
che sono tutt’ora la libertà e l'uguaglianza. Gli storici offrono generalmente
tre tipi di ragioni per questa emarginazione politica: l'incompatibilità
della fraternità con la legge del terrore, l'atmosfera della quale la
fraternità è circondata e che la rende poco operativa e le sue origini
cristiane” (70). Resta, invece, sul campo politico il valore innovativo,
ma meno impegnativo, della solidarietà tramite la quale alcuni, come P.
Leroux, tentano di laicizzare il concetto di carità cristiana (71).
L’idea di solidarietà sembrava più convincente rispetto a quella di fraternità,
sul piano politico, perché “poteva assumere, per la mentalità positivista
del tempo, una apparenza di scientificità, come interprete dei legami
oggettivi di interdipendenza esistenti tra gli uomini nella società, mentre
la fraternità veniva inserita in un ambito più soggettivo e affettivo;
sembrava, inoltre, più facilmente utilizzabile come principio giuridico,
mentre la fraternità si faceva valere soprattutto come dovere morale;
infine, la solidarietà permetteva, almeno apparentemente, di conservare
i contenuti della fraternità, tagliandone però i suoi legami con la sfera
religiosa dalla quale proveniva: sembrava prestarsi meglio, di conseguenza,
ad ispirare una azione civile e pubblica, di carattere non confessionale”
(72).
Peraltro, l’idea di fraternità sul piano giuridico non appariva coerente
con la logica individualista e contrattualista dello Stato moderno (73).
Infatti, si è detto che la fraternità non arriva a concretizzarsi storicamente
anche perché essa avrebbe dovuto essere accettata da “un mondo di persone
altamente individualiste, influenzate da ciò che l’ideologia dominante
considera legittimo, e addirittura sacro, l’egoismo nei propri interessi
economici, la necessità di espressione piena della propria individualità”
(74). L’idea di fraternità coltivata in questo straordinario periodo storico
entra dunque in crisi, beninteso, sotto il profilo politico-giuridico,
anche a causa della sua asserita “incapacità di fondare in modo duraturo
i diritti e le obbligazioni sociali” (75).
A ben vedere anche nel 1848, il principio di fraternità,
per quanto accolto formalmente nell’ordinamento giuridico francese, viene
inteso nella realtà quale principio di solidarietà (76). Nel discorso
di presentazione della Costituzione all’Assemblea nazionale, il primo
ministro ministro
Dufaure, infatti, afferma: “l’assistenza riassume ormai il grande
dovere di fraternità che la Repubblica ha la missione di compiere [...].
Per la prima volta il precetto cristiano, che ha rinnovato la faccia del
mondo 1800 anni fa, diviene la base di tutto un codice amministrativo”
(77). Viene affermata con chiarezza, quindi, l’equivalenza tra fraternità
e solidarietà intesa come assistenza del potere pubblico (cfr. modulo
III).
Verso la fine dell’Ottocento, la solidarietà prenderà il posto della fraternità
sia nelle dottrine liberali che in quelle socialiste: “solidarietà è,
da un lato, un termine proprio del movimento operaio internazionalista,
atto a definire un legame (di classe) scelto e non predeterminato dalla
nascita, dall'etnia, dalla religione [...] dall'altro un termine inscritto
nel filone di pensiero correttivo e riformatore dell'individualismo liberale.
In questo secondo caso il legame ipotizzato non rappresenta tanto il frutto
spontaneo della collocazione sociale, quanto una costruzione politica
dei ceti dirigenti, una rete di protezione assicurativa che si è venuta
variamente disegnando in risposta all'ambiente economico-sociale, culturale
e politico del singolo paese” (78).
Peraltro, detta equivalenza tra fraternità e solidarietà appare persistere
tuttora nella cultura francese. Afferma, infatti, Mattei: “Non so se sia
così in Italia, ma da noi in Francia, dal diciannovesimo secolo a questa
parte c’è stata una confusione deplorevole tra la fraternità e la solidarietà...
intendere la solidarietà come un sinonimo della fraternità... sarebbe
come oscurare e neutralizzare il significato profondo della fraternità.
Intendere la solidarietà come sinonimo della fraternità impedisce a quest’ultima
di sprigionare tutte le sue potenzialità rivoluzionarie” (79).
Il fatto che la fraternità sia stata interpretata in modo riduttivo e trasformata politicamente e giuridicamente in solidarietà non può essere, comunque, sottovalutato, stante le grandi conquiste ottenute in quell’epoca grazie alla idea di solidarietà (80) e stante il fatto che non si conoscono Stati che abbiano a tutt’oggi realizzato la fraternità. Ricorda Le Goff che proprio “una nuova generazione di diritti umani, i “diritti sociali”, affonda qui le proprie radici. Nel 1848 appaiono il diritto all’assistenza e il diritto al lavoro, in seguito il diritto all’esistenza, il diritto alla protezione, il diritto alla salute, all’istruzione, etc. Qui lo Stato sociale trova la propria matrice. Al contempo, il mondo del lavoro sperimenta la potenza della fraternità” (81). Anche Zamagni osserva che le stagioni che abbiamo lasciato alle spalle nell’Ottocento e nel Novecento, al di là dei loro limiti connessi al rifiuto della fraternità, “sono state caratterizzate da grosse battaglie sia culturali sia politiche in nome della solidarietà; e questa è stata una cosa buona: si pensi alla storia del movimento sindacale e alla lotta per la conquista dei diritti civili” (82).
4.2. L’esperienza francese appare straordinaria in quanto
in essa si sono manifestate quasi tutte le interpretazioni possibili della
idea di fraternità. L’esperienza francese è stata una sorta di laboratorio
di fraternità. In epoca rivoluzionaria e repubblicana, l’idea di fraternità
non ha avuto, infatti, un significato univoco in quanto è stata alimentata
da motivazioni composite e talora confliggenti (83): erano presenti esigenze
patriottiche, istanze di aperta lotta sociale, lotte di potere tout court,
aspirazioni ideali che taluni ritenevano riservate agli uomini e non alle
donne (come era il caso del suffragio universale), aspirazioni ideali
che taluni coniugavano con la pratica del terrore rivoluzionario (“fraternité
ou la mort”) (84) e che altri ritenevano compatibili con l’accettazione
della tratta dei neri e l’economia schiavista delle colonie francesi (85).
Tra le motivazioni più significative vi è senza dubbio quella “politica”,
nel senso che la fraternità è una idea sulla base della quale radicare
e compattare l’identità dei cittadini intesi come “uomini liberi dal dispotismo
regio e dai privilegi del clero e della nobiltà, eguali di fronte alla
legge e fratelli nella nazione francese” (86). Il principio di fraternità
è declinato, dunque, come “fraternità nazionale” e diventa parola d’ordine
quando la nazione viene ad essere minacciata da eserciti stranieri o da
frammentazioni e divisioni interne (87). Questa idea di fraternità consente
di costruire un’unità nazionale e di combattere per essa. Se teniamo conto
del contesto storico del tempo, questa idea di fraternità, anche se parziale,
è molto costruttiva in quanto consente di superare le limitazioni del
potere religioso e feudale e di dare vita a un nuovo ordine sociale denso
di grandi speranze. Nel cuore dell’Ottocento questa idea politica di fraternità
si diffonde e diventa anche “solidarietà internazionale con tutti i popoli
che lottano contro la tirannia” (88). Come è stato rilevato, la concezione
illuminista ha anche valorizzato l’idea cosmopolita di fraternità
tra i popoli (89).
Ma sono presenti sul piano motivazionale anche aspirazioni a idealità
spirituali, come si evince, ad esempio, da una circolare
governativa dell’epoca ove si legge: ”La fraternité c’est la loi de
l’amour de la découlent: l’abolition de tout privilège, la répartition
de l’impôt en raison de la fortune, un droit proportionnel et progressif
sur les successions [...] le service militaire pesant également sur tous,
une éducation gratuite et égale pour tous, l’instrument du travail assuré
à tous” (90). Alcuni, in effetti, tentano di dare alla fraternità cristiana
una veste sociale e politica. Ad esempio, Lamartine
scrive nel 1834 agli elettori di Bergues: ”J'ai lutté pour la liberté
individuelle, pour que le principe de charité et de fraternité chrétienne,
qui anime et féconde la religion, fût enfin introduit dans la politique
et écrit graduellement dans nos lois comme il l'est déjà dans nos cœurs”
(91). Lamennais
sostiene che l'azione di Dio tende ӈ coordonner les nations, comme les
membres d'une seule famille, dans un système de fraternité universelle
par l'obéissance au père commun, et à établir la prééminence du droit
sur les intérêts, en substituant partout la justice à la force” (92).
D’altronde, gli studiosi non hanno difficoltà a riconoscere la matrice
spirituale della rivoluzione francese: l’idea rivoluzionaria della fraternità,
si è detto, “rintraccia le sue scaturigini più profonde in quelle di fraternitas
e di caritas cristiana, come amore per il prossimo, idee che, per prime,
esprimono un concetto intrinsecamente universalistico ed egualitario della
relazione tra le persone” (93) (cfr. modulo II).
5. Le speranze di una “Fraternité vivante” e la pedagogia per la realizzazione della fraternità.
“Nella prima metà del Novecento, appare un quid novi nella storia del Pensiero sulla fraternità: un insegnamento pedagogico focalizzato sulla realizzazione della fraternità”
5.1. Bisogna dare atto che nella metà dell’Ottocento vi è pure l’ambizione da parte di taluni di far diventare la Francia il paese simbolo della autentica fraternità: “Ce principe, cette idée, enfouis dans le moyen âge sous le dogme de la grâce, ils s'appellent en langue d'homme la fraternité... Cette nation, considérée ainsi comme l'asile du monde, est bien plus qu'une nation; c'est la fraternité vivante” (94). Ma il tentativo di dare un abito laico alla fraternità, come abbiamo constatato, non riesce e la Francia non diventa una “fraternité vivante” in quanto politicamente opta per una fraternità, soprattutto, di tipo razionale (la solidarietà verticistica), sensibile al piano giuridico, inidonea a mettere in discussione la condotta di vita del singolo. Ma una fraternità, senza il coinvolgimento dell’anima, non può diventare “vivante”. Forse, è mancato il coraggio di aprirsi al valore interiore dell’Ideale di fraternità e di mettere in discussione gli interessi della vita individuale. La Francia ha, comunque, il grande merito di aver lanciato l’idea “laica” di fraternità, anche se si è fermata a metà strada: ha ritrattato quanto aveva sognato sull’onda dei primi entusiasmi e ha preferito porre nel silenzio la stessa parola “fraternità” (95).
È interessante osservare che, a fine Settecento, Kant
riteneva il popolo tedesco idoneo a fornire un sostegno, in una prospettiva
cosmopolita, a una Lega dei popoli della Terra in quanto i tedeschi “sono
fatti per raccogliere e unificare ciò che v’è di buono in ciascuna nazione”
(96). Nella metà dell’Ottocento, Michelet pensava, invece, che la Francia,
come abbiamo sopra rilevato, avrebbe potuto incarnare “l’Evangile de l’egalité”
e le “Verbe du monde social” (97); chi vuol conoscere i destini del genere
umano, sosteneva, ”doit approfondir le génie de l'Italie et de la France.
Rome a été le nœud du drame immense dont la France dirige la péripétie”
(98). La Francia avrebbe dovuto proseguire nella vita sociale quanto annunziato
dal Vangelo. Il genio di Michelet aveva colto un grande e possibile disegno
di fraternizzazione della umanità.
Anni dopo, ma sempre nello stesso secolo, Dostoevskij
augurava, e non era il solo, al popolo russo e all’Oriente di realizzare
la missione di portare la fraternità universale sulla Terra, come “unione
spirituale di tutti gli uomini” (99).
Ma, a distanza di molti anni e dopo molteplici traversie, non abbiamo
ancora compiuto l’ulteriore passo in avanti della nostra storia di uomini.
La storia ci dirà quale Paese o quali popoli proseguiranno l’opera di
portare a ulteriore sviluppo l’idea di fraternità universale (100).
Per completare questa notazione, occorre dare atto che nella prima metà del Novecento, appare un quid novi nella storia del Pensiero sulla fraternità. Un Insegnamento pedagogico focalizzato sulla realizzazione “interiore” della “fraternità” nasce in Bulgaria ad opera di P. Deunov e viene, successivamente, trasmesso in altri Paesi ad opera di O. M. Aïvanhov, proprio a partire dalla Francia. La speranza di una “fraternité” autentica torna in auge, quale pacifica conquista interiore individuale e, conseguentemente, collettiva. L’insegnamento in questione, infatti, si prefigge di supportare, a livello pedagogico, proprio il passaggio “epocale” dell’uomo verso l’ulteriore sviluppo realizzativo della fraternità, cercando di rispondere alla domanda fondamentale concernente il “come” costruire e maturare una coscienza di fraternità universale. Pur non volendo ridurre il legittimo valore di altre impostazioni filosofiche o pedagogiche, a ben vedere, questo Insegnamento, tuttora, appare come un unicum in materia in quanto esamina tutta l’area dell’agire umano e dei bisogni umani, prospettando, con argomentazioni e metodi, percorsi concreti di perfezionamento della coscienza in vista di una convivenza fraterna e universale. Va anche aggiunto che, da subito, alla cultura ufficiale non appare estremamente digeribile questo Insegnamento poiché esso è finalizzato al miglioramento del vissuto quotidiano e coinvolge necessariamente quelle aree sensibili dell’ego che la prevalente cultura (e non solo quella del Novecento) tradizionalmente fatica a mettere in discussione. Ma i progressi scientifici degli ultimi decenni confermano, sempre più, la fondatezza scientifica dell’impianto pedagogico in questione che appare destinato a una crescente e naturale legittimazione. Ad esempio, pensiamo alla rilevanza “cognitiva”, riconosciuta in sede scientifica, del modo di vivere del nostro organismo: essa comprova che la qualità degli atti della nostra vita quotidiana (modo di pensare, di sentire, di nutrirsi, di amare, etc.) agisce sulla nostra coscienza e sulla nostra intelligenza (cfr. modulo VIII). Ciò vuole dire, per essere più chiari, che qualunque trasformazione interiore o coscienziale esige non solo abilità intellettuali, ma anche una revisione e reimpostazione della qualità degli atti della vita quotidiana. Quindi, se vogliamo promuovere la conoscenza e la coscienza della fraternità dobbiamo necessariamente coinvolgere tutto il nostro modo di essere e di vivere, come si evince, ad esempio, a nostro avviso, dalla teoria della conoscenza della scuola di Santiago, sviluppata dai due famosi biologi cileni, Maturana e Varela (cfr. modulo VIII), ripresa, tra gli altri, anche dagli scienziati Fritjof Capra e P. Luigi Luisi nel loro recente volume "Vita e Natura".
Ma noi, purtroppo, non siamo molto disponibili a modificare il nostro
“privato” e le nostre ambizioni. Abbiamo il timore di intervenire sui
nostri comportamenti quotidiani e ciò spinge molti di noi a restare nei
confini della confortevole conoscenza meramente intellettuale. Non a caso,
la prevalente cultura ufficiale non si è mai occupata del ”come” costruire
una coscienza fraterna. Ma anche in questo campo bisogna riconoscere che
nuove generazioni di studiosi stanno apportando innovazioni importanti
rispetto alle impostazioni tradizionali del sapere.
In definitiva, abbiamo conosciuto dopo i Vangeli, poemi, saggi, testi
di filosofia e di spiritualità elevati e molto importanti sul tema della
fraternità umana. Ma la storia non ci aveva ancora consegnato un’opera
pedagogica dedicata completamente al “come” sviluppare, al come “tessere”
gradualmente la coscienza fraterna in tutte le manifestazioni della nostra
vita quotidiana, cioè a “come” raccordare la nostra vita vissuta al valore
della fraternità. Per questa ragione, ci è apparso doveroso dare contezza
in questa sede dell’Insegnamento pedagogico in questione, focalizzato
proprio sulla preparazione e maturazione della coscienza di fraternità
universale.
6. La fraternità, principio ispiratore dell’ordinamento
giuridico e della vita sociale. Uno sguardo all’ordinamento italiano.
6.1.
Mentre, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento,
l’idea di fraternità sul piano politico si eclissa, cedendo il posto alla
solidarietà,
la liberté
e l’egalité
si avviano, invece, verso una grande fioritura e diventano “vere e proprie
categorie politiche, capaci di esprimersi sia come principi costituzionali,
sia come idee-guida di movimenti politici”, dando vita a due opposte visioni
del mondo, a due sistemi economici e politici diversi: il liberismo
e il socialismo
(101).
L’eclissi sul piano politico-giuridico non ha prodotto, evidentemente,
il tramonto definitivo del valore etico della fraternità che invece ha
continuato ad agire come una sorta di “fiume sotterraneo” (102), portando
linfa al terreno sociale. L’uso della parola “fraternità” in effetti declina,
ma l’intuizione di cui essa è portatrice continua a operare (103). Con
il passare degli anni, scomparirà quasi del tutto “nel linguaggio delle
scienze sociali […] ma il concetto riemergerà continuamente in sinonimi
come cooperazione, lealtà, mutualità, reciprocità” (104). La fraternità
resterà di fatto un potente agente di cambiamento sociale, anche perché,
con il trascorrere del tempo, il quadro generale di favor verso la libertà
e l’uguaglianza inizierà a mutare profondamente nel senso che si prenderà
atto, con graduale e crescente consapevolezza, che la sperimentazione
sociale della liberté ed egalité non dà gli esiti sperati. Comincerà a
farsi strada l’idea che la fraternità debba tornare ad essere rivalutata
per superare le situazioni di sofferenza sociale e umana ancorate alle
pratiche delle sole libertà ed eguaglianza.
L’ordine sociale ed economico costruito con i principi di libertà ed eguaglianza
inizierà, dunque, ad entrare in una profonda crisi dalla quale non siamo
ancora usciti. Entreranno in crisi gradualmente: il sistema solidaristico
di matrice verticistica; la possibilità di dare vita a una società più
giusta tramite le presunte virtù benefiche del mercato e la capacità dello
Stato di redistribuire la ricchezza prodotta; l’idea di una fraternità
valida solo tra le classi sociali oppresse, etc. Cioè molti progetti di
cambiamento o mantenimento della società, nutriti da laici e da religiosi,
con il tempo, mostreranno vistosi limiti e insuccessi che paiono a noi
irreversibili (105).
I due principi di libertà ed eguaglianza non riusciranno, inoltre, a impedire
le atrocità dei
conflitti mondiali, attestando, in tal modo, la loro inadeguatezza
sul piano della garanzia di una convivenza pacifica tra i cittadini.
6.2. Infatti, a partire dal secondo dopoguerra il principio
di fraternità viene richiamato in numerose fonti giuridiche. In particolare
la fraternità si ripresenta ufficialmente in seno al movimento dei diritti
umani nel periodo post-bellico. L'articolo 1 della Dichiarazione Universale
dei Diritti dell’uomo adottata dall'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 afferma: "Tutti
gli esseri umani […] devono agire gli uni verso gli altri in spirito di
fratellanza".
L’idea di fraternità, secondo la ricostruzione prospettata da un autorevole
giurista canadese, alimenta sul terreno giuridico, dalla seconda metà
del Novecento, tenendo conto “de l’esprit de la loi plutôt qu’à sa lettre”,
valori importanti quali “giustizia e equità, fiducia, l'inclusione dei
membri della comunità che a causa della loro vulnerabilità necessitano
di una protezione speciale e di impegno da parte di altri […] l'idea di
cooperazione, vale a dire, il perseguimento di interessi comuni attraverso
la messa in comune di risorse, un'idea che a sua volta evoca la redistribuzione
della ricchezza” (106).
La fraternità viene, poi, recepita anche nelle Costituzioni di diversi
Stati: ”questo è specialmente il caso di paesi, soprattutto di quelli
legati alla tradizione costituzionale francese. Nei casi più evidenti,
il principio di fraternità è espresso direttamente, spesso in un preambolo.
Questo è il caso di Haiti, Guinea Equatoriale, Benin e Camerun. Negli
altri casi, molto più numerosi, la fraternità non è citata direttamente,
ma è espressa dalla presenza di valori e principi correlati, quali la
solidarietà, la giustizia sociale, lo stato sociale, la dignità dell'uomo,
la tolleranza o concetti simili” (107). Per tali ragioni, si è pure affermato
che “l'idea di fraternità potrebbe ritenersi in qualche modo immanente
all'evoluzione del costituzionalismo” (108). Anche la Carta
araba dei diritti dell'uomo adottata il 15 settembre 1994 con risoluzione
n. 5437 dal Consiglio della Lega degli Stati Arabi, entrata in vigore
il 24 gennaio 2008, menziona il principio di fraternità sia nel preambolo
sia all’art.1, come valore universale al quale deve ispirarsi il musulmano
(109).
I riconoscimenti giuridici, espliciti e impliciti, della idea di fraternità
attestano, senza dubbio, una rinnovata sensibilità al valore della fraternità
civica.
6.3. Se
diamo uno sguardo all’ordinamento giuridico italiano possiamo osservare
che la nostra Costituzione
non reca, in verità, riferimenti espliciti alla fraternità sia perché
il concetto giuridico di fraternità nella nostra tradizione giuridica
è correlato al diritto privato della famiglia (110), sia perché la mediazione
tra i costituenti porta all’idea di impiegare la parola “solidarietà”
prevista poi all’art. 2 Cost. (111) Ma va detto che già nei primi commenti
pubblicati nel 1948, era stata palesata dai giuristi la connessione tra
fraternità e la solidarietà recepita dall’art. 2 Cost. (112). Ciò si spiega
con il fatto che la parola “solidarietà” nel testo costituzionale abbraccia
sia la solidarietà "verticale" (il cd. Welfare
state) concernente le misure delle istituzioni pubbliche a favore
dei cittadini (art. 3, comma 2), sia la solidarietà "orizzontale"
o "fraterna" concernente “gli atti solidaristici che le persone
(anche per il tramite delle formazioni sociali cui aderiscono) fraternamente
si scambiano” (113). La nostra Costituzione accoglie, dunque, entrambe
le accezioni di solidarietà, superando, come è stato osservato, i contrasti
tra la solidarietà a favore dei deboli da parte dello Stato in attuazione
di obiettivi di giustizia sociale e la solidarietà da parte di gruppi
privati, laici o religiosi, in ossequio a “precetti ultraterreni di realizzazione
del regno di Dio” (114).
La nostra Costituzione recepisce anche altri precetti giuridici potenzialmente
idonei a veicolare il valore della fraternità: pensiamo alla recente sussidiarietà
orizzontale, alla tutela della dignità, nonché al progresso spirituale
della società (art. 4 Cost.), forse disatteso dal mondo dell’arte e della
cultura.
I concetti di sussidiarietà
e di dignità
meritano una riflessione aggiuntiva. Mentre la solidarietà in talune sue
espressioni (alludiamo a quella verticale) valorizza, soprattutto, il
mero aiuto alla persona bisognosa e in ragione di ciò è stata ritenuta
distante dall’idea di fraternità, la sussidiarietà valorizza, in tutti
i casi, l’autonomia e la responsabilità del singolo eventualmente bisognoso
in quanto l’intervento in suo ausilio (subsidium) avviene solo e nei limiti
in cui occorra (115). In questa prospettiva il soggetto bisognoso (a seconda
dei casi, il singolo, la formazione sociale minore, etc.) non è assorbito
(come accade nel collettivismo totalitario) e non è abbandonato a se stesso
(come accade nel liberalismo individualista). La sussidiarietà nella sua
essenza, come ha osservato Donati, è sussidiarietà relazionale la quale
“consiste nell’aiutare l’altro a fare ciò che dovrebbe” e può svilupparsi
in senso verticale, orizzontale o laterale, a seconda della natura dei
problemi e dei soggetti in causa” (116). Questa nuova idea impatta anche
nelle relazioni tra singolo e pubblico potere in quanto l’amministrare
per sussidiarietà comporta che i cittadini non sono più separati e contrapposti
rispetto al potere pubblico, non sono più soggetti passivi (cittadini
amministrati, utenti o clienti) ma alleati per perseguire insieme la missione
costituzionale della Repubblica (117).
La nostra Costituzione recepisce anche un altro precetto fondamentale:
quello della tutela della dignità umana. La dignità è oggetto di tutela
anche all’art. 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Recita detto articolo “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali
in dignità e diritti”. A ben vedere la parola “dignità” non era presente
nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e dei cittadini del 1789 la
quale si limitava, invece, a prevedere: “gli uomini nascono e rimangono
liberi e eguali nei diritti”. Molti ordinamenti giuridici oggi proteggono
e promuovono la dignità (118). La parola ”dignità” esprime un valore fondamentale
della fraternità in quanto tocca il cuore dell’approccio relazionale:
tra coloro i quali intercorre il legame di fraternità vi è un naturale
riconoscimento di pari dignità. Pertanto, anche esseri tra loro molto
diversi (per condizioni sociali, culturali, religiose, etc.) appartengono
parimenti alla stessa famiglia universale e hanno pari dignità. In termini
giuridici, ciò vuol dire avere uguali diritti fondamentali. Nella nostra
prospettiva civica, ciò vuole dire avere anche uguali diritti ad accedere
alle risorse necessarie per sviluppare il proprio potenziale interiore,
a esercitare la cura del proprio Sé e a partecipare alla costruzione di
una società migliore.
La dignità evoca la presa di coscienza di uno status ma anche la presa
di coscienza di una condotta umana appropriata per proteggere e sviluppare
il bene che è presente nell’uomo quale che sia la visione, laica o spirituale,
della dignità. Questo bene da sviluppare nella nostra riflessione di ordine
civico, è il Sé cooperatore, empatico e fraterno (cfr. modulo
V). Come ricorda Viola: ”la dignità è qualcosa che insieme si ha e
si deve conquistare, poiché bisogna divenire ciò che si è” (119).
Nella prospettiva cristiana, vi è il “dovere di ciascuno di portare a
compimento la propria dignità, che a sua volta obbliga a rispettare la
‘donata’ scintilla di dignità presente negli altri" (120).
Anche nella prospettiva laica si riconosce oggi che il richiamo alla sola
solidarietà si è rivelato insufficiente e che occorre aggiungervi quello
alla dignità. Rodotà ha osservato che “se la rivoluzione dell’eguaglianza
era stato il connotato della modernità, la rivoluzione della dignità segna
un tempo nuovo” (121). Occorre tornare, afferma il citato autore, “alle
parole della triade rivoluzionaria, eguaglianza, libertà e fraternità...
e questa non ha a che fare con i buoni sentimenti ma con una pratica sociale
che favorisce i legami tra le persone. Non si tratta di ferri vecchi di
una cultura politica defunta, ma di bussole imprescindibili. Alle quali
aggiungerei un'altra parola-chiave fondamentale che è dignità" (122).
La dignità deve essere rispettata in tutte le nostre dimensioni vitali
in quanto, come osservano Capra-Luisi, noi facciamo parte contemporaneamente
di due comunità importanti: siamo tutti membri dell'umanità e apparteniamo
tutti alla biosfera globale. Dobbiamo “comportarci in modo da non interferire
con l'abilità propria della natura di sostenere la rete della vita. Come
membri della comunità umana il nostro comportamento deve riflettere il
rispetto per la dignità umana ed i diritti fondamentali” (123) nelle dimensioni
biologiche (ambiente sano e cibo sano) cognitive (diritto all'educazione
e alla conoscenza, libertà di opinione e di espressione) e sociali (giustizia
sociale e autodeterminazione).
Questa efficace prospettiva coglie l’urgenza di prendersi cura della propria
dignità e di esprimere le ricchezze valoriali implicite nella condizione
umana e nell’ambiente nel quale viviamo.
Chi riconosce il valore di pari dignità vede il mondo e le creature non
come un quid suscettibile di strumentalizzazioni, rigetta la prospettiva
predatoria per accogliere quella cooperativa ed empatica (124). Sul piano
formale questa visione è accolta nel nostro ordinamento giuridico in adesione
alla teoria
personalista (125) seconda la quale il valore della dignità esige
che la persona umana debba avere di per sé assoluto rispetto. Il principio
personalista “pone come fine ultimo dell’organizzazione sociale lo sviluppo
di ogni singola persona umana” (Corte costituzionale, sentenza n.167/1999)
e “preserva anche il “diritto ad essere se stesso, inteso come rispetto
dell'immagine di partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di
idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali
e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l'individuo.
L'identità personale costituisce quindi un bene per sé medesima, indipendentemente
dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto”
(Corte costituzionale, sentenza n.14/1994).
Occorre aggiungere che negli ultimi decenni si è manifestato nella società
civile anche il bisogno di innestare un cambiamento profondo nel cuore
delle relazioni umane. Ciò è attestato dalla continua ricerca di percorsi
istituzionali, anche giuridico-formali, idonei a veicolare valori sempre
più collaborativi e meno gerarchici nelle modalità relazionali all’interno
della società e nei confronti del potere pubblico. Si sono affacciate
negli ultimi decenni le idee di: sussidiarietà relazionale, reciprocità,
welfare society (126) o community, capacità di fare rete, coesione sociale,
beni comuni, beni relazionali, sussidiarietà laterale, cooperazione sociale,
etc. Cioè il valore della relazione umana collaborativa e paritaria, riflesso
della dignità fraterna, comincia ad avere un peso crescente nel contesto
sociale e nelle relazioni tra singolo, associazioni e potere pubblico
(si parla di paradigma tripolare Stato, Mercato, società civile). Anche
se questo trend è originato, in taluni casi, dalla crisi della finanza
pubblica, esso esprime, comunque, un bisogno umano profondo di maggiore
dignità nel senso che si vuole, non subire, ma costruire assieme ad altri
la vita sociale, come dovrebbe accadere in una famiglia. In questo bisogno
di dignità e di cooperazione possiamo intravedere sicuri germi di fraternità.
Questo nuovo ma naturale bisogno relazionale si è manifestato anche in
aree tradizionalmente permeate dall’individualismo, pensiamo alla rilevanza
accordata al paradigma della reciprocità “nella disciplina dell’economia
politica” (127).
In conclusione, possiamo affermare che malgrado l’assenza di uno statuto
giuridico vero e proprio sulla fraternità e l’assenza nella nostra Costituzione
di un richiamo esplicito al principio di fraternità, il nostro ordinamento
non osta a una società animata da cooperazione fraterna. Anzi, si potrebbe
affermare che la Costituzione italiana promuove e valorizza un percorso
comportamentale costruttivo del cittadino verso una possibile società
cooperativa e fraterna: “famiglia, città, scuola sono esempi importanti
di «formazioni sociali» in cui la persona può ricevere una cura fraterna
delle proprie fragilità; ma, successivamente, essa deve diventare, a propria
volta, costruttrice di famiglia, di società e di città, e capace di istituire
nuovi legami e nuove relazioni fraterne… l’uomo, generato e alimentato
dalla fraternità, è chiamato a prendere parte alla costruzione di una
città fraterna e la fraternità ricevuta a tramutarsi in fraternità istituente...
L’ordinamento giuridico non può pertanto che promuovere le forme di questa
restituzione da parte del cittadino, riconoscendo e valorizzando le dimensioni
dell’impegno volontario e oblativo, ma anche esigendo, almeno in certa
misura, l’assolvimento di doveri inderogabili di solidarietà sociale.
Le dimensioni complementari del debito e del dono caratterizzano la cooperazione
del cittadino alla costruzione della città fraterna” (128).
Relazioni umane di tipo cooperativo e non più fondate sulla separazione
e la contrapposizione, relazioni che valorizzano l’interdipendenza anche
tra pubblici poteri e cittadini, relazioni improntate alla pari dignità
e alla reciproca collaborazione e aiuto per il raggiungimento di obiettivi
comuni, sono tutte compatibili e coerenti con il nostro quadro giuridico
(129).
Nell’ordinamento giuridico trova, quindi, piena legittimazione, come ha
precisato la Corte costituzionale, tra i valori fondanti, l’idea dell'uomo
uti socius, cioè l’idea del cittadino cooperatore (130). Ma le norme giuridiche
possono veicolare concretamente queste manifestazioni umane, se, nel contempo,
vi è una educazione, tuttora assente, del cittadino alla conoscenza, alla
percezione e alla pratica dei valori cooperativi, empatici e fraterni
(131).
1.La
fraternità assume una dimensione politica adeguata solo nel momento in
cui essa entra nel criterio della decisione politica, contribuendo a determinare
il metodo e i contenuti della politica stessa, e riesce ad influire anche
sul modo con il quale vengono interpretate anche le altre categorie politiche,
quali la libertà e l’uguaglianza” così A.M. Baggio, L'idea di "fraternità"
tra due Rivoluzioni: Parigi 1789 - Haiti 1791. Piste di ricerca per una
comprensione della fraternità come categoria politica, in A.M. Baggio,
Il principio dimenticato, Città Nuova, 2007.
2. M.R. Manieri, Fraternità. Rilettura civile di un'idea, Marsilio, 2013,
p. 5.
3. E. Morin, Intervista pubblicata su Label France n. 28/2007.
4. A.M. Baggio, La fraternité, un défi politique, in “Nouvelle Cité”,
n. 553, janvier-février 2012, pp. 24-27.
5. A. Marzanati, A. Mattioni, La fraternità come principio del diritto
pubblico, Città Nuova, 2007.
6. B. Mattei, Solidarité ou Fraternité. Un défi politique majeur, Chambre
des Députés. Rome, 16 mars 2009.
7. Cfr. L. Bruni, L'Ethos del mercato, Mondadori, 2010.
8. F. Tönnies, Comunità e società, Edizioni di Comunità, 1963, p. 45.
9. F. Pizzolato, P. Costa, Principio di fraternità e modernità giuridica,
costituzionalismi.it, n. 1/2013.
10. F. Pizzolato, Fraternità trama delle istituzioni, in Aggiornamenti
Sociali, marzo 2013, Fondazione Culturale San Fedele, pp. 200-207.
11. M. Buber, Io e tu in Il principio dialogico e altri saggi, a cura
di A. Poma, San Paolo, 1997.
12. J.M. Bergoglio, Messaggio per la celebrazione della XLVII giornata
mondiale della Pace. Fraternità, fondamento e via per la pace, 2014, w2.vatican.va.
13. E. Morin, Liberté, egalité, fraternité, www.iiac.cnrs.fr.
14. G. Tosi, La fraternità come categoria (cosmo) politica, Nuova Umanità
n. 4-5/2010, Città nuova, p. 526.
15. Secondo Rifkin “in un mondo caratterizzato da una crescente individualizzazione
e composto da uomini a diversi stadi di coscienza, la biosfera in sé può
rappresentare il solo terreno comune abbastanza ampio da unire gli esseri
umani come specie” J. Rifkin, Civiltà dell'empatia. La corsa verso la
coscienza globale nel mondo in crisi, Mondadori, 2010, p. 549.
16. E. Morin, A.B. Kern, Terra-Patria, Raffaello Cortina,1994.
17. “C'è una fraternità di origine e una fraternità di risultato. Fratelli
si può nascere, ma si può anche diventare fratelli. Anche se la fraternità
di origine è indelebile, può restare inattiva o essere scomoda, mentre
quella di risultato può essere più profonda, radicata e coinvolgente,
perché in qualche misura voluta. Credo che su questa base si possano anche
distinguere le teorie differenti della fraternità. Essere fratelli in
quanto creature di Dio o figli di Dio, oppure in quanto figli degli stessi
genitori, oppure in quanto accomunati dalla comune natura razionale (come
pensavano gli stoici), oppure in quanto esseri liberi (come pensa Kant)
significa essere fratelli per origine. Esserlo in quanto fedeli della
stessa religione e partecipi della stessa fede, oppure in quanto mossi
dal perseguimento degli stessi beni e degli stessi valori significa essere
fratelli come risultato” così F. Viola, La fraternità nel bene comune,
in Persona y Derecho, vol. 49/2003.
18. C. Gonthier, La fraternité comme valeur constitutionnelle, Rapport
général présenté par la Cour suprême du Canada, Association des Cours
Constitutionnelles, Ottawa, 2003, http://cisdl.org. La traduzione del
testo è nostra.
19. La tematica dell’empatia è tornata in auge con la scoperta nel 1992
dei neuroni a specchio da parte del prof. Rizzolatti e della sua èquipe.
Il fondamento biologico dell’empatia si troverebbe nella struttura del
nostro cervello, in particolare, nei citati neuroni a specchio. Possiamo
affermare “senza tema di smentite che gli uomini di tutti i tempi e di
tutte le latitudini conoscono l’empatia, senonché il lemma ha assunto
una semantica più specifica solo in tempi relativamente recenti […] i
lexica graecitatis registrano il sostantivo empathea e l’aggettivo empathes”,
A. Bellingreri, Una pedagogia dell’empatia, Vita e Pensiero, 2005, p.
33. L’empatia “può diventare a pieno titolo il termine unitario con cui
nominare l’ambito di esperienza entro il quale si danno le molteplici
forme del sentire l’altro, l’amicizia, l’amore, la compassione, l’attenzione,
la cura, il rispetto, il riguardo” L. Boella, Sentire l'altro. Conoscere
e praticare l'empatia, Cortina editore, 2006, p. 22. Scrive Pinotti che
“Kant dovette ammettere che se si vuol rappresentare un essere pensante
ci si deve mettere al suo posto […] a questo mettersi al posto di un altro
è stato successivamente dato il nome di empatia”, A. Pinotti, Empatia.
Storia di un’idea da Platone al postumano, Laterza, 2011, p. 7. L’empatia
funge, osserva il citato autore “da nome-ombrello per una rete di parentele
categoriali che coinvolgono termini solo parzialmente sovrapponibili,
quali proiezione, trasferimento, associazione, espressione, animazione,
antropomorfizzazione, vivificazione, fusione... Empatizzare vale, di volta
in volta, per immedesimarsi, rivivere, compatire, imitare interiormente,
simpatizzare… Se tale proteiforme costellazione mostra da un lato la grande
duttilità della nozione di empatia, dall’altro rischia di sbiadirne i
contorni fino all’indistinzione” ibidem.
20. J. Rifkin, op.cit., p. 567. Ad esempio, De Waal sostiene che “gli
esseri umani sono empatici con i propri compagni in contesti cooperativi,
ma sono “antiempatici” con i potenziali competitori, L’età dell’empatia,
Garzanti, 2011, p.158. Critico sulla valenza trasformatrice dell’empatia,
se non è accompagnata dalla consapevolezza morale, è Brooks: “Le persone
empatiche sono più sensibili al punto di vista e alle sofferenze degli
altri e sono più inclini a esprimere giudizi morali compassionevoli. Il
problema insorge quando cerchiamo di trasformare i sentimenti in azione.
L'empatia rende maggiormente consapevoli delle sofferenze altrui, ma non
è chiaro se spinga effettivamente ad agire in modo morale o se trattenga
effettivamente dall'agire in modo immorale… L'empatia non sembra influire
molto quando quell'agire comporta un costo personale… Nessuno è contro
l'empatia, ma sta di fatto che non è sufficiente. Di questi tempi l'empatia
è diventata una scorciatoia. È diventata un modo per provare l'illusione
di un progresso morale senza dover fare il lavoro sporco di emettere giudizi
morali. In una cultura che non riesce a formulare categorie morali e che
cerca in tutti i modi di non offendere, insegnare l'empatia è un modo
sicuro per sembrare virtuosi senza rischiare polemiche e senza urtare
i sentimenti di qualcuno”, D. Brooks, “Così l'empatia è stata trasformata
in una scorciatoia”, Repubblica 11 dicembre 2011.
21. J.M. Bergoglio, Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale
della Pace cit.
22. “Tanto in economia, quanto in politica e nel sociale occorre a tornare
a declinare la categoria del cooperare. Una premessa è necessaria: si
deve tornare al significato letterale del termine, senza confonderlo con
la categoria contigua del “collaborare”. La differenza ce l’ha insegnata
Aristotele: collaborare indica il fatto che tanti soggetti si mettono
insieme per svolgere un lavoro, condividendo i mezzi, ma non lo scopo,
che resta diverso per ciascuno. Nel cooperare, invece, chi partecipa all’impresa
deve condividere i mezzi ma anche i fini”, S. Zamagni, Le tre sfide del
non profit, Vita, ottobre 2012.
23. Cfr. M. Recalcati, Critica della Ragione empatica, Repubblica, 5 ottobre
2014.
24. P.A. Paoli, Dell'Origine ed Istituto del Sacro Militar Ordine di S.
Giovambattista, 1781.
25. Fratria, Enciclopedia Treccani, 1932.
26. E. Morin, Liberté, egalité, fraternité cit. Le fratrie quali gruppi
sociali formati dall'unione di due o più clan erano diffuse in Australia,
nella Melanesia e fra gli Amerindi dell'America Settentrionale, “Fratria”,
Enciclopedia telematica Sapere. Ogni tribù australiana si divideva in
due grandi sezioni fondamentali chiamate fratrie. Ciascuna fratria, a
sua volta, comprendeva un certo numero di clan, gruppi di individui, cfr.
E. Durkheim e M. Mauss, Su alcune forme primitive di classificazione (Contributo
allo studio delle rappresentazioni collettive), in AA. VV., Le origini
dei poteri magici, Bollati Boringhieri, 1977, p. 25 e segg. L’idea della
fraternità “era alla base della fratellanza di sangue praticata in varie
zone dell'Africa equatoriale, concetto che implicava la creazione di parentele
fittizie fra tribù, clan, gruppi. In tal modo una parentela inesistente
viene trasformata in un rapporto di cooperazione. Colui che intende stringere
l'alleanza si procurava una ferita da cui fa sgorgare un po' del proprio
sangue, che poi mescola con quello della persona con cui vuole apparentarsi.
Dalla fratellanza di sangue deriva un rapporto di fiducia, di sostegno
reciproco fra i nuovi 'fratelli', tra i quali si instaura una forte solidarietà”,
R. Cipriani, “Fraternità”, Enciclopedia Treccani, 2005. Anche presso i
popoli scandinavi vi è notizia certa di cerimonie di affratellamento con
l’impiego del sangue a fini simbolici, N. Tamassia, L’affratellamento,
Bocca editori,1898, p.18.
27. Secondo E. Benveniste, la parola “bhrâther” denota una fraternità
che non è necessariamente quella di sangue, Vocabulaire des Institutions
Indo-européennes, Les Editions de Minuit, 1969, pp. 205-215.
28. A.A. Macdonell, A.K. Berriedale, Vedic Index of Names and Subjects,
Volume 2, Motilal Banarsidass Publishe, 1995, p.113. Il termine fraternità
include naturalmente il maschile e il femminile.
29. U.E. Paoli, Famiglia (diritto attico), Novissimo Digesto, 1961. “I
Greci, come tutti gli altri popoli indoeuropei, erano divisi in associazioni
familiari o gentilizie già prima della loro emigrazione nelle loro sedi
storiche, e in queste portarono tale loro organizzazione. Queste associazioni
si chiamavano fratrie… Il loro scopo originario era quello della difesa
della vita, dei beni e dell'onore dei componenti. Il nesso della fratria
era considerato come garanzia della vita sociale, onde è che Omero chiama
"senza fratria" chi desidera la guerra civile (Iliade, I, 63).
Fratrie appaiono anche nelle città greche dell'Italia meridionale e della
Sicilia, come a Messina e a Napoli, nella quale ultima città ci sono testimoniate
loro assemblee e loro funzionari” Fratria in Enciclopedia italiana Treccani
cit.
30. F. Capra - P.L. Luisi, Vita e Natura, Una visione sistemica, Aboca,
2014, p. 308.
31. J. Attali ci ricorda che la parola “patrie” è “étymologiquement un
regroupement des frères”, Fraternités, une nouvelle utopie, Le Livre de
Poche, 1999, p. 133.
32. P.P. Onida, Fraternitas e societas: i termini di un connubio, Diritto
e Storia, n. 6/2007, www.dirittoestoria.it. Secondo F. Viola, La fraternità
nel bene comune cit., il primo ad accennare a un diritto fraterno probabilmente
è stato Ulpiano: “societas ius quodammodo fraternitatis in se habet” (Dig.
17, 2, 63).
33. M. Penta, Il diritto societario nel diritto romano e nel diritto intermedio,
Rivista della Scuola superiore dell'economia e delle finanze, 11/2004.
34. P.P. Onida, Fraternitas e societas cit. Cfr. Idem, La causa della
societas fra diritto romano e diritto europeo, Diritto e Storia, n. 5/2006,
ove si riporta l’opinione del Betti circa la valenza della fraternitas
nell’ambito del consortium: “Il vincolo personale di fraternità fra consorti,
che giustifica e governa la comunione, rende ragione, nella concezione
romana, della pienezza di poteri riconosciuti a ciascuno nei rapporti
esterni, allorché si tratta di disporre di una cosa comune, o di assumerne
la difesa in giudizio. Ma non è da credere che di questa legittimazione
indipendente e concorrente fosse fatto in pratica un uso arbitrario e
lesivo degli interessi comuni, senza riguardo al modo di vedere degli
altri consorti. La concezione romana è probabilmente che il fratello non
può tradire il fratello, come il tutore non può tradire il pupillo, ma
deve apprezzare e sentire l’interesse comune od altrui come interesse
suo proprio e assumere verso l’altro la responsabilità dell’apprezzamento
fatto. Il vincolo di fraternità fra consorti, come legittima tanto estesi
poteri d’iniziativa, così giustifica una piena fiducia reciproca” E. Betti,
Istituzioni di diritto romano, I, 1942, p. 426 e segg.
35. Ibidem.
36. D. Lassandro, Aedui, fratres populi Romani, in Autocoscienza e rappresentazione
dei popoli, a cura di M. Sordi, Vita e Pensiero, 1992, pp. 263-264.
37. R. Augustin, La fraternità nella prospettiva delle guerre asimmetriche,
Seminario “Fraternità, Democrazia e Istituzioni”, Cile, ottobre 2011,
www.ruef.net.br.
38. A.M. Baggio, La sfida della fraternità: da Haiti alla comunità politica
mondiale, Port-au-Prince, in Nuova Umanità, 26 giugno 2010.
39. M. Penta, Il diritto societario nel diritto romano cit.
40. La pobratimstvo è una “institution, que les Greco-Slaves ont seuls
conservé solennelle, comme frère ou comme soeur, de la personne que l'on
préfère. Pendant cette belle cérémonie, bénie par le prêtre comme un mariage,
ceux qui s'aiment se tiennent par la main, et par-dessus la tombe de leurs
pères se mettent mutuellement sur la tète une couronne de feuilles nouvelles;
puis ils se donnent le baiser d'union, qui les rend l'un pour l'autre
pomaika, sont plus indissolubles comme il paraitrait qu'ils l'étaient
autrefois, mais ils ne sont pas moins sacres, et le Serbe comme le Bulgare
n'ont point de formule de serment plus solennelle que de jurer par leur
frère adoptif", C. Robert, Les slaves de Turquie, 1844, pp. 67-68.
Queste forme di affratellamento sarebbero state motivate, soprattutto,
dall’esigenza di rafforzare la difesa in periodi di guerra e di garantire
la proficua coltivazione della terra, così M.A. Benedetto, “Affratellamento”,
Novissimo Digesto italiano, Torino, 1957, p. 391 e segg. In tema di adozioni,
Durkheim osserva che: “Sur large échelle se pratiquait l'adoption dans
les clans indiens de l'Amérique du Nord. Elle pouvait donner naissance
à toutes les formes de la parenté. Si l'adopté était du même âge que l'adoptant,
ils devenaient frères et sœurs; si le premier était une femme déjà mère,
elle devenait la mère de celui qui l'adoptait. Chez les Arabes, avant
Mahomet, l'adoption servait souvent à fonder de véritables familles. Il
arrivait fréquemment à plusieurs personnes de s'adopter mutuellement;
elles devenaient alors frères ou sœurs les unes des autres, et la parenté
qui les unissait était aussi forte que s'ils étaient descendus d'une commune
origine. On trouve le même genre d'adoption chez les Slaves. Chez les
Germains, l'adoption fut probablement aussi facile et fréquente. Des cérémonies
très simples suffisaient à la constituer. Mais dans l'Inde, en Grèce,
à Rome, elle était déjà subordonnée à des conditions déterminées”, E.
Durkheim, Division du travail social, 1893, p. 227
41. E. Durkheim, op. cit., p. 186.
42. L’epoca medioevale rappresenta per Tönnies un modello di relazioni
sociali e di vita comunitaria: “La comunità per Tönnies si realizza nei
legami di parentela, vicinato e amicizia. La parentela ha sede nella casa,
il vicinato è il carattere generale della vita comune nel villaggio, l’amicizia
è la condizione e l’effetto di uno stile di vita, di lavoro, di pensiero
condotti all’unisono. La comunità si concretizza nella gilda e nella corporazione,
nelle associazioni culturali, nelle confraternite, nelle parrocchie e
nelle comunità urbane, nel comune“ O.G. Oexle, I gruppi sociali del Medioevo
e le origini della sociologia contemporanea, Studi confraternali: orientamenti,
problemi, testimonianze a cura di M. Gazzini, Firenze University Press,
2009.
43. Così “Corporazione”, Enciclopedia Italiana, 1931. Nelle corporazioni
non vigeva però un afflato universalistico, osserva Zoll: “sin dall'inizio
viene ribadito il carattere circoscritto dell'unione. Se in molti casi,
specie in Inghilterra, nelle associazioni artigiane in via di espansione,
precursori delle moderne organizzazioni sindacali, si possono rintracciare
accenni del concetto di solidarietà proprio di queste ultime (Leeson 1979;
Griessinger 1981), tuttavia la fraternità nelle gilde spesso restava definita
in senso verticale, come legame dell'intera corporazione, dagli apprendisti
ai maestri (Lay 1989), o era circoscritta a un'unica corporazione, nelle
associazioni di garzoni solo a questi ultimi (con esclusione degli apprendisti)
e quasi sempre soltanto agli uomini (con esclusione delle donne). Queste
delimitazioni vennero infrante dall'affermarsi della concezione illuministica
della fraternità. Le prime logge massoniche erano sì modellate sulle corporazioni
artigiane, e quindi presentavano ancora alcune forme di esclusione, soprattutto
in quanto logge necessariamente segrete; e tuttavia il loro patrimonio
di idee ha una valenza universalistica (Koselleck 1959, 1969): i massoni
concepivano se stessi come eguali anche al di fuori della loro comunità.
La stessa interpretazione del concetto, con una valenza universalistica
ulteriormente rafforzata, si ritrova nei testi più celebri dell'Illuminismo
europeo” R. Zoll, “Solidarietà”, Enciclopedia delle scienze sociali, Treccani,
1998.
44. Così O.G. Oexle, I gruppi sociali del Medioevo cit., p. 8.
45. Cfr. G. Dilcher, Formazione dello stato e comune cittadino nel sacro
romano impero, Diritto e Storia, n.3/2004. Questo autore osserva: “Tra
il 1100 e il 1200 gli abitanti delle città dell'Europa occidentale, si
uniscono in una nuova forma costituzionale, il Comune giurato. Questo
movimento compare quasi contemporaneamente dalle coste dei Mar del Nord
tra Senna e Reno alle antiche regioni dell'alto Reno e della Rezia, fino
alla Borgogna, al Piemonte, alla Lombardia e alla Toscana. Gli abitanti
influenti delle città, i milites e i mercanti, ma anche gli artigiani,
si uniscono con giuramento in un'associazione che essi dapprincipio chiamano
coniuratio, poi communio iurata, comune... “.
46. Così M. Weber, Economia e società, citato da O.G. Oexle, I gruppi
sociali del Medioevo cit., p.15. Secondo Weber “La fraternità non è solo
la forma che assume la comunità urbana occidentale, soprattutto nel Medioevo.
É anche un aspetto essenziale della vita cittadina, che prende forma nella
molteplicità di associazioni professionali e devozionali di mutuo soccorso.
Anche a livello di questi gruppi è possibile riconoscere la particolare
impronta dell’Occidente. Ovviamente, esistono sodalizi di commercianti
e artigiani anche in altre civiltà. Questi non hanno tuttavia il carattere
di associazione giurata e di fraternità. Poiché «il sistema delle caste
è per il suo stesso spirito tutt’altra cosa rispetto ad un sistema di
gilde e corporazioni»; e «la fraternità presuppone il banchetto». É quindi
possibile individuare in questo aspetto un elemento decisivo per la struttura
specifica della civiltà occidentale, dove non sono né le caste né i legami
parentali e familiari a dare forma in maniera univoca e prioritaria allo
status dell’individuo. Alcune associazioni consensuali hanno sempre avuto
in Occidente un ruolo fondamentale accanto alla famiglia e al clan: ”Non
si trovano, in Occidente, quelle limitazioni costrittive che sono i tabù
della regione centrale delle Indie e le pratiche magiche delle organizzazioni
claniche (totemismi, culto degli avi, divisioni in caste) e che, in Asia,
impediscono che il processo di affratellamento sbocchi in un organismo
corporativo unificato” ivi, p.16.
47. F. Goria, Riflessioni su fraternità e diritto, seminario “Relazionalità
nel diritto: quale spazio per la fraternità?”, Castel Gandolfo 19 novembre
2005, www.comunionediritto.org.
48. M. Gazzini, Confraternite e società cittadina nel medioevo italiano,
Bologna, 2006, p. 3 e segg., www.itinerarimedievali.unipr.it
49. A.M. Baggio, La fraternità: una sfida politica cit. Sulle relazioni
tra philia e fraternità cristiana, cfr. G. Savagnone, Fraternità e comunicazione,
in Il principio dimenticato cit., pp. 110-112.
50. S. Zamagni, Relazione annuale per il terzo settore, 2010, www.governo.it.
51. V. Zamagni, Forme storiche della fraternità, Epistemología de las
Ciencias Sociales. La Fraternidad, 2004, Ciaficic Ediciones.
52. R. Zoll, op. cit.
53. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 22 gennaio 2005, Prosveta.
54. A.M. Baggio, La sfida della fraternità cit.
55. P. Donati, L’amore come relazione sociale in Societàmutamentopolitica,
vol. 2, n. 4/2011, Firenze University Press, pp. 15-35.
56. R. Debray, Le moment fraternité, Paris, Gallimard, 2009, p. 251.
57. “Nel gruppo famigliare e di vicinanza normalmente esiste una certa
solidarietà e reciprocità fra quelli che sono “dentro” di esso, come osserva
Max Weber. Però esternamente, verso l’altro, verso chi sta fuori, lo straniero,
il differente, chi non appartiene alla comunità, prevale la sfiducia,
quando non l’aperta ostilità. Questa è una costante nella storia dell’umanità,
che può essere verificata dalle comunità primitive fino alle complesse
società moderne: è l’eterna lotta fra “noi” e gli “altri” G. Tosi, op.cit.,
p. 527. Tosi identifica tre concetti di fraternità: “uno più originario
di tipo “economico” che si manifesta nella famiglia e nei gruppi di vicinanza;
un altro più ampio di tipo “etico”, che supera gli stretti vincoli famigliari
in virtù dell’appartenenza a una religione, a una ideologia, a un visione
del mondo, che supera le barriere di sangue e di vicinanza e allarga il
concetto di prossimo; e finalmente una fraternità ancora più allargata...
cosmopolitica” ivi, p. 534.
58. J. Maritain, Cristianesimo e democrazia, Vita e Pensiero, 1953, p.
28.
59. “La Rivoluzione del 1789 costituisce un punto di riferimento storico
di grande rilevanza, perché durante il suo corso, per la prima volta in
epoca moderna, l'idea di fraternità viene interpretata e praticata politicamente”,
A.M. Baggio, La fraternità: una sfida politica cit.
60. J. Attali, Fraternités. Une nouvelle utopie cit., p.137. Il valore
della uguaglianza era stato recepito già nel "Patto del popolo inglese"
del 1647, cfr. U. Bonanate, I Puritani, I soldati della Bibbia, Einaudi,
1975, p. 168 e segg.
61. A. Martinelli, in A.Martinelli, M.Salvati, S.Veca, Progetto 89. Tre
saggi su libertà, eguaglianza, fraternità, Il Saggiatore, 2009, p. 27.
62. G. Antoine, Liberté, Egalité, Fraternité ou les fluctuations d'une
devise, Unesco, Paris, 1981, p.137.
63. M. Ozouf, Dizionario critico della Rivoluzione francese, Bompiani,
1989, p. 662.
64. Ibidem.
65. M. Borgetto, La notion de fraternité en droit public français, Paris,
1993, p.18 e segg. Cfr. sul punto, A. Mattioni, Solidarietà giuridicizzazione
della fraternità in A. Marzanati, A. Mattioni, La fraternità come principio
del diritto pubblico cit., pp. 8-9.
66. Secondo Debray, Robespierre propone nel 1790, in un discorso concernente
l’organizzazione della guardia nazionale, di scrivere “Fraternité” sulla
bandiera quale “retour inattendu d’un précepte évangélique”, R. Debray,
op.cit., p. 15. In effetti, il 5 dicembre 1790, Robespierre presenta un
progetto di decreto che contempla le parole “Libertà, Uguaglianza, Fraternità”
sulle bandiere e sulla divisa, cfr. V. Tondi della Mura, Solidarietà fra
etica ed estetica.Tracce per una ricerca, in Rivista dell’Associazione
Italiana dei Costituzionalisti, 2 luglio 2010. Va detto che l’idea di
impiegare la parola fraternità sulla divisa è sorta in data antecedente
alla citata iniziativa di Robespierre: “c’est une tradition qu’en effet
la fameuse devise est d’origine maçonnique. Les philosophes n’avaient
pas seulement fait l’éloge de la liberté et de l’égalité: ils y avaient
aussi, on le sait, prêché la fraternité. Et même l’idée de la devise Liberté,
Égalité, Fraternité se trouve déjà dans l’épître où Voltaire, en 1755,
célèbre le lac de Genève et les vertus helvétiques” A. Aulard, Études
et leçons sur la Révolution française, Félix Alcan Éditeur, 1910, p.11.
67. Nel Preambolo della Costituzione del 1848, risulta scritto che la
”République Française à pour principe la Liberté, l’Egalité et la Fraternité”
(IV), ”les citoyens doivent concourir au bien être commun en s’entraidant
fraternellement les uns les autres” (VII), ”la Republique doit par une
assistance fraternelle assurer l’existence des citoyens nécessiteux” (VII).
Invece, all’art. 2 della vigente Costituzione francese è scritto che il
motto della Repubblica è "Libertà, uguaglianza, fraternità”. La Costituzione
giacobina del 1793 non aveva recepito la fraternità ma la reciprocità
in quanto esortava a «non fare agli altri quel che non vorresti fosse
fatto a te» (art. 6). La Costituzione del 5 fruttidoro dell’anno III (22
agosto 1795), precisava: «fate costantemente agli altri il bene che vorreste
riceverne» (art. 2), cfr. F. Giuffrè, Doveri di solidarietà sociale, in
Doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, a cura
di R. Balduzzi, M. Cavino, E. Grosso, J. Luther, Giappichelli, 2007, p.
8.
68. C. Gonthier, La fraternité comme valeur constitutionnelle cit.
69. M. Ozouf, Dizionario critico cit., p. 659.
70. M. Hunyadi, Dangereuse fraternité, in Justice, Liberté, Egalité, Fraternité:
Sur quelques valeurs fondamentales de la démocratie européenne, a cura
di O. Inkova, Institut européen de l'Université de Genève, 2006, p.153.
71. Leroux afferma di essere stato il primo ad avere impiegato in ambito
sociale la parola solidarietà: "L'ho presa dai legisti, per introdurla
nella filosofia, nella religione [...] ho voluto sostituire la carità
del Cristianesimo con la solidarietà”, così La grève de Samarez, Paris,
Dentu, 1859, I, p. 254. Leroux si proponeva “di sostituire la solidarietà
sociale alla carità cristiana, ritenuta troppo aleatoria per fondare su
di essa il riscatto sociale, o alla fraternità, ritenuta troppo sentimentale
benché affondasse le sue radici nella Rivoluzione Francese”, M. G. Losano,
La questione sociale e il solidarismo francese: attualità d'una dottrina
antica, in Sociologia del diritto, 1/2008, p. 5 e segg. Leroux sviluppa
l’idea di solidarietà “en particulier dans De l'Humanité de I840 et qui
sera largement répandue avec des nuances sensibles chez tous les socialistes
de 1848. L'idée de solidarité rentre dans l'ombre avec la fin de la Seconde
République pour ressurgir avec force dans les années 1880 et constituer
la base du solidarisme” A. Le Bras-Chopard, Métamorphoses d’une notion:
la solidarité chez Pierre Leroux, in La solidarité: un sentiment républicain?
Centre universitaire de recherches administratives et politiques de Picardie,
Paris, Presses Universitaires de France, 1992.
72. A.M. Baggio, Fraternità o solidarietà? Il ritorno di un dibattito
antico, Nuova Umanità, 26 settembre 2012. Storicamente, la nozione di
solidarietà è stata preferita a quella di fraternità anche perché ”si
la fraternité pouvait se prêcher et se conseiller, elle ne pouvait pas
cependant se décréter ni faire l’objet d’une loi écrite; la solidarité
en revanche, en reflétant en quelque sorte l’interdépendance des hommes
en société, reposait sur des bases quasi scientifiques et pouvait s’organiser
en dehors de toute affectivité. On pouvait donc facilement la traduire
en lois” M. Hunyadi, Dangereuse fraternité cit., p.157. Secondo Croiset
la fortuna della parola solidarietà si spiega agevolmente: ”Si les individus
ne sont que des cellules de la société, le mot par lequel les biologistes
expriment l’interdépendance des cellules est celui même qui doit exprimer
dorénavant l’interdépendance des individus. Les termes de justice, de
charité, de fraternité même, si chère à la démocratie sentimentale de
1848, a le tort justement de n’être qu’un sentiment, et nos générations
modernes, avides de sciences objectives et positives, avaient besoin d’un
mot qui exprimât le caractère scientifique de la loi morale. Le mot de
solidarité, emprunté à la biologie, répondait merveilleusement à ce besoin
obscur et profond… On recueillit ainsi peu à peu, sous le titre de solidarité,
à peu près toutes les idées morales qu’on trouvait conformes à l’idéal
présent”, A. Croiset, Essai d’une philosophie de la solidarité, Paris,
1902, pp. 9-10. Peraltro, il lemma solidarietà, a differenza di quello
di fraternità, richiama ab origine solo un profilo tecnico-giuridico:
“I giuristi medievali conoscevano la figura della solidarietà fra debitori
e creditori. Un istituto che fotografava una realtà economica: c’è un’obbligazione
con più persone che devono pagare il creditore (solidarietà passiva) o
più creditori che attendono il pagamento da un solo debitore (solidarietà
attiva)” S. Rodotà, Solidarietà: la storia di un’idea che si fa diritto,
intervento al Festival del Diritto, 2012, www.festivaldeldiritto.it
73. Infatti, sul piano giuridico sopravvivono sostanzialmente dopo le
rivoluzioni, “i principi di libertà e di uguaglianza, figli dell’individualismo
proprio del giusnaturalismo razionalista seicentesco, che sta all’origine
del contrattualismo moderno. Tali principi, a differenza del principio
di fraternità, sono in condizione di dispiegare efficacia giuridica in
virtù del ricorso analogico a concetti della tradizione giuridica privatistica
(anzitutto a quelli di contratto, di societas, di mandato) che, proprio
in quanto privatistici, ben calzano ad una comprensione individualistica
della società... Andando ancora più alla radice, alla possibilità che
il concetto di fraternità assurga a vero e proprio concetto giuridico
si oppone invero la stessa logica dello stato moderno, perfettamente delineata
nel Leviathan di Thomas Hobbes. È tra individuo e stato che si instaura,
in tale logica, l’unico vero rapporto politico, il rapporto basato sul
sinallagma protezione-obbedienza” F. Pizzolato, P. Costa, Principio di
fraternità giuridica e modernità cit. Rileva Giupponi che la legge Le
Chapelier del 1791 “nel vietare ogni forma di associazione e coalizione
collettiva, nell’opera di sistematica soppressione d’ogni focolaio di
possibile riviviscenza dell’ordine corporativo dell’antico regime, nel
liberare tutta la potenza creatrice della nuova idea egualitaria di libertà
(e, con essa, le forze produttive della incipiente economia di libero
mercato), era interamente in linea con il nuovo concetto costituzionale
astratto di fraternità affermato nella trilogia del 1789” S. Giupponi,
Solidarietà, Politica del Diritto, 4/2012, p. 529. L’idea di fraternità
si colloca, osserva questo autore, nella concezione dell’individualismo
democratico consacrato nella Dichiarazione d’indipendenza americana del
1776, che aveva rifondato il contratto sociale sulla base dell’eguale
godimento dei diritti individuali da parte di individui uguali davanti
alla legge.
74. Così G. Germani, Autoritarismo e democrazia nella società moderna,
in R. Scartezzini, G. Germani, R. Gritti, I limiti della democrazia, Liguori,
1985, p. 21. Osserva Rodotà che Napoleone, nel suo proclama del 18 brumaio,
cioè del 9 novembre 1799, si presenta ai francesi come il difensore di
“libertà, eguaglianza, proprietà. La fraternità è subito sopraffatta dal
primato della proprietà, diritto a escludere gli altri dal godimento di
un bene, dunque destinato a spezzare quel legame tra gli uomini che attraverso
la fraternità si era voluto stabilire”, S. Rodotà, Quella virtù dimenticata
cit. In ragione di ciò si è affermato che, a ben vedere, la Rivoluzione
nei fatti sarebbe stata, soprattutto, la consacrazione dottrinale della
”sovranità degli egoismi individuali” X. Martin, Liberté, egalité, fraternité.
Inventario per sommi capi dell’ideale rivoluzionario francese, in Rivista
Internazionale dei diritti dell’uomo, 1995, p. 587.
75. Così I.Massa Pinto, Costituzione e fraternità, Jovene, 2011, p. 9.
Secondo questa giurista “di fronte alla profonda delusione seguita a quell'esperienza,
coloro che, volendo rifuggire tanto dall'individualismo capitalista quanto
dal collettivismo comunista, si proposero di cercare una "terza via",
guardarono al principio di solidarietà, in aperta polemica proprio con
quello di fraternità“, ibidem.
76. A. Marzanati, A. Mattioni, La fraternità come principio del diritto
pubblico cit.
77. Citato da J. Le Goff, Fraternità: un diritto che non esiste, Aggiornamenti
sociali n.3/2013.
78. M. Salvati, Solidarietà cit.
79. B. Mattei, Solidarité ou Fraternité: un défi politique majeur cit.
Anche Giupponi rileva che la “giuspubblicistica d’oltralpe riconosce un
legame di diretta filiazione e, sovente di sostanziale immedesimazione
tra la fraternità del 1789 e la solidarietà oggi alla base del patto costituzionale
repubblicano: la fraternità prende oggi il nome di solidarietà può cosi
affermare D. Truchet (Droit public, Paris, 2003), dando icasticamente
voce ad una opinione molto diffusa in Francia”, S. Giupponi, op.cit. Anche
Blais segnala che in Francia, in effetti, la fraternità prende il nome
di solidarietà, M.C. Blais, La solidarietà, storia di una Idea, Giuffrè,
2012, p. 3.
80. “Senza voler scomodare le leggi sui poveri di Elisabetta I d’Inghilterra,
è a partire dalla Prussia di Federico II che si può parlare di una prima
concezione del welfare state in senso moderno [...] cioè come preoccupazione
del Sovrano per il benessere della popolazione, nell’assunto che, in assenza
di tale preoccupazione, emerga una conflittualità da homo homini lupus.
Lo Stato giacobino francese, con le sue costituzioni, ne sarà una versione
semplicemente capovolta in senso democratico, cioè sostituendo la Repubblica
al Monarca assoluto [...]. L’importante è che la salvezza (il welfare)
venga dall’alto, da un’autorità che sta al di sopra di tutti i consociati.
Non a caso i francesi lo chiamano l’Etat-Providence” P. Donati, Il Welfare
in una società post hobbesiana, www.sussidiarieta.net.
81. J. Le Goff, Fraternità: un diritto che non esiste cit. Dopo il 1884,
ricorda Le Goff, grazie all’abolizione della legge Le Chapelier (limitativa
delle corporazioni e dei sindacati) ”numerose società di mutuo soccorso
(sociétés fraternelles) prolungano la tradizione delle confraternite e
organizzano sistemi di aiuto per gli associati in difficoltà a causa della
malattia, dell’età o di un incidente sul lavoro. “Tutti per uno, uno per
tutti”: l’unione fa la forza e queste società diventano realtà di resistenza
che prefigurano i sindacati”, ibidem.
82. S. Zamagni, Il principio di fraternità in economia, www.mclbologna.it.
83. Ad avviso di Pizzolato, Il concetto di fraternità “sembra sia stato
piegato a fondare derive nazionalistiche e talaltra, classistiche. Insomma
accade alla fraternità di essere colta e costruita per differenze ed esclusioni
e non valorizzata nella sua intrinseca portata universalistica” così F.
Pizzolato, La fraternità nell’ordinamento giuridico italiano, in Il Principio
dimenticato cit., p. 212. Secondo Viola, la "fraternité" della
Rivoluzione francese “è nella sostanza un sentimento, forte quanto si
vuole, ma nulla più di un sentimento, vissuto secondo due registri, quello
civico e quello universale [...] la fraternità è una passione di comunione.
Ma è priva di fondamenti e, quindi, destinata a convivere con la contraddizione
della violenza e dello sciovinismo”, F. Viola, La fraternità nel bene
comune cit., p. 142. Secondo Ellul, il richiamo alla fraternità nella
Costituzione del 1848 doveva servire a unire le ispirazioni cristiane
rappresentate da una forza politica chiamata neo-cattolicesimo e la corrente
del socialismo mistico, cfr. Storia delle Istituzioni, Mursia, 1976, p.
390.
84. L’espressione “Terrore rivoluzionario” identifica “deux périodes de
la Révolution française: la première Terreur (10 août-20 septembre 1792)
et la seconde Terreur (5 septembre 1793-28 juillet 1794)” La Terreur,
Encyclopédie Larousse, www.larousse.fr.
85. Ricorda Baggio che malgrado l’art.1 della Dichiarazione dei diritti
dell’uomo, bandiera della rivoluzione francese, (“Tutti gli uomini nascono
liberi ed uguali per la legge”) ”i rivoluzionari francesi non riconoscono
la libertà dei neri nelle colonie. La tratta dei neri e l’economia schiavista
nelle colonie era diventata, nel corso del Settecento, una delle basi
fondamentali dell’economia francese e continuò ad esserlo anche durante
la rivoluzione [...]. Nel fatidico 1789 nei porti dell’isola arrivano
1578 navi mercantili. La colonia rappresenta i due terzi degli interessi
commerciali della Francia [...] proprio questa classe di mercanti, la
cosiddetta “borghesia marittima” nella quale i negrieri hanno un ruolo
di punta, arriva al potere nel 1789 [...] i mercanti combattono il dispotismo
monarchico e feudale, ma non mettono in questione il dispotismo che essi
esercitano sulle colonie. L’Assemblea di Parigi, nel corso del dibattito,
si divide pro o contro i proprietari neri, ma come osserva Plumelle-Uribe,
nessuno dubita della necessità di perpetuare la schiavitù” A.M. Baggio,
La sfida della fraternità cit.
86. A. Martinelli, Progetto 89 cit., p. 35 e segg. La fraternità “esprime
quel sentimento di comune appartenenza alla comunità politica democratica
degli individui liberi ed eguali, non più incardinati nell’ordine sociale
gerarchico dell’ancien régime” S. Giupponi, Solidarietà cit., p. 529.
87. A. Martinelli, Progetto 89 cit., p. 35.
88. Ibidem.
89. M.R.Manieri, Fraternità. Rilettura civile di un'idea cit., p. 55.
90. Questa circolare è segnalata da G. Canivet, De la valeur de fraternité
en droit français, Conférence 21 mai 2011, Universitè de Montreal.
91. A.De Lamartine, Correspondance générale, II, 52. Cfr. G. Antoine,
op.cit., p. 136.
92. P.R. de Lamennais, De la religion, IIe partie, p. 39.
93. S. Giupponi, op.cit., p. 528.
94. La frase di Michelet è citata da G. Antoine, op.cit., p. 137.
95. R. Debry descrive, in questi termini, la percezione della fraternità
nella cultura francese: “Une évasive fraternité continue d'orner nos frontons,
sceaux, frontispices et en-tétes administratifs, mais le mot ne se prononce
plus guère chez nos officiels. Le Président de la République se garde
de l'utiliser, même dans ses voeux de Nouvel An, lui préférant les droits
de l'homme. Depuis 1848, date de son intronisation dans la triade républicaine,
il a perdu son chic. Pas de statut conceptuel, pas d'entrée dans les dictionnaires
de philosophie contemporaine“, Le moment fraternité, Gallimard, 2009,
pp.11-12.
96. E. Kant, Refl. n. 1354, XV, p. 591, citato da A. Taraborelli, Cosmopolitismo,
Asterios editore, 2004, p. 29.
97. J. Michelet, Introduction à l’histoire Universelle, 1848, p. 27 ;
cfr. F. Laurent, Histoire du droit des gens et des relations internationales,
Vol. 15, Paris, 1869, pp. 37-38.
98. J. Michelet, Introduction à l’histoire Universelle cit., p. 29.
99. G. Gariglia, Il messianismo Russo, editrice Studium, 1956, p. 6. Famosa
è questa frase di Solov’ëv scritta a fine Ottocento: “se la Russia è chiamata
a dire la sua parola al mondo, questa parola non risuonerà dalle brillanti
regioni dell’arte e delle lettere, né dalle superbe altezze della filosofia
e della scienza, ma dalle cime umili e sublimi della religione“ V.S. Solov’ëv,
La Russia e la Chiesa Universale, Comunità, 1947, p. 59. “Il Russo ha
chiamato se stesso, il suo popolo, la sua terra, il suo governo con un
nome speciale «la Santa Russia». Neppure uno dei popoli cristiani ha avuto
il coraggio di fare altrettanto. Il popolo russo però si è dato questo
nome non per orgoglio, ma con l’umile coscienza di essere santificato
per un Santo servizio“ A. Kartasev, L’ortodossia e la Russia, citato T.
Špidlìk, I grandi mistici Russi, Città nuova, 1977, p. 10.
100. “Un popolo ha per missione di rivelare... di farci scoprire uno dei
volti di Dio" E. M. Cioran, Lacrime e Santi, Milano, 1990, p. 63.
101. A.M. Baggio, L'idea di "fraternità" tra due Rivoluzioni
cit.
102. Idem, La fraternità: una sfida politica cit.
103. J.Le Goff, Fraternità: un diritto che non esiste cit.
104. A. Martinelli, Progetto 89 cit., p. 29.
105. Ha rilevato Donati che “con la caduta dei regimi comunisti e il crollo
del marxismo come dottrina politica è venuta a cadere una delle due anime,
quella giacobina illuminista della modernità, che vedeva nello Stato il
garante e lo strumento-principe dell'emancipazione dell'umanità. In apparenza,
viene rivalutata l'altra anima, quella liberale, basata sull'individualismo...
Ma le cose non stanno proprio così. Benché pochi lo avvertano, la crisi
della modernità comporta anche una crisi profonda del liberalismo, perlomeno
di quello caratterizzato da una matrice individualistica e utilitaristica”,
P. Donati, Le associazioni familiari in Italia: cultura, organizzazione
e funzioni sociali a cura di P. Donati e G. Rossi, Franco Angeli, 1998,
p. 17.
106. C. Gonthier, La fraternité comme valeur constitutionnelle cit.
107. Ibidem. Osserva questo autore che la fraternità ”en Haïti deviendra
un symbole de la lutte contre l’esclavage et pour l’indépendance nationale
dès le début du XIXe siècle. Elle jouera le même rôle lors de la décolonisation
de plusieurs pays africains après la Seconde Guerre mondiale. Plus récemment,
elle incarnera la volonté de réconciliation et de reconstitution des communautés
nationales à la suite de dures épreuves: on a qu’à penser au long chemin
vers la paix et la stabilité au Cambodge. Ailleurs encore, on verra dans
la fraternité ou la solidarité une manifestation de l’attachement du peuple
aux traditions ancestrales ou aux valeurs religieuses”, ibidem. La fraternità
è richiamata testualmente anche nel Preambolo della Constitución della
República Federativa de Brasil, 1988: “Nosotros, representantes del pueblo
brasileño, reunidos en Asamblea Nacional Constituyente para instituir
un Estado Democrático, destinado a asegurar el ejercicio de los derechos
sociales e individuales, la libertad, la seguridad, el bienestar, el desarrollo,
la igualdad y la justicia como valores supremos de una sociedad fraterna,
pluralista y sin prejuicios...”.
108. V. Satta, La fraternità interterritoriale nella Costituzione italiana
in A. Marzanati, A.Mattioni, La fraternità come principio del diritto
pubblico cit., p. 227.
109. La Carta Araba prevede: “I governi degli Stati membri della Lega
degli Stati Arabi [...] nel perseguire i principi eterni di fratellanza
ed eguaglianza tra gli esseri umani, stabiliti dalla Shari'ah islamica
e dalle altre religioni rivelate [...] nel rispetto dell'identità nazionale
degli Stati arabi e del loro sentimento di appartenere ad una comune civiltà,
si propone di realizzare le seguenti finalità [...] Insegnare ad ogni
persona umana negli Stati arabi la fierezza della propria identità, la
lealtà al proprio paese, l'attaccamento alla propria terra, alla propria
storia e al comune interesse, instillando in ogni persona una cultura
di fratellanza umana, tolleranza ed apertura verso gli altri, in conformità
con i principi e valori universali e con quelli proclamanti negli strumenti
internazionali sui diritti umani”.
110. F. Pizzolato, P. Costa, Principio di fraternità giuridica e modernità
cit.
111. L’art. 2 recita: ”La Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove
si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili
di solidarietà politica, economica e sociale”. L’art. 3, comma 2, stabilisce
che ӏ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico
e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale
del Paese”. Il concetto di solidarietà pubblica o paterna deriva dall’art.
3, comma 2, quello di solidarietà fraterna od orizzontale deriva dall’art.
2. Cfr. S. Galeotti, Il valore delle solidarietà, Diritto e Società, Esi,
1, 1996, pp. 10-11; G. Alpa, Solidarietà, Nuova giurisprudenza - civile
commentata, 1994, II, p. 372.
112. A. Amorth, La Costituzione Italiana, commento sistematico, Milano
1948, p. 42. Anche La Pira era dello stesso avviso, cfr. F. Pizzolato,
Il principio costituzionale di fraternità cit., p. 113; Idem, Appunti
sul principio di fraternità nell’ordinamento giuridico italiano, in Rivista
internazionale dei diritti dell’uomo, Vita e Pensiero, 2001, p. 762.
113. S. La Porta, Profili giuspubblicistici del commercio equo solidale
in A. Marzanati, A.Mattioni, La fraternità come principio del diritto
pubblico cit., p. 183. Questo autore aggiunge: ӏ agevole riconoscere
nell'azione delle organizzazioni di commercio equo solidale e nei relativi
consumatori i tratti di questa fraternità intesa come una forma di solidarietà
che interpella direttamente il comportamento individuale e lo responsabilizza
della sorte dei fratelli” ibidem. Osserva giustamente Pizzolato che la
stessa solidarietà verticale, a ben vedere, può essere recuperata in chiave
fraterna se si accede all’idea che lo Stato è una comunità, è una formazione
sociale prima di essere un apparato burocratico e autoritario, F. Pizzolato,
Il principio costituzionale di fraternità cit., p. 182.
114. D. Busnelli, Il principio di solidarietà e l'attesa della povera
gente oggi, Persona e mercato, 2/2013, p.116 e segg. “Gli obiettivi di
giustizia sociale non precludono gli imperativi cristiani di carità: i
primi politicamente impegnati a porre riparo alle nefandezze della c.d.
società naturale, dominata dagli echi dell’hobbesiano homo homini lupus;
i secondi motivati, tutt’al contrario, dall’impegno morale di ristabilire
l’armonia naturale di una società di persone create da Dio a sua immagine
e somiglianza ponendosi alla ricerca di una conferma razionale del precetto
cristiano di carità”, ibidem.
115. Il principio di sussidiarietà può veicolare potenzialmente i valori
di fraternità. Afferma Pizzolato: “Nella Costituzione italiana il principio
di sussidiarietà agisce come una specie di membrana che regola il dialogo
e governa lo scambio tra il sistema dei comportamenti etici (e fraterni)
e il sistema delle norme giuridiche e dell’azione istituzionale, graduando
misura e forme del riconoscimento pubblico della fraternità. In questa
prospettiva, il principio costituzionale di fraternità traduce l’idea
che un ordinamento giuridico che voglia perseguire in modo democratico
valori di solidarietà e obiettivi di lotta all’esclusione sociale, debba
attingere a un serbatoio etico e, in questo senso, appoggiarsi all’infrastruttura
sociale composta da comportamenti interpersonali di cura e di solidarietà
orizzontale [...] la sussidiarietà va letta come il riconoscimento della
strutturale, reciproca incompletezza tra società e istituzioni“ F. Pizzolato,
Fraternità trama delle istituzioni cit.
116. P. Donati, I fondamenti della sussidiarietà, www.sussidiarieta.net.
L’art. 118 Cost. recepisce la sussidiarietà verticale (primo comma) e
orizzontale (quarto comma). La sussidiarietà verticale regola le relazioni
tra poteri pubblici, cioè tra diversi livelli di governo (Unione Europea,
Stati membri, Regioni, Autonomie locali). La sussidiarietà verticale:
“consente di individuare il livello istituzionale più adeguato allo svolgimento
di una determinata funzione pubblica non solo in base al criterio della
"vicinanza" ai cittadini del livello istituzionale, ma anche
tenendo conto della capacità di ciascuno di tali livelli di soddisfare
l'interesse generale [...]. La sussidiarietà verticale consente in tal
modo l'allocazione delle funzioni pubbliche non sulla base di un'astratta
geometria istituzionale, quanto piuttosto di un obiettivo concreto di
crescita della persona e di difesa della sua dignità”, G. Arena, Il Principio
di sussidarietà cit. La sussidiarietà orizzontale concerne, invece, relazioni
tra pubblici poteri e società civile: “Stato, Regioni... Comuni favoriscono
l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento
di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”
(art. 118, comma 4, Cost.). Accanto alla sussidiarietà verticale (tra
enti di governo) e orizzontale (tra enti di governo e società civile),
“esiste un principio di sussidiarietà tra soggetti della società civile
(tra famiglia e scuola, tra impresa e famiglie dei lavoratori, degli impiegati
o dei clienti ecc.). Questa è la cosiddetta sussidiarietà laterale” P.
Donati, I fondamenti della sussidiarietà cit. In questo ultimo caso, il
principio di sussidiarietà opera a livello interpersonale e associativo
ed indica la modalità con cui esercitare la solidarietà finalizzata “alla
promozione (empowerment) delle persone oggetto di aiuto, in modo che diventino
capaci di offrire alla comunità le loro capacità, per quanto limitate
possano essere”, I. Colozzi, Solidarietà e sussidiarietà. Una definizione
dei concetti, Treccani, 2012.
117. Cfr. G. Arena, Il Principio di sussidiarietà cit.
118. Si pensi non solo alla Costituzione italiana approvata il 22 dicembre
1947, ma alla Legge fondamentale tedesca approvata l’8 maggio 1949, alla
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000 e al recente
Trattato di Lisbona. All’origine della scelta dei costituenti tedeschi
era, evidentissima, osserva Rodotà, “la volontà di reagire alla distruzione
dell’umano e alla “morte di Dio” in un luogo simbolo di quella distruzione,
Auschwitz, che avevano accompagnato l’esperienza nazista e avevano portato
alla “perversione” dell’intero ordine giuridico. Si avvertiva il bisogno
di una fondazione più solida. Da qui [...] la consapevolezza “della propria
responsabilità davanti a Dio e agli uomini” dichiarata dal popolo tedesco
nel Preambolo di quel testo”, Ambito e fonti del biodiritto, a cura di
S. Rodotà, M. Tallacchini, Giuffrè, 2010, p.173. La Costituzione italiana
menziona esplicitamente la dignità in tre disposizioni: artt. 3, comma
1 ("pari dignità sociale" dei cittadini), 36, comma 1 ("un’esistenza
libera e dignitosa") e 41, comma 2 ("dignità umana"). La
Costituzione richiama, implicitamente, la dignità in numerosi altri articoli.
119. F. Viola, I volti della dignità, AA.VV. Colloqui sulla dignità umana
(Atti convegno internazionale, Palermo 2007), Aracne, 2008, p. 103. Osserva
Viola: ”Nel celebre discorso De dignitate hominis Giovanni Pico della
Mirandola da una parte, fonda la dignità umana sulla centralità ontologica
dell'uomo nel mondo («Ti ho collocato al centro del mondo perché potessi
così contemplare più comodamente tutto quanto è nel mondo») e, dall'altra,
la collega all'uso della libertà («Non ti ho fatto del tutto né celeste
né terreno, né mortale, né immortale perché tu possa plasmarti, libero
artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore»)”
ibidem.
120. M.A. Glendon, Il fondamento dei diritti umani: il lavoro incompiuto,
in P.G. Carozza - M. Cartabia, Tradizioni in subbuglio, Rubbettino, 2007.
121. S. Rodotà, Dignità: oggi è questa la parola-chiave, Repubblica, 23
luglio 2013.
122. Ibidem. “Oggi noi non diciamo più fraternità anche se la parola non
mi dispiace affatto, diciamo solidarietà" S. Rodotà, Etica e diritto,
www.emsf.rai.it, 17 febbraio 1999.
123. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., pp. 596-597.
124. In termini filosofici, “può dirsi che la dignità dell'essere umano
è un principio etico, per il quale la persona umana non deve mai essere
trattata solo come un mezzo, ma sempre come un fine in sé: «gli esseri
razionali stanno tutti sotto la legge secondo cui ognuno di essi deve
trattare se stesso e ogni altro mai semplicemente come mezzo, bensì sempre
insieme come fine in sé» (Kant). L'essere umano è, dunque, degno perché
è fine in se stesso, con il conseguente divieto assoluto di ogni sua strumentalizzazione”
La Dignità dell’uomo quale principio costituzionale, Incontro trilaterale
delle Corti costituzionali italiana, Spagnola e Portoghese, Roma, Palazzo
della Consulta, 30 settembre 2007. Rodotà osserva giustamente che il principio
di dignità “vieta di considerare la persona come mezzo, di strumentalizzarla.
Con due ulteriori implicazioni: l’irriducibilità alla sola dimensione
del mercato, in particolare per quanto riguarda il corpo come fonte di
profitto; e il rispetto dell’autonomia della persona, che non può mai
essere “strumento di scopi e oggetto di decisioni altrui [...]. La costruzione
dell’homo dignus non può essere effettuata all’esterno della persona,
ha davvero il suo fondamento in interiore homine [...] nell’antropologia
moderna della persona, la dignità conduce all’autodeterminazione, che
la Corte costituzionale ha qualificato come diritto fondamentale della
persona” S. Rodotà, Dignità: oggi è questa la parola-chiave cit.
125. La Costituzione all’art. 2 consacra il principio personalista. L’art.
2 afferma che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo: “Il senso e la portata di questa disposizione può ben comprendersi
solo se si considera il clima storico-culturale dell’Assemblea Costituente,
frutto dell’incontro (e dell’accordo) di tre diverse ispirazioni di pensiero:
quello liberale, quello cattolico e quello socialista… L’art. 2 Cost.
segna il definitivo superamento dell’impostazione statocentrica e, riconoscendo
il primato della persona rispetto allo Stato, assume il principio personalista
come punto fermo della regolazione del nuovo rapporto individuo-comunità
statale” S. Mangiameli, Il contributo dell’esperienza costituzionale italiana
alla dommatica europea della tutela dei diritti fondamentali, www.giurcost.org.
126. Nel sistema del welfare society “è l’intera società, e non solo lo
Stato, che deve farsi carico del benessere dei suoi cittadini. Parallelamente
a tale concetto, il principio di sussidiarietà circolare ha cominciato
a fare capolino. Se è necessario che sia la società nel suo complesso
a prendersi cura dei suoi cittadini in modo universalistico, è evidente
che occorre mettere in interazione strategica le tre sfere di cui si compone
l’intera società: la sfera dell’ente pubblico (stato, regioni, comuni,
ecc.), la sfera delle imprese, ovvero la business community, e la sfera
della società civile organizzata, (volontariato, associazioni di promozione
sociale, cooperative sociali, organizzazioni non governative, fondazioni)”
S. Zamagni, Dal welfare della delega al welfare della partecipazione,
www.ordosocialis.de.
127. “Le relazioni non strumentali sono state da sempre trascurate dagli
economisti, poiché considerate non interessanti quando si studiano i mercati
o i fenomeni tipicamente economici, che sarebbero caratterizzati dalla
logica strumentale, quindi una logica antitetica a quella delle relazioni
“genuine”. Negli ultimi anni le cose stanno cambiando, e in economia sta
facendo, lentamente ma decisamente, il suo ingresso il tema delle relazioni,
poiché ci si è resi conto che anche nelle interazioni economiche la qualità
dell’interazione intersoggettiva influenza scelte, individuali e collettive,
e quindi la qualità dello sviluppo economico e civile. La parola chiave
di questa attenzione per la dimensione relazionale oggi nelle scienze
e prassi economiche, è il “bene relazionale [...] l’inserire i beni relazionali
nelle analisi economiche produce importanti effetti in ambiti cruciali
per la nostra qualità della vita: dalla misurazione della ricchezza nazionale,
a quella della felicità, nel benessere soggettivo nei luoghi di lavoro,
alla architettura delle città”, L. Bruni, Beni relazionali, una nuova
categoria nel discorso economico, www.fabbricafilosofica.it. Cfr. S. Zamagni,
La svolta antropologica in economia: il ritorno della relazionalità, www.fondazionebasso.it.
Cfr., infra, modulo12/8.
128. F. Pizzolato, Fraternità trama delle istituzioni cit.
129. G. Arena, Il Principio di sussidiarietà cit.
130. Corte costituzionale, sentenza n. 75/1992.
131. Si è giustamente osservato che la pratica dei doveri moralizza la
Costituzione e giuridicizza l’etica. Ma in assenza di un orientamento
etico la solidarietà non può convertirsi in fraternità, così R. Ruggeri,
Doveri fondamentali, etica repubblicana, teoria della Costituzione, in
I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, a cura
di R. Balduzzi, M. Cavino, E. Grosso e J. Luther, Giappichelli, p. 558.
Mappa cliccabile degli argomenti |
Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità. |
||
Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale |
|
Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza. |
La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività. |
|
Modulo 4. Il nuovo senso civico dello stare insieme in collettività, nella Rete della Vita. Il contributo della scienza .... Modulo 5. L’atto di cooperazione fraterna non è atto di impoverimento o di accettazione passiva dell’altrui egocentrismo Modulo 6. Perché il nostro “Io” si oppone alla cooperazione? Modulo 7. La nostra scelta avanti al bivio: Modulo 8. Il ruolo della coscienza e del modo di vivere per il cambiamento. Modulo 9. La moralità della vita vissuta condiziona i processi cognitivi.... Modulo 10. Gli apporti cognitivi dell’intelligenza del cuore. Modulo 11. Occorre superare il distacco tra cultura e modo di vivere... |
Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale... |
|
Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche |