Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità.

 

 

 

 

1. Fraternità, cooperazione ed empatia.

2. La fraternità, da vincolo di sangue a modello relazionale della vita sociale: dalle fratrie alle corporazioni medievali

3. Il quid novi della fraternità nella prospettiva cristiana

4. La fraternità, principio politico: l’esperienza della Rivoluzione francese.

5. Le speranze di una “Fraternité vivante” e la pedagogia per la realizzazione della fraternità.

6. La cooperazione fraterna, principio ispiratore dell’ordinamento giuridico e della vita sociale. Uno sguardo all’ordinamento italiano

 

1.Fraternità, cooperazione ed empatia

 

 

1.1. Il valore della fraternità ha avuto una notoria rilevanza non solo nelle dottrine religiose e nelle esperienze mistiche, ma anche nel pensiero filosofico, nell’esperienza giuridica e nel dibattito culturale. Il valore della fraternità può avere una certa legittimazione anche nel dibattito politico quale “categoria politica” cioè quale principio idoneo a influenzare i metodi e i contenuti della politica e delle leggi (1).


Ma in generale, quando si parla di fraternità, bisogna riconoscere che “il nostro pensiero va immediatamente alla concezione religiosa, per lo più giudaico-cristiana, di essa. Della fraternità, nel suo significato più propriamente laico e repubblicano, come principio cardine dell’agire pubblico e come criterio etico della decisione e della valutazione politica e sociale, si è persa, invece, via via traccia. Tant’è che di essa si parla come di principio dimenticato. Il termine è caduto pressoché in disuso nel lessico pubblico contemporaneo”(2). Una parte della società, comunque, non ha mai rinunciato a coltivare l’opzione politica della fraternità.


Osserva Morin che ci sono dei momenti storici nei quali il problema cruciale è quello della libertà, soprattutto, nelle condizioni di oppressione e ve ne sono altri nei quali il problema maggiore è quello della fraternità e della solidarietà ed è il caso del nostro tempo (3). Infatti, talune coscienze (filosofi, spiritualisti, sociologi, giuristi, politologi, economisti, cittadini impegnati nella società civile) si interrogano sulla necessità di legittimare direttamente la fraternità nell’ordinamento politico al fine di prevenire e risolvere i conflitti.


La fraternità, in effetti, oggi “viene riscoperta in una dimensione internazionale e multiculturale che mai aveva avuto prima […] si stanno consolidando scuole di pensiero e di azione […] e si accresce, di conseguenza, l'attenzione per il ruolo che la fraternità ha avuto nella storia dei diversi popoli, si cerca ciò che oggi essa può portare nei diversi contesti geopolitici: la comprensione e l'applicazione della fraternità in politica, proprio perché viene intesa come fraternità universale, può venire attuata solo con il contributo di tutte le grandi aree culturali del pianeta”(4). L’idea della fraternità “oggi si candida, forse, anche ad assumere un ruolo nella comunità mondiale”(5).

 

Collocare “l’idea di fraternità in politica, cioè nella sfera pubblica è un percorso molto importante, anche urgente, perché il momento è arrivato di affermare la fraternità come categoria politica. È la sfida più grande per il nostro ventunesimo secolo”(6).
Pare, sotto certi aspetti, essersi ricreato un clima favorevole a una società animata dalla cooperazione fraterna anche se queste aspettative sull’ideale di fraternità non sembrano ancora coinvolgere il grande pubblico la cui attenzione viene catturata spesso da informazioni dispersive relative a fatti contingenti del quotidiano, soprattutto, drammatici.
Non si può negare a questo proposito che una parte dell’umanità viva in una sorta di penombra dell’esistenza e coltivi progetti portatori di sofferenza per tutta la comunità vivente. Però, un’altra umanità, occorre evidenziarlo, sta maturando una nuova coscienza cooperativa ispirata a una rinnovata sensibilità verso i valori di collettività e di universalità, capace di accedere al cuore degli altri e di avvertire che le relazioni con gli altri esseri umani e con la Natura, sono anche esse una parte profonda della loro stessa vita. La nostra riflessione concerne, giustappunto, il valore della cooperazione fraterna quale possibile principio ispiratore della vita collettiva e del nostro agire civico, prescindendo dalla fraternità vissuta in ambiti religiosi o spirituali intesi in senso lato, pur essendo questi ultimi molto importanti anche per la società civile, evidentemente. Pensiamo, ad esempio, all’influenza esercitata dalla fraternità francescana anche sul pensiero economico e a come il monachesimo benedettino (ora et labora) abbia sviluppato una cultura del lavoro e dell’economia in tutto l’Occidente (7). Pensiamo all’influenza esercitata nel tessuto culturale da numerose e coraggiose individualità che, sacrificando talvolta anche la vita, hanno contribuito a mantenere vivi nella società gli ideali di fraternità umana. La fraternità, lo sappiamo, non è, paradossalmente, un facile argomento per l’uomo e non a caso coloro che hanno cercato di portare concretamente la fraternità nell’ambito della società umana sono stati strenuamente ostacolati.

 

1.2. La parola fraternità è impiegata nel linguaggio comune per individuare tipologie di relazioni umane molto diverse tra loro e anche antitetiche. Ciò determina l’esigenza preliminare di enucleare il significato sostanziale e minimale che questa parola possiede. Gli studiosi delle scienze sociali, ad esempio, hanno enucleato nella “forma primaria di comunità” tre specie di rapporti: 1) tra madre e bambino; 2) tra uomo e donna come coniugi; 3) tra coloro che si riconoscono come fratelli e sorelle. Quest’ultima, si è osservato, è la relazione maggiormente densa di umanità tra quelle che possono essere congetturate ed è quella che esprime in modo più autentico la vita comunitaria: “l'amore fraterno può essere assunto come la più umana relazione tra esseri umani”(8). La fraternità, pur implicando la paternità e la maternità, cioè la consapevolezza di essere figli dello stesso padre e della stessa madre, esalta nei suoi contenuti, il legame orizzontale che intercorre tra gli esseri: un legame profondamente empatico e cooperativo. Ma vi è anche di più: tra coloro i quali intercorre il legame di fraternità vi è un naturale riconoscimento di potenziale pari dignità. Questo appare essere, a prima vista, il cuore della relazione fraterna.

 

La famiglia di sangue rappresenta il terreno originario da cui sgorga la parola fratello nella nostra storia umana. D’altronde, anche in ambito giuridico la parola “fratello” richiama, in primis, il legame proprio della famiglia di sangue. Peraltro, anche il concetto politico di fraternità deriva dall’uso analogico dell’originario concetto “archetipico” legato alla famiglia (9).


La fraternità, a ben vedere, è permeata ab origine dal legame con altri da sé: “la fraternità parte da una condizione: l’essere (come) fratelli. In origine, dunque, vi è il legame. L’ordinamento dei rapporti sociali non prende avvio da un “io” isolato e già confezionato, che poi, obbedendo a una volontà mutevole, decide di aprirsi a dei “tu”, ma da un “io” che si percepisce e si costituisce entro una trama di rapporti con altri “tu” che lo accolgono e lo accompagnano nel corso della sua vita. La fraternità esprime il riconoscimento di questo carattere strutturalmente e originariamente relazionale della condizione umana” (10).


Proprio nella relazione con l’altro, afferma Buber, l’uomo prende coscienza di se stesso come soggettività (11). Anche Bergoglio recentemente ha posto in luce la natura relazionale della fraternità, affermando che essa esprime “una dimensione essenziale dell’uomo, il quale è un essere relazionale. La viva consapevolezza di questa relazionalità ci porta a vedere e trattare ogni persona come una vera sorella e un vero fratello; senza di essa diventa impossibile la costruzione di una società giusta, di una pace solida e duratura”(12).


D’altronde, la stessa parola “io“ racchiude necessariamente l’altro: ”in ogni individuo, vi è ciò che può essere chiamato un soggetto. Che cosa è un soggetto? È qualcuno che dice "io". Ma la sua peculiarità è che nessun altro diverso da me, può dire "io" al mio posto, nemmeno mio fratello gemello. Ognuno ha il proprio "Io", si tratta di una posizione unica. Dicendo "io", io mi colloco al centro del mio mondo […]. Così ci sono due particolarità in questa nozione di "io". Il primo carattere può essere chiamato egocentrico, se mi metto al centro del mondo, è la realtà che la parola egocentrico esprime, non è ancora egoismo, ma è una possibilità di egoismo […]. Ma allo stesso tempo, c'è un altro carattere nell’"Io", è la capacità, la volontà e il desiderio di essere parte di un "noi". Gli studi sui neonati ci mostrano che la prima cosa che cerca il bambino, che si aspetta e chiede con il suo sorriso, tendendo le piccole mani, è il sorriso della madre […] il bisogno degli altri, di un legame con gli altri. Questo bisogno si svilupperà durante l'infanzia e la vita adulta. Questo è il "noi" della famiglia […]. Ma il "noi" può superare la famiglia, il "noi" può essere il "noi" della patria, può essere il "noi" del partito, può essere il "noi" della religione, può essere il "noi" della specie umana” (13).

 


L’esperienza ci insegna che il legame di tipo fraterno, in effetti, pur traendo origine dal luogo famigliare, non si limita alle persone tra le quali intercorrono legami di sangue. Come accade di frequente, la percezione di questo legame può sorgere anche dal fatto di far parte di un gruppo umano a noi vicino, prossimo a noi: “nel senso più originario del termine, fraternità si intende come vincolo di sangue, come sentimento di appartenenza a una famiglia, a un clan (famiglia estesa) o ad un villaggio, quartiere, gruppo piccolo e circoscritto di vicinanza. È questo il senso primario della parola "prossimo", chi sta al mio lato, vicino a me. Max Weber definisce questo primo concetto di fraternità come «comunità di vicinanza»: il vicino è il tipico prestatore di aiuto e la vicinanza è perciò portatrice della "fraternità", seppure in un senso spogliato di ogni sentimentalismo, prevalentemente etico-economico della parola. Il prossimo aiuta il vicino perché un giorno anche lui potrà avere bisogno dell'aiuto di quest'ultimo. Questa fraternità originaria è parte dell'esperienza comune di ogni essere umano in quanto membro di una famiglia e di una comunità di persone che gli sono prossime” (14).

Il legame di tipo fraterno può andare al di là della “comunità di vicinanza” in quanto può essere percepito anche verso esseri che non sono fisicamente vicini ma distanti da noi e addirittura anche sconosciuti a noi in quanto si ritiene di condividere con essi una comune discendenza ideale: figli della polis, figli della stessa Nazione, figli della stessa Madre Terra, abitanti della stessa Biosfera (15) o della stessa Terra patria (16) o della Terra quale casa comune.

 

Il legame di tipo fraterno può andare oltre il genere umano e abbracciare il Creato intero. Il legame di tipo fraterno può arrivare ad essere concepito e percepito come una qualità essenziale della nostra Vita in tutte le sue manifestazioni, anche a prescindere da prospettive squisitamente religiose. I legami di tipo fraterno possono, dunque, derivare anche dalla libera scelta compiuta dai singoli individui che decidono di assumere la fraternità quale modello relazionale, e in ragione di ciò vi è chi distingue la fraternità di origine dalla fraternità di risultato (17).


La storia comprova che la fraternità, effettivamente, è stata praticata quale modello relazionale non solo della sfera affettiva di matrice familiare ma anche delle relazioni umane in generale, sia a livello intersoggettivo (amicizia fraterna) e sia a livello sociale (gruppi, associazioni e società civile). Cioè la fraternità, da legame affettivo proprio dell’ambito famigliare, evolve in modello relazionale esteso a soggetti, estranei al nucleo di origine, con i quali si condividono interessi comuni.
La fraternità possiede, dunque, una sua forza espansiva orizzontale, via via che aumentano i soggetti coinvolti nel legame in questione, e una forza espansiva verticale, via via che dal vincolo genetico più materiale (sangue genitoriale) si passa a quello più ideale (comunanza di interessi, sentimenti, idee)... fino alla coscienza dell’Unità ove l’altro è un altro “me stesso”.


Questa energia espansiva è presente anche nel terreno giuridico: la fraternità “è un concetto assoluto e universale nel suo esprit, ed è variabile nelle sue applicazioni. Al di là delle sue manifestazioni nazionali, la fraternità può estendersi a tutta l'umanità, come è testimoniato dal diritto internazionale umanitario, che impone una soglia di minimale di rispetto della dignità umana anche durante la guerra. Può anche estendersi nel tempo, fondando obbligazioni nei confronti delle future generazioni: obbligazioni, tra le quali, vi è il lascito in eredità di un ambiente vivibile e di un ordine mondiale basato sulla pace tra le nazioni" (18). Questa duplice forza espansiva della fraternità è tuttora in itinere.

 

1.3. Il modello relazionale fraterno nel corso delle molteplici vicende storiche, evidentemente, non ha espresso un nucleo comportamentale univoco e stabile. Pertanto, appare opportuno precisare che le idee di fraternità tratteggiate nel nostro lavoro sono richiamate e intessute, soprattutto, nella prospettiva di cogliere ed evidenziare un percorso costruttivo già operante nella realtà sociale, con la consapevolezza che il nome “fraternità” è stato impiegato nella storia umana anche in funzione escludente o addirittura belligerante. Peraltro, questi profili non sono scomparsi nemmeno oggi, ma sono espressivi di un uso sostanzialmente improprio della parola “fraternità” in quanto essa, se è autentica, porta naturalmente con se pari dignità, legami empatici e cooperativi.

 

Al fine di liberare il terreno da incertezze di tal genere, noi preferiamo ragionare su una possibile evoluzione dell’umanità nella direzione di una società empatica, cooperativa e fraterna.


La scelta di porre le parole ”empatia” e “cooperazione” accanto alla parola “fraternità” merita, comunque, un chiarimento puntuale. L’empatia (amplius, modulo12/4) di per sé è una facoltà, una possibilità per rapporti fraterni ma è anche una possibilità per relazioni strumentali finalizzate all’autoaffermazione, come accade nelle strategie commerciali (19). Anche Rifkin che ha elaborato una nozione di “coscienza empatica” ammette che l'empatia non è comunque un meccanismo infallibile, ma una grande opportunità per dare una svolta al cambiamento (20). L’empatia può, dunque, non essere fraterna, ma la fraternità deve contenere l’empatia. Nella nostra riflessione, la parola “empatia” sottintende, dunque, una empatia di matrice fraterna per sottolinearne la finalizzazione costruttiva. Questa connotazione, peraltro, aiuta a comprendere anche che la fraternità è reale se ha un autentico contenuto relazionale. Infatti, anche Bergoglio afferma che “la buona novella richiede ad ognuno un passo in più, un esercizio perenne di empatia”(21).

Un altro valore implicato dalla fraternità è quello di cooperazione: pur essendo anche esso un concetto moralmente neutro, rappresenta, comunque, una qualità imprescindibile della fraternità in quanto comporta un agire coordinato e finalizzato a raggiungere un risultato comune e condiviso (22). Le espressioni “natura empatica” e “natura cooperativa”, nel nostro approccio, sono, dunque, impiegate con una certa elasticità quali parole rafforzative o sinonime di “natura fraterna”. Considerato, inoltre, che la fraternità per noi non esprime un sentimento o una religione, ma una filosofia di vita, civica e ragionevole (modulo V), la matrice fraterna del valore di empatia attribuisce a questa ultima una connotazione di altrettanta ragionevolezza (23). L’empatia non è, quindi, una emozione o una manifestazione di altruismo irrazionale, come paventato da alcuni studiosi della materia.


Ciò precisato, bisogna riconoscere, da subito, che i valori empatici e cooperativi sono in netta antitesi a quelli praticati da coloro che agiscono nella prospettiva profittatrice e materialistica. L’espressione è un po’ forte, ma esprime con efficacia la realtà delle cose in quanto coloro che agiscono nell’ambito di questa ultima prospettiva, non riconoscono i valori di pari dignità negli esseri umani e tendono a vedere gli uomini, ma anche il mondo nel quale vivono, come una “cosa” da strumentalizzare impietosamente, che si tratti di risorse umane (intelligenze, fiducia, affetti, aspettative, etc.) o naturali. È sufficiente pensare, ad esempio, ai danni provocati alla salute della Terra e degli uomini da coloro che speculano nelle produzioni industriali e alimentari.


1.4. In questo modulo, cercheremo di cogliere, in termini sintetici, il percorso di espansione orizzontale e verticale compiuto dalla fraternità e le diverse percezioni che si sono storicamente inverate dell’idea di fraternità. Non mancheremo di porre in luce come, su influsso del cristianesimo, la fraternità abbia acquistato nuove qualità contenutistiche, dense di conseguenze anche per la società civile. Approfondiremo l’esperienza della fraternità come principio politico durante la Rivoluzione francese. Analizzeremo come, a partire dalla Seconda guerra mondiale, si siano esplicitate nel tessuto giuridico-sociale energie valoriali riconducibili alla fraternità quale possibile principio ispiratore di un nuovo ordine civico e sociale. Concluderemo la Parte Prima con alcune riflessioni, esplicitate nel modulo II, finalizzate a evidenziare lo stadio di attuale sviluppo dell’idea di fraternità, il travaglio individuale e collettivo proprio della nostra contemporaneità, nonché l’emergenza, malgrado le vicende drammatiche dei nostri tempi, di una coscienza cooperativa, empatica e fraterna.

 


2. La fraternità, da vincolo di sangue a modello relazionale della vita sociale: dalle fratrie alle corporazioni medievali.

“L’idea di fraternità è una condizione antropologica universale entro cui gli esseri umani si riconoscono originariamente come fratelli”

 


2.1. La parola fraternità, scriveva il Paoli nel Settecento, è una “denominazione presa dall'attaccamento di sangue, e per conseguenza, d’interesse, d’amore e di cordialità, che suol passar fra coloro che nacquero da medesimi genitori, fu usata in tutti i tempi per esprimere una unione ed un affetto necessario per conservare di ogni e qualunque società la sussistenza a seconda di quanto insegnò Quintiliano aver ogni società il diritto di fratellanza […] presso tutte le nazioni vi furon sempre le unioni di persone che presero vicendevolmente il nome di fratelli. Son celebri presso i Fenici le fratrie”(24).
La struttura sociale organizzata mediante i moduli della “fratria” era nota anche presso i popoli cosiddetti primitivi: la fratria “rappresenta un elemento di coesione nella compagine della tribù […]. Essa dava infatti ai componenti di vasti gruppi l'abitudine di considerarsi come "fratelli", come membri di un'unità superiore, e questo sentimento era rafforzato dai culti e dalle cerimonie celebrate in comune” (25). Infatti, Morin sottolinea che nelle società arcaiche “vale a dire in quelle società che non hanno uno Stato, ciò che lega i membri è l'idea che essi sono tutti discendenti di un antenato comune che fraternizza. Tutte le regole di queste società arcaiche sono molto severe, nel rispetto di coloro che fanno parte di questo "noi". Coloro che fanno parte della comunità, non debbono essere uccisi, feriti o danneggiati […] occorre avere un comportamento comunitario nei loro confronti” (26).
In effetti, la parola fratello già dall’antichità, secondo gli studi dei linguisti, era potenzialmente estensibile ad altre persone non consanguinee (27). Il nome “fratello” riposa, osserviamo per inciso, sulla radice sanscrita bhratr: “is the commun designation of brother from the Rigveda onwards“ (28). Da questa parola abbiamo ricavato nelle varie lingue: bratstvo, brother, brüderlichkeit, frater, fratria, frère, fratello.
Anche lo studio della cultura greca e romana comprova che è risalente nel tempo l’estensione delle relazioni proprie tra fratelli di sangue a persone estranee all’ambiente famigliare. Ad esempio, le citate fratrie erano note in Grecia: “nella più antica età della Grecia, l’organizzazione della società era rivolta quasi esclusivamente agli scopi di difesa collettiva, di qui la necessità che l’individuo trovasse in organizzazioni a base più ristretta quella tutela giuridica che non poteva invocare dalla polis. Fra queste la più importante era la fratria, gruppo di uomini legati da vincoli di sangue e impegnati dalla stessa consanguineità a prestare reciproco aiuto. In seguito, con il mutamento dei compiti della polis, anche un forestiero poteva essere iscritto alla fratria” (29).


Il bisogno protettivo era, dunque, molto avvertito nell’ambito della fratria. Peraltro, proprio la necessità di avere una protezione e un sostegno per la prole ha forse “generato comunità, tribù, nomadi e villaggi che sono diventati il fondamento della civiltà umana” (30). Non dobbiamo dimenticare che la parola “patria” a noi vicina, evoca sul piano etimologico, in effetti, l’antica aggregazione tra fratelli (fratria) (31).


La fraternità permeava anche varie situazioni giuridiche del diritto romano. Ad esempio, in epoca arcaica esisteva un modello di consorzio fraterno (consortium ercto non cito), una forma di proprietà comune indivisa. Alla morte del pater familias, i fratres, stretti da un vincolo naturale di sangue, decidevano di stare uniti in modo da realizzare una comunità domestica in cui il patrimonio familiare rimaneva non diviso (32). Detto istituto probabilmente fu assunto come archetipo per disciplinare anche i vincoli associativi avulsi dai legami di sangue (33): infatti “è alla fraternitas che i giuristi romani si richiamano per consentire anche a soggetti non legati da tale vincolo naturale di perseguire comuni obiettivi […] dal consortium tra fratres si arriva, così, al consortium volontario tra estranei ove la fraternitas permane come legame derivante non dal vincolo di sangue ma dal consenso. Nel consortium tra estranei è proprio l’assenza del vincolo di sangue che induce alcune persone a cercare di costruire con il consenso un vincolo altrettanto forte, se non più forte, perché totalmente voluto non solo nella fase della conservazione del rapporto ma ancor prima nel momento di costituzione” (34).

La fraternitas era presente non solo nel diritto privato, ma, in certo qual modo, anche nella sfera pubblica: “Nel sistema giuridico-religioso romano il passaggio da una nozione di fraternitas come rapporto di consanguineità ad un rapporto diverso e più esteso è attestato, già sul piano sacrale, con riferimento all’antico collegio dei Fratres Arvales, i cui componenti erano deputati a proteggere i campi coltivati […]. Abbiamo anche notizia di rapporti giuridici fra il popolo romano e altri popoli improntati alla fraternitas” (35). Tale fraternità è “ricordata già nel De Bello Gallico di Cesare ove si dice che gli Edui erano stati molto spesso, con deliberazioni del Senato, definiti fratelli del popolo romano (Haeduos fratres consanguineosque saepenumero ab senatu appellatos)” e negli Annali di Tacito vi è il riscontro di un’antica fratellanza con il tale popolo (36). La fraternitas era presente, quindi, anche nell’ambito delle relazioni con popoli alleati. In verità, il ricorso alla fraternità per sigillare alleanze è di antica data. Gli esempi del genere sono numerosi: “i re greci che si combattevano fra di loro per la supremazia degli uni sugli altri sigillarono un patto di fraternità che gli unirono per distruggere un nemico comune, la potente armata degli spartani” (37). Osserva Baggio che “nell’area indoeuropea è possibile trovare traccia del concetto di fraternità, usato politicamente, già nell’epoca del Tardo Bronzo, ad esempio, nella corrispondenza diplomatica tra il re di Amurru e quello di Ugarit, o nel trattato tra l’ittita Hattushili III e l’egizio Ramses II” (38).


2.2. Il modello relazionale della fraternitas si espande e si rafforza nei secoli successivi. Pensiamo, ad esempio, all’istituto dell’adfratatio (affratellamento), di antiche origini, che si consolida in epoca medievale, sia per esigenze economiche e di protezione e sia, talvolta, per finalità altruistiche: “con questo nome si designa l’atto con cui un elemento estraneo viene immesso nel cerchio familiare. L’affratellamento è un patto che può avere per oggetto qualsiasi oggetto purché lecito. Ha due caratteristiche: l’affectio societatis, che si manifesta in una coabitazione ad unum panem e unum vinum per tutta la vita, e con la parità di condizioni per i contraenti” (39). Ad esempio, una speciale forma di affratellamento sviluppatasi nei popoli slavi, era denominata Bratstvo o Pobratimstvo (40). Queste fraternità erano aperte a soggetti estranei alla famiglia di origine: ”componenti di famiglie diverse decidevano di essere tra loro fratelli e sorelle […] il legame che unisce questi fratelli elettivi è più forte di quello discendente dalla fraternità naturale” (41).

 

 

In tutto il Medioevo, bisogna dire, si sviluppa un intenso senso comunitario, tramite la valorizzazione dei legami di parentela, dei rapporti di vicinato, di amicizia e di lavoro (42). Sono, altresì, presenti nel Medioevo, le fraternità d’armi suggellate tra cavalieri con giuramenti di fedeltà e di sostegno reciproco. Si è rilevato acutamente che “uno spirito nuovo penetra nella vita del Medioevo…i mercanti, i lavoratori cercano nell'associazione i sussidi della difesa comune e dell'aiuto reciproco, e sorgono le nuove corporazioni. In esse si aggiunge un senso nuovo, quello della fede, che distingue le corporazioni medievali dalle antiche; le nuove associazioni si pongono sotto la tutela di un santo, hanno tra i loro fini principalissimo quello delle preghiere in comune, dei suffragi per i defunti, delle sepolture… e come nelle antiche corporazioni, si vuole dare aiuto reciproco agli affiliati, garantire la condizione giuridica degl'iscritti con la conquista e la difesa degl'interessi comuni. Mentre in Italia si formano le unioni dei mercanti e dei professionisti (compagnie, mercadantia, societas mercatorum, collegia notariorum, etc.) o le fratellanze artigiane (fratalea e "fraglie", paratica, ministeria, artes, officia), sorgono in Francia le confraternitates o confréries tra i mercanti e gli artigiani e i collegia dei professionisti; si formano in Inghilterra le corporazioni religiose, mercantili e artigiane, che si dissero "gilde" o guilds, non meno che nella Svezia e nei Paesi Bassi; si moltiplicano in Germania le associazioni giurate, che si dissero Innungen, Gilden, Zünften, non altrimenti che i gremios della Spagna” (43).


Secondo Durkheim “come la famiglia è stata il contesto in cui si sono formati la morale e il diritto domestico, così la corporazione è stata il contesto naturale in cui sono stati elaborati la morale e il diritto professionale. È soprattutto la corporazione medievale a svolgere un ruolo di grande importanza per la società contemporanea per il posto centrale che essa ha occupato all’interno della società” (44). Una notevole rilevanza ebbero evidentemente i comuni giurati (45) relativamente ai quali il fraternizzare, secondo Weber, “non significava esclusivamente garantirsi certe prestazioni utili con finalità pratiche… ma diventare qualitativamente qualcosa d’altro rispetto a prima. Gli associati devono lasciare che un’altra ‘anima’ penetri in loro” (46).


3. Il quid novi della fraternità nella prospettiva cristiana.

 

3.1. Come sopra rilevato, si sviluppano in età medioevale, effettivamente, aggregazioni animate non solo da legami intercorrenti tra i pochi soggetti ammessi per soddisfare interessi comuni (familiari, di vicinato o di lavoro), ma anche da legami propri della fraternitas cristiana: pensiamo alle confraternite. Infatti, “sorse un'enorme quantità di associazioni laicali (molte delle quali denominate confraternite), che promuovevano una più intensa pratica di rapporti fraterni, sia fra i componenti sia verso l'esterno, e che hanno influito sia sul diritto (ad esempio, per quanto riguarda la teoria della persona giuridica), sia sulla società nel suo complesso ponendo le premesse per i moderni servizi sociali e di assistenza. Non mancarono, anzi, visioni che andavano assai al di là della società del tempo: lo spirito di fraternità verso tutta la realtà naturale e cosmica prospettato da San Francesco non appare oggi così moderno da poter costituire uno spunto di giustificazione teorica per una legislazione che protegga l'ambiente?“ (47)
Secondo gli studiosi, le citate confraternite potrebbero essere identificate come “gruppo variamente composto da laici e chierici, da uomini e donne, consociatisi nelle città come nelle campagne per scopi di edificazione religiosa, di solidarietà devota, di impegno liturgico, di pratica penitenziale e caritativa, di socializzazione, di crescita pedagogica, di sostegno reciproco” (48).


La fraternità in epoca medioevale e rinascimentale, su impulso della cultura cristiana, effettivamente, “mostra una grande ricchezza di contenuti: si va dal significato teologicamente "forte" della fraternità "in Cristo", ad una miriade di manifestazioni pratiche, che partono dalla semplice elemosina, al dovere dell'ospitalità e della cura, alla fraternità monastica che presuppone la convivenza e la comunione dei beni, fino a complesse opere di solidarietà sociale che, soprattutto in epoca medievale e moderna, precedono i nostri attuali sistemi di welfare” (49). Si è osservato a questo proposito che “l’Italia dell’Umanesimo civile è il luogo in cui hanno preso avvio ed hanno iniziato ad operare quelle istituzioni per il cambiamento umano che oggi chiamiamo Terzo settore” (50). Il valore cristiano di fraternità in queste epoche, ancorché non si manifesti con pienezza nella intera vita sociale, quanto meno “ha trovato modo di esplicarsi in istituzioni capaci di cambiare il modo di vivere sociale” (51). Il valore della fraternitas cristiana non resta, in effetti, confinato in aggregazioni umanamente chiuse. Ma qual è il quid novi della fraternità cristiana?
Appare opportuno sottolineare che, malgrado il termine “fraternità” non sia stato coniato dal cristianesimo, “è stato il concetto cristiano a esercitare l'influenza culturale più profonda e durevole. I primi cristiani mutuarono dagli Ebrei l'uso di chiamare 'fratelli' i correligionari” (52).


Sulla matrice cristiana della fraternità, Aïvanhov osserva: “anche se sono atei, i nostri contemporanei devono ammettere che la nozione di fraternità è stata portata loro dal cristianesimo. Certamente, anche prima di Gesù alcuni Saggi avevano potuto insegnare il rispetto e l'amore del prossimo [...] anche Buddha insegnava la benevolenza nei riguardi di tutte le creature e la compassione per le immense sofferenze che esse debbono subire durante tutta la loro vita terrena. Ma il sentimento di benevolenza o di compassione non è la stessa cosa del sentimento di fratellanza, della coscienza di appartenere a una sola e medesima famiglia. È dunque la filosofia di Gesù, trasmessa attraverso il cristianesimo, che ha permesso al sentimento di fraternità di svilupparsi nel mondo occidentale" (53). Anche per Baggio “si può non credere in Dio: ma si deve prendere atto che, nella storia umana, è con Gesù che viene introdotta la categoria della fraternità, che spiega come gli uomini, prima di appartenere ad una razza, ad una cultura, ad un popolo, sono fratelli: la comunità umana è la prima comunità, quella che rende possibili tutte le altre, e la fraternità è il legame che la definisce” (54). Secondo Donati, i Vangeli enunciano “un cambiamento strutturale e simbolico della relazione di amore: prima gli uomini erano ‘servi’ (di Dio), dopo sono i suoi ‘figli’, la formula positiva «ama il prossimo tuo come te stesso» implica una relazionalità fatta di amore tra fratelli” (55).


È fondamentale porre in luce che con il cristianesimo, la parola fraternità non identifica più un modello relazionale affettivo proprio della famiglia di sangue o una relazione di interesse intercorrente tra determinati soggetti all’interno di gruppi (fratrie, corporazioni, confraternite, etc.) o tra popoli a scopo di aiuto e sostegno (alleanze), ma esprime nuove qualità, ovvero, la universalità e la pari dignità in virtù della comune discendenza divina. Anche Debray osserva che la parola fraternitas, come sinonimo di appartenenza a una famiglia unica e non a un gruppo umano ristretto, appare per la prima volta presso gli autori cristiani (56). In questa prospettiva, la fraternitas supera i confini dei legami di sangue, di etnia e di interesse, etc.


Il modello relazionale cristiano esprimendo una fraternitas universale, oltrepassa i modelli relazionali implicanti protezione tra i componenti di un dato gruppo, ma potenziale ostilità verso coloro che sono estranei allo stesso gruppo (57). La fraternità cristiana non può essere una aggregazione limitata ad alcuni esseri umani, non può essere escludente e parziale. La fraternità cristiana comporta logicamente e necessariamente l’idea di una sola famiglia umana. La fraternità in questo approccio non è un semplice modulo di organizzazione dei gruppi sociali, non è una strategia adattiva della specie, ma una verità oggettiva sul piano spirituale. La fraternitas esprime una verità nel senso che noi esseri umani, nella componente spirituale, siamo fratelli in quanto effettivamente figli dello stesso Padre. Ciò che facciamo agli altri, tra l’altro, lo possiamo percepire anche su di noi poiché siamo effettivamente “tutti uniti”. Il problema storico della idea di fraternità cristiana è dato dal fatto che mentre le fratrie, i gruppi, e corporazioni e le fraternità parziali sono realtà storiche valutabili, la fraternità cristiana, fatta salva l’azione esemplare di singole individualità, resta ancora una tappa da raggiungere. La fraternità resta, ancora, una verità spirituale non incarnata sul piano della realtà umana e sociale in quanto non è ancora entrata pienamente nelle coscienze e nei comportamenti umani. Ma, nondimeno la sua presenza e le aspettative che essa ha generato, hanno modificato radicalmente la progettualità umana in quanto hanno prodotto nella società valori che sono stati interpretati, anche in termini laici: pensiamo allo spirito solidaristico, al bisogno di dignità, al bisogno di rivalutazione dell’essere umano anche se povero, anche se privo di cultura e di potere sociale, anche se straniero, anche se malato. Questo bisogno di solidarietà e di dignità ha agito concretamente anche sulla coscienza dei movimenti politici e sui loro programmi di azione, come evidenzieremo in seguito (cfr. modulo II). Maritain ha osservato giustamente che “grazie all’ispirazione evangelica, spesso misconosciuta, ma sempre attiva, la coscienza non s’è soltanto ridestata alla comprensione della dignità della persona umana, ma anche alle ispirazioni e all’anelito che agiscono nelle sue profondità… è venuta a stimolare l’aspirazione naturale della persona a riscattarsi dalla miseria, dalla servitù e dallo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo” (58).


4. La fraternità, principio politico: l’esperienza della Rivoluzione francese.

“L’esperienza francese appare straordinaria in quanto in essa si sono manifestate quasi tutte le interpretazioni possibili della idea di fraternità”

 

 

4.1 A partire dalla fine del Settecento e sino alla metà dell’Ottocento, l’idea di fraternità ha una innovativa spinta ideale grazie, soprattutto, alla Rivoluzione francese. L’idea di fraternità in questo periodo storico supera i confini delle singole famiglie, delle comunità religiose e delle corporazioni ed entra, concettualmente, in un programma politico concernente direttamente il popolo. Infatti, tutti gli studi sulla fraternità riservano grande attenzione all’esperienza storica maturata dal popolo francese in tema di fraternità (59). Nel periodo storico della rivoluzione si cerca, se pur per un breve lasso di tempo, da parte di talune forze politiche di tradurre la fraternità in un valore laico della vita sociale.
Con la Rivoluzione francese la fraternità, per la prima volta, viene accostata agli altri due principi che caratterizzano anche oggi le nostre democrazie contemporanee e che esprimono “una sintesi magistrale di tutte le utopie umane” (60): la libertà e l’uguaglianza. In effetti, tuttora i tre valori del trittico rappresentano “il nucleo normativo e il criterio interpretativo” della nostra società, e definiscono “con particolare vigore sintetico il progetto moderno di società desiderabile”, esprimendo “la tensione fondamentale tra aspettative di libertà e di autorealizzazione dell’individuo” (61).
In epoca rivoluzionaria, la fraternità non è intesa, come nel Medioevo, quale valore relazionale tra i membri che fanno parte dei corpi intermedi verso i quali si nutre ora, invece, un forte pregiudizio (vedi la legge“ “Le Chapelier” del 1791 con la quale vengono soppresse le corporazioni in quanto espressione dell’ancien règime) ma quale valore relazionale che deve intercorrere direttamente tra il popolo cioè il cittadino e il suo Stato, la sua Patria: tutti i cittadini sono, infatti, fratelli. Tra gli interessi individuali e quelli generali non sono più ammessi interessi intermedi.
Appare necessario precisare, per meglio inquadrare l’intenso dibattito maturato in epoca rivoluzionaria sulla fraternità, che nella storia vi sono state, da sempre, anime spiritualiste e laiche che, pur accettando il messaggio cristiano di fraternità, non hanno inteso riconoscere, nel contempo, il ruolo temporale e religioso delle istituzioni religiose e le relative interpretazioni sul messaggio evangelico (cfr. modulo II). In termini ancora più chiari, coloro che riconoscono il valore dei Testi sacri e le figure dei Mistici, non sempre riconoscono le istituzioni religiose e le relative dottrine religiose. Infatti, nella mente di alcuni rivoluzionari, l’idea di fraternità, pur originata dai Vangeli, appariva molto diversa da quella proposta dalle istituzioni religiose. Ad esempio, Michelet, un famoso storico del tempo, opponeva alla fraternità ritenuta figlia della religione cattolica, la fraternità nata dalla Rivoluzione e nel 1847 scriverà: «Au lieu de la fraternité de parenté qu'enseignait le christianisme, fraternité obtenue au prix d'une solidarité injuste entre le pécheur et l'innocent, la Révolution a enseigné la fraternité de la justice avec responsabilité personnelle: chacun comptant pour soi, mais voulant compter avec les autres, voulant créer solidarité fraternelle» (62). I rivoluzionari, secondo Michelet, intendevano “rompere il legame con la ereditarietà cioè con l’idea di una fraternità umana collegata al peccato originale” e non volevano “procrastinare la fraternità ad una vita ultraterrena” in quanto ritenevano di doverla realizzare nella “vita da condurre qui sulla terra” (63). Michelet poneva anche in luce il fatto che non occorreva cercare la grazia “per vivere la fraternità in quanto tutti sono già fratelli” (64). Anche sulla base di queste riflessioni, alcuni storici distinguono la “fraternité révélées” fondata sulla rivelazione giudaico-cristiana dalla “fraternité rationalisée” fondata sulla cultura illuministica della ragione che accomuna gli uomini (65).
Il dibattito dei rivoluzionari sulla fraternità è intenso, ma non sfocia subito in riconoscimenti formali (66). Il principio di fraternità, infatti, assente nella Déclaration des Droits de l’homme et du citoyen del 1789, nella Constitution del 1791 e in quella del 1793, sarà accolto ufficialmente solamente con la Costituzione repubblicana del 4 novembre 1848 (67) ,“puis répudiée par le Second Empire, elle reprend finalement sa place au sein de la devise officielle à la suite de la victoire électorale des républicains en 1880. Elle y demeurera jusqu’à aujourd’hui, exception faite d’une courte éclipse sous le régime de Vichy” (68).


Il tardivo riconoscimento formale della fraternità si spiega con il fatto che, malgrado i sermoni dei sacerdoti patrioti (69), sul piano squisitamente politico, nell’ambito della triade rivoluzionaria, proprio la fraternità si rivela la componente più debole. Si è osservato che “molto presto, la fraternità non è stata amata nel trittico “Libertà, uguaglianza, fraternità”. È stata accantonata... all'ombra di quei due grandi pilastri repubblicani che sono tutt’ora la libertà e l'uguaglianza. Gli storici offrono generalmente tre tipi di ragioni per questa emarginazione politica: l'incompatibilità della fraternità con la legge del terrore, l'atmosfera della quale la fraternità è circondata e che la rende poco operativa e le sue origini cristiane” (70). Resta, invece, sul campo politico il valore innovativo, ma meno impegnativo, della solidarietà tramite la quale alcuni, come P. Leroux, tentano di laicizzare il concetto di carità cristiana (71). L’idea di solidarietà sembrava più convincente rispetto a quella di fraternità, sul piano politico, perché “poteva assumere, per la mentalità positivista del tempo, una apparenza di scientificità, come interprete dei legami oggettivi di interdipendenza esistenti tra gli uomini nella società, mentre la fraternità veniva inserita in un ambito più soggettivo e affettivo; sembrava, inoltre, più facilmente utilizzabile come principio giuridico, mentre la fraternità si faceva valere soprattutto come dovere morale; infine, la solidarietà permetteva, almeno apparentemente, di conservare i contenuti della fraternità, tagliandone però i suoi legami con la sfera religiosa dalla quale proveniva: sembrava prestarsi meglio, di conseguenza, ad ispirare una azione civile e pubblica, di carattere non confessionale” (72).


Peraltro, l’idea di fraternità sul piano giuridico non appariva coerente con la logica individualista e contrattualista dello Stato moderno (73). Infatti, si è detto che la fraternità non arriva a concretizzarsi storicamente anche perché essa avrebbe dovuto essere accettata da “un mondo di persone altamente individualiste, influenzate da ciò che l’ideologia dominante considera legittimo, e addirittura sacro, l’egoismo nei propri interessi economici, la necessità di espressione piena della propria individualità” (74). L’idea di fraternità coltivata in questo straordinario periodo storico entra dunque in crisi, beninteso, sotto il profilo politico-giuridico, anche a causa della sua asserita “incapacità di fondare in modo duraturo i diritti e le obbligazioni sociali” (75).

 


A ben vedere anche nel 1848, il principio di fraternità, per quanto accolto formalmente nell’ordinamento giuridico francese, viene inteso nella realtà quale principio di solidarietà (76). Nel discorso di presentazione della Costituzione all’Assemblea nazionale, il primo ministro ministro Dufaure, infatti, afferma: “l’assistenza riassume ormai il grande dovere di fraternità che la Repubblica ha la missione di compiere [...]. Per la prima volta il precetto cristiano, che ha rinnovato la faccia del mondo 1800 anni fa, diviene la base di tutto un codice amministrativo” (77). Viene affermata con chiarezza, quindi, l’equivalenza tra fraternità e solidarietà intesa come assistenza del potere pubblico (cfr. modulo III).


Verso la fine dell’Ottocento, la solidarietà prenderà il posto della fraternità sia nelle dottrine liberali che in quelle socialiste: “solidarietà è, da un lato, un termine proprio del movimento operaio internazionalista, atto a definire un legame (di classe) scelto e non predeterminato dalla nascita, dall'etnia, dalla religione [...] dall'altro un termine inscritto nel filone di pensiero correttivo e riformatore dell'individualismo liberale. In questo secondo caso il legame ipotizzato non rappresenta tanto il frutto spontaneo della collocazione sociale, quanto una costruzione politica dei ceti dirigenti, una rete di protezione assicurativa che si è venuta variamente disegnando in risposta all'ambiente economico-sociale, culturale e politico del singolo paese” (78).
Peraltro, detta equivalenza tra fraternità e solidarietà appare persistere tuttora nella cultura francese. Afferma, infatti, Mattei: “Non so se sia così in Italia, ma da noi in Francia, dal diciannovesimo secolo a questa parte c’è stata una confusione deplorevole tra la fraternità e la solidarietà... intendere la solidarietà come un sinonimo della fraternità... sarebbe come oscurare e neutralizzare il significato profondo della fraternità. Intendere la solidarietà come sinonimo della fraternità impedisce a quest’ultima di sprigionare tutte le sue potenzialità rivoluzionarie” (79).

Il fatto che la fraternità sia stata interpretata in modo riduttivo e trasformata politicamente e giuridicamente in solidarietà non può essere, comunque, sottovalutato, stante le grandi conquiste ottenute in quell’epoca grazie alla idea di solidarietà (80) e stante il fatto che non si conoscono Stati che abbiano a tutt’oggi realizzato la fraternità. Ricorda Le Goff che proprio “una nuova generazione di diritti umani, i “diritti sociali”, affonda qui le proprie radici. Nel 1848 appaiono il diritto all’assistenza e il diritto al lavoro, in seguito il diritto all’esistenza, il diritto alla protezione, il diritto alla salute, all’istruzione, etc. Qui lo Stato sociale trova la propria matrice. Al contempo, il mondo del lavoro sperimenta la potenza della fraternità” (81). Anche Zamagni osserva che le stagioni che abbiamo lasciato alle spalle nell’Ottocento e nel Novecento, al di là dei loro limiti connessi al rifiuto della fraternità, “sono state caratterizzate da grosse battaglie sia culturali sia politiche in nome della solidarietà; e questa è stata una cosa buona: si pensi alla storia del movimento sindacale e alla lotta per la conquista dei diritti civili” (82).

 

4.2. L’esperienza francese appare straordinaria in quanto in essa si sono manifestate quasi tutte le interpretazioni possibili della idea di fraternità. L’esperienza francese è stata una sorta di laboratorio di fraternità. In epoca rivoluzionaria e repubblicana, l’idea di fraternità non ha avuto, infatti, un significato univoco in quanto è stata alimentata da motivazioni composite e talora confliggenti (83): erano presenti esigenze patriottiche, istanze di aperta lotta sociale, lotte di potere tout court, aspirazioni ideali che taluni ritenevano riservate agli uomini e non alle donne (come era il caso del suffragio universale), aspirazioni ideali che taluni coniugavano con la pratica del terrore rivoluzionario (“fraternité ou la mort”) (84) e che altri ritenevano compatibili con l’accettazione della tratta dei neri e l’economia schiavista delle colonie francesi (85).
Tra le motivazioni più significative vi è senza dubbio quella “politica”, nel senso che la fraternità è una idea sulla base della quale radicare e compattare l’identità dei cittadini intesi come “uomini liberi dal dispotismo regio e dai privilegi del clero e della nobiltà, eguali di fronte alla legge e fratelli nella nazione francese” (86). Il principio di fraternità è declinato, dunque, come “fraternità nazionale” e diventa parola d’ordine quando la nazione viene ad essere minacciata da eserciti stranieri o da frammentazioni e divisioni interne (87). Questa idea di fraternità consente di costruire un’unità nazionale e di combattere per essa. Se teniamo conto del contesto storico del tempo, questa idea di fraternità, anche se parziale, è molto costruttiva in quanto consente di superare le limitazioni del potere religioso e feudale e di dare vita a un nuovo ordine sociale denso di grandi speranze. Nel cuore dell’Ottocento questa idea politica di fraternità si diffonde e diventa anche “solidarietà internazionale con tutti i popoli che lottano contro la tirannia” (88). Come è stato rilevato, la concezione illuminista ha anche valorizzato l’idea cosmopolita di fraternità tra i popoli (89).
Ma sono presenti sul piano motivazionale anche aspirazioni a idealità spirituali, come si evince, ad esempio, da una circolare governativa dell’epoca ove si legge: ”La fraternité c’est la loi de l’amour de la découlent: l’abolition de tout privilège, la répartition de l’impôt en raison de la fortune, un droit proportionnel et progressif sur les successions [...] le service militaire pesant également sur tous, une éducation gratuite et égale pour tous, l’instrument du travail assuré à tous” (90). Alcuni, in effetti, tentano di dare alla fraternità cristiana una veste sociale e politica. Ad esempio, Lamartine scrive nel 1834 agli elettori di Bergues: ”J'ai lutté pour la liberté individuelle, pour que le principe de charité et de fraternité chrétienne, qui anime et féconde la religion, fût enfin introduit dans la politique et écrit graduellement dans nos lois comme il l'est déjà dans nos cœurs” (91). Lamennais sostiene che l'azione di Dio tende ”à coordonner les nations, comme les membres d'une seule famille, dans un système de fraternité universelle par l'obéissance au père commun, et à établir la prééminence du droit sur les intérêts, en substituant partout la justice à la force” (92).
D’altronde, gli studiosi non hanno difficoltà a riconoscere la matrice spirituale della rivoluzione francese: l’idea rivoluzionaria della fraternità, si è detto, “rintraccia le sue scaturigini più profonde in quelle di fraternitas e di caritas cristiana, come amore per il prossimo, idee che, per prime, esprimono un concetto intrinsecamente universalistico ed egualitario della relazione tra le persone” (93) (cfr. modulo II).

5. Le speranze di una “Fraternité vivante” e la pedagogia per la realizzazione della fraternità.

“Nella prima metà del Novecento, appare un quid novi nella storia del Pensiero sulla fraternità: un insegnamento pedagogico focalizzato sulla realizzazione della fraternità”

 

5.1. Bisogna dare atto che nella metà dell’Ottocento vi è pure l’ambizione da parte di taluni di far diventare la Francia il paese simbolo della autentica fraternità: “Ce principe, cette idée, enfouis dans le moyen âge sous le dogme de la grâce, ils s'appellent en langue d'homme la fraternité... Cette nation, considérée ainsi comme l'asile du monde, est bien plus qu'une nation; c'est la fraternité vivante” (94). Ma il tentativo di dare un abito laico alla fraternità, come abbiamo constatato, non riesce e la Francia non diventa una “fraternité vivante” in quanto politicamente opta per una fraternità, soprattutto, di tipo razionale (la solidarietà verticistica), sensibile al piano giuridico, inidonea a mettere in discussione la condotta di vita del singolo. Ma una fraternità, senza il coinvolgimento dell’anima, non può diventare “vivante”. Forse, è mancato il coraggio di aprirsi al valore interiore dell’Ideale di fraternità e di mettere in discussione gli interessi della vita individuale. La Francia ha, comunque, il grande merito di aver lanciato l’idea “laica” di fraternità, anche se si è fermata a metà strada: ha ritrattato quanto aveva sognato sull’onda dei primi entusiasmi e ha preferito porre nel silenzio la stessa parola “fraternità” (95).


È interessante osservare che, a fine Settecento, Kant riteneva il popolo tedesco idoneo a fornire un sostegno, in una prospettiva cosmopolita, a una Lega dei popoli della Terra in quanto i tedeschi “sono fatti per raccogliere e unificare ciò che v’è di buono in ciascuna nazione” (96). Nella metà dell’Ottocento, Michelet pensava, invece, che la Francia, come abbiamo sopra rilevato, avrebbe potuto incarnare “l’Evangile de l’egalité” e le “Verbe du monde social” (97); chi vuol conoscere i destini del genere umano, sosteneva, ”doit approfondir le génie de l'Italie et de la France. Rome a été le nœud du drame immense dont la France dirige la péripétie” (98). La Francia avrebbe dovuto proseguire nella vita sociale quanto annunziato dal Vangelo. Il genio di Michelet aveva colto un grande e possibile disegno di fraternizzazione della umanità.
Anni dopo, ma sempre nello stesso secolo, Dostoevskij augurava, e non era il solo, al popolo russo e all’Oriente di realizzare la missione di portare la fraternità universale sulla Terra, come “unione spirituale di tutti gli uomini” (99).


Ma, a distanza di molti anni e dopo molteplici traversie, non abbiamo ancora compiuto l’ulteriore passo in avanti della nostra storia di uomini. La storia ci dirà quale Paese o quali popoli proseguiranno l’opera di portare a ulteriore sviluppo l’idea di fraternità universale (100).

pedagogiaDeunov Aivanhov

Per completare questa notazione, occorre dare atto che nella prima metà del Novecento, appare un quid novi nella storia del Pensiero sulla fraternità. Un Insegnamento pedagogico focalizzato sulla realizzazione “interiore” della “fraternità” nasce in Bulgaria ad opera di P. Deunov e viene, successivamente, trasmesso in altri Paesi ad opera di O. M. Aïvanhov, proprio a partire dalla Francia. La speranza di una “fraternité” autentica torna in auge, quale pacifica conquista interiore individuale e, conseguentemente, collettiva. L’insegnamento in questione, infatti, si prefigge di supportare, a livello pedagogico, proprio il passaggio “epocale” dell’uomo verso l’ulteriore sviluppo realizzativo della fraternità, cercando di rispondere alla domanda fondamentale concernente il “come” costruire e maturare una coscienza di fraternità universale. Pur non volendo ridurre il legittimo valore di altre impostazioni filosofiche o pedagogiche, a ben vedere, questo Insegnamento, tuttora, appare come un unicum in materia in quanto esamina tutta l’area dell’agire umano e dei bisogni umani, prospettando, con argomentazioni e metodi, percorsi concreti di perfezionamento della coscienza in vista di una convivenza fraterna e universale. Va anche aggiunto che, da subito, alla cultura ufficiale non appare estremamente digeribile questo Insegnamento poiché esso è finalizzato al miglioramento del vissuto quotidiano e coinvolge necessariamente quelle aree sensibili dell’ego che la prevalente cultura (e non solo quella del Novecento) tradizionalmente fatica a mettere in discussione. Ma i progressi scientifici degli ultimi decenni confermano, sempre più, la fondatezza scientifica dell’impianto pedagogico in questione che appare destinato a una crescente e naturale legittimazione. Ad esempio, pensiamo alla rilevanza “cognitiva”, riconosciuta in sede scientifica, del modo di vivere del nostro organismo: essa comprova che la qualità degli atti della nostra vita quotidiana (modo di pensare, di sentire, di nutrirsi, di amare, etc.) agisce sulla nostra coscienza e sulla nostra intelligenza (cfr. modulo VIII). Ciò vuole dire, per essere più chiari, che qualunque trasformazione interiore o coscienziale esige non solo abilità intellettuali, ma anche una revisione e reimpostazione della qualità degli atti della vita quotidiana. Quindi, se vogliamo promuovere la conoscenza e la coscienza della fraternità dobbiamo necessariamente coinvolgere tutto il nostro modo di essere e di vivere, come si evince, ad esempio, a nostro avviso, dalla teoria della conoscenza della scuola di Santiago, sviluppata dai due famosi biologi cileni, Maturana e Varela (cfr. modulo VIII), ripresa, tra gli altri, anche dagli scienziati Fritjof Capra e P. Luigi Luisi nel loro recente volume "Vita e Natura".

Ma noi, purtroppo, non siamo molto disponibili a modificare il nostro “privato” e le nostre ambizioni. Abbiamo il timore di intervenire sui nostri comportamenti quotidiani e ciò spinge molti di noi a restare nei confini della confortevole conoscenza meramente intellettuale. Non a caso, la prevalente cultura ufficiale non si è mai occupata del ”come” costruire una coscienza fraterna. Ma anche in questo campo bisogna riconoscere che nuove generazioni di studiosi stanno apportando innovazioni importanti rispetto alle impostazioni tradizionali del sapere.
In definitiva, abbiamo conosciuto dopo i Vangeli, poemi, saggi, testi di filosofia e di spiritualità elevati e molto importanti sul tema della fraternità umana. Ma la storia non ci aveva ancora consegnato un’opera pedagogica dedicata completamente al “come” sviluppare, al come “tessere” gradualmente la coscienza fraterna in tutte le manifestazioni della nostra vita quotidiana, cioè a “come” raccordare la nostra vita vissuta al valore della fraternità. Per questa ragione, ci è apparso doveroso dare contezza in questa sede dell’Insegnamento pedagogico in questione, focalizzato proprio sulla preparazione e maturazione della coscienza di fraternità universale.


6. La fraternità, principio ispiratore dell’ordinamento giuridico e della vita sociale. Uno sguardo all’ordinamento italiano.

 

6.1. Mentre, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, l’idea di fraternità sul piano politico si eclissa, cedendo il posto alla solidarietà, la liberté e l’egalité si avviano, invece, verso una grande fioritura e diventano “vere e proprie categorie politiche, capaci di esprimersi sia come principi costituzionali, sia come idee-guida di movimenti politici”, dando vita a due opposte visioni del mondo, a due sistemi economici e politici diversi: il liberismo e il socialismo (101).
L’eclissi sul piano politico-giuridico non ha prodotto, evidentemente, il tramonto definitivo del valore etico della fraternità che invece ha continuato ad agire come una sorta di “fiume sotterraneo” (102), portando linfa al terreno sociale. L’uso della parola “fraternità” in effetti declina, ma l’intuizione di cui essa è portatrice continua a operare (103). Con il passare degli anni, scomparirà quasi del tutto “nel linguaggio delle scienze sociali […] ma il concetto riemergerà continuamente in sinonimi come cooperazione, lealtà, mutualità, reciprocità” (104). La fraternità resterà di fatto un potente agente di cambiamento sociale, anche perché, con il trascorrere del tempo, il quadro generale di favor verso la libertà e l’uguaglianza inizierà a mutare profondamente nel senso che si prenderà atto, con graduale e crescente consapevolezza, che la sperimentazione sociale della liberté ed egalité non dà gli esiti sperati. Comincerà a farsi strada l’idea che la fraternità debba tornare ad essere rivalutata per superare le situazioni di sofferenza sociale e umana ancorate alle pratiche delle sole libertà ed eguaglianza.


L’ordine sociale ed economico costruito con i principi di libertà ed eguaglianza inizierà, dunque, ad entrare in una profonda crisi dalla quale non siamo ancora usciti. Entreranno in crisi gradualmente: il sistema solidaristico di matrice verticistica; la possibilità di dare vita a una società più giusta tramite le presunte virtù benefiche del mercato e la capacità dello Stato di redistribuire la ricchezza prodotta; l’idea di una fraternità valida solo tra le classi sociali oppresse, etc. Cioè molti progetti di cambiamento o mantenimento della società, nutriti da laici e da religiosi, con il tempo, mostreranno vistosi limiti e insuccessi che paiono a noi irreversibili (105).


I due principi di libertà ed eguaglianza non riusciranno, inoltre, a impedire le atrocità dei conflitti mondiali, attestando, in tal modo, la loro inadeguatezza sul piano della garanzia di una convivenza pacifica tra i cittadini.


6.2. Infatti, a partire dal secondo dopoguerra il principio di fraternità viene richiamato in numerose fonti giuridiche. In particolare la fraternità si ripresenta ufficialmente in seno al movimento dei diritti umani nel periodo post-bellico. L'articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 afferma: "Tutti gli esseri umani […] devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza".
L’idea di fraternità, secondo la ricostruzione prospettata da un autorevole giurista canadese, alimenta sul terreno giuridico, dalla seconda metà del Novecento, tenendo conto “de l’esprit de la loi plutôt qu’à sa lettre”, valori importanti quali “giustizia e equità, fiducia, l'inclusione dei membri della comunità che a causa della loro vulnerabilità necessitano di una protezione speciale e di impegno da parte di altri […] l'idea di cooperazione, vale a dire, il perseguimento di interessi comuni attraverso la messa in comune di risorse, un'idea che a sua volta evoca la redistribuzione della ricchezza” (106).
La fraternità viene, poi, recepita anche nelle Costituzioni di diversi Stati: ”questo è specialmente il caso di paesi, soprattutto di quelli legati alla tradizione costituzionale francese. Nei casi più evidenti, il principio di fraternità è espresso direttamente, spesso in un preambolo. Questo è il caso di Haiti, Guinea Equatoriale, Benin e Camerun. Negli altri casi, molto più numerosi, la fraternità non è citata direttamente, ma è espressa dalla presenza di valori e principi correlati, quali la solidarietà, la giustizia sociale, lo stato sociale, la dignità dell'uomo, la tolleranza o concetti simili” (107). Per tali ragioni, si è pure affermato che “l'idea di fraternità potrebbe ritenersi in qualche modo immanente all'evoluzione del costituzionalismo” (108). Anche la Carta araba dei diritti dell'uomo adottata il 15 settembre 1994 con risoluzione n. 5437 dal Consiglio della Lega degli Stati Arabi, entrata in vigore il 24 gennaio 2008, menziona il principio di fraternità sia nel preambolo sia all’art.1, come valore universale al quale deve ispirarsi il musulmano (109).
I riconoscimenti giuridici, espliciti e impliciti, della idea di fraternità attestano, senza dubbio, una rinnovata sensibilità al valore della fraternità civica.


6.3. Se diamo uno sguardo all’ordinamento giuridico italiano possiamo osservare che la nostra Costituzione non reca, in verità, riferimenti espliciti alla fraternità sia perché il concetto giuridico di fraternità nella nostra tradizione giuridica è correlato al diritto privato della famiglia (110), sia perché la mediazione tra i costituenti porta all’idea di impiegare la parola “solidarietà” prevista poi all’art. 2 Cost. (111) Ma va detto che già nei primi commenti pubblicati nel 1948, era stata palesata dai giuristi la connessione tra fraternità e la solidarietà recepita dall’art. 2 Cost. (112). Ciò si spiega con il fatto che la parola “solidarietà” nel testo costituzionale abbraccia sia la solidarietà "verticale" (il cd. Welfare state) concernente le misure delle istituzioni pubbliche a favore dei cittadini (art. 3, comma 2), sia la solidarietà "orizzontale" o "fraterna" concernente “gli atti solidaristici che le persone (anche per il tramite delle formazioni sociali cui aderiscono) fraternamente si scambiano” (113). La nostra Costituzione accoglie, dunque, entrambe le accezioni di solidarietà, superando, come è stato osservato, i contrasti tra la solidarietà a favore dei deboli da parte dello Stato in attuazione di obiettivi di giustizia sociale e la solidarietà da parte di gruppi privati, laici o religiosi, in ossequio a “precetti ultraterreni di realizzazione del regno di Dio” (114).
La nostra Costituzione recepisce anche altri precetti giuridici potenzialmente idonei a veicolare il valore della fraternità: pensiamo alla recente sussidiarietà orizzontale, alla tutela della dignità, nonché al progresso spirituale della società (art. 4 Cost.), forse disatteso dal mondo dell’arte e della cultura.
I concetti di sussidiarietà e di dignità meritano una riflessione aggiuntiva. Mentre la solidarietà in talune sue espressioni (alludiamo a quella verticale) valorizza, soprattutto, il mero aiuto alla persona bisognosa e in ragione di ciò è stata ritenuta distante dall’idea di fraternità, la sussidiarietà valorizza, in tutti i casi, l’autonomia e la responsabilità del singolo eventualmente bisognoso in quanto l’intervento in suo ausilio (subsidium) avviene solo e nei limiti in cui occorra (115). In questa prospettiva il soggetto bisognoso (a seconda dei casi, il singolo, la formazione sociale minore, etc.) non è assorbito (come accade nel collettivismo totalitario) e non è abbandonato a se stesso (come accade nel liberalismo individualista). La sussidiarietà nella sua essenza, come ha osservato Donati, è sussidiarietà relazionale la quale “consiste nell’aiutare l’altro a fare ciò che dovrebbe” e può svilupparsi in senso verticale, orizzontale o laterale, a seconda della natura dei problemi e dei soggetti in causa” (116). Questa nuova idea impatta anche nelle relazioni tra singolo e pubblico potere in quanto l’amministrare per sussidiarietà comporta che i cittadini non sono più separati e contrapposti rispetto al potere pubblico, non sono più soggetti passivi (cittadini amministrati, utenti o clienti) ma alleati per perseguire insieme la missione costituzionale della Repubblica (117).
La nostra Costituzione recepisce anche un altro precetto fondamentale: quello della tutela della dignità umana. La dignità è oggetto di tutela anche all’art. 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Recita detto articolo “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. A ben vedere la parola “dignità” non era presente nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e dei cittadini del 1789 la quale si limitava, invece, a prevedere: “gli uomini nascono e rimangono liberi e eguali nei diritti”. Molti ordinamenti giuridici oggi proteggono e promuovono la dignità (118). La parola ”dignità” esprime un valore fondamentale della fraternità in quanto tocca il cuore dell’approccio relazionale: tra coloro i quali intercorre il legame di fraternità vi è un naturale riconoscimento di pari dignità. Pertanto, anche esseri tra loro molto diversi (per condizioni sociali, culturali, religiose, etc.) appartengono parimenti alla stessa famiglia universale e hanno pari dignità. In termini giuridici, ciò vuol dire avere uguali diritti fondamentali. Nella nostra prospettiva civica, ciò vuole dire avere anche uguali diritti ad accedere alle risorse necessarie per sviluppare il proprio potenziale interiore, a esercitare la cura del proprio Sé e a partecipare alla costruzione di una società migliore.
La dignità evoca la presa di coscienza di uno status ma anche la presa di coscienza di una condotta umana appropriata per proteggere e sviluppare il bene che è presente nell’uomo quale che sia la visione, laica o spirituale, della dignità. Questo bene da sviluppare nella nostra riflessione di ordine civico, è il Sé cooperatore, empatico e fraterno (cfr. modulo V). Come ricorda Viola: ”la dignità è qualcosa che insieme si ha e si deve conquistare, poiché bisogna divenire ciò che si è” (119).
Nella prospettiva cristiana, vi è il “dovere di ciascuno di portare a compimento la propria dignità, che a sua volta obbliga a rispettare la ‘donata’ scintilla di dignità presente negli altri" (120).
Anche nella prospettiva laica si riconosce oggi che il richiamo alla sola solidarietà si è rivelato insufficiente e che occorre aggiungervi quello alla dignità. Rodotà ha osservato che “se la rivoluzione dell’eguaglianza era stato il connotato della modernità, la rivoluzione della dignità segna un tempo nuovo” (121). Occorre tornare, afferma il citato autore, “alle parole della triade rivoluzionaria, eguaglianza, libertà e fraternità... e questa non ha a che fare con i buoni sentimenti ma con una pratica sociale che favorisce i legami tra le persone. Non si tratta di ferri vecchi di una cultura politica defunta, ma di bussole imprescindibili. Alle quali aggiungerei un'altra parola-chiave fondamentale che è dignità" (122).
La dignità deve essere rispettata in tutte le nostre dimensioni vitali in quanto, come osservano Capra-Luisi, noi facciamo parte contemporaneamente di due comunità importanti: siamo tutti membri dell'umanità e apparteniamo tutti alla biosfera globale. Dobbiamo “comportarci in modo da non interferire con l'abilità propria della natura di sostenere la rete della vita. Come membri della comunità umana il nostro comportamento deve riflettere il rispetto per la dignità umana ed i diritti fondamentali” (123) nelle dimensioni biologiche (ambiente sano e cibo sano) cognitive (diritto all'educazione e alla conoscenza, libertà di opinione e di espressione) e sociali (giustizia sociale e autodeterminazione).
Questa efficace prospettiva coglie l’urgenza di prendersi cura della propria dignità e di esprimere le ricchezze valoriali implicite nella condizione umana e nell’ambiente nel quale viviamo.
Chi riconosce il valore di pari dignità vede il mondo e le creature non come un quid suscettibile di strumentalizzazioni, rigetta la prospettiva predatoria per accogliere quella cooperativa ed empatica (124). Sul piano formale questa visione è accolta nel nostro ordinamento giuridico in adesione alla teoria personalista (125) seconda la quale il valore della dignità esige che la persona umana debba avere di per sé assoluto rispetto. Il principio personalista “pone come fine ultimo dell’organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana” (Corte costituzionale, sentenza n.167/1999) e “preserva anche il “diritto ad essere se stesso, inteso come rispetto dell'immagine di partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l'individuo. L'identità personale costituisce quindi un bene per sé medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto” (Corte costituzionale, sentenza n.14/1994).


Occorre aggiungere che negli ultimi decenni si è manifestato nella società civile anche il bisogno di innestare un cambiamento profondo nel cuore delle relazioni umane. Ciò è attestato dalla continua ricerca di percorsi istituzionali, anche giuridico-formali, idonei a veicolare valori sempre più collaborativi e meno gerarchici nelle modalità relazionali all’interno della società e nei confronti del potere pubblico. Si sono affacciate negli ultimi decenni le idee di: sussidiarietà relazionale, reciprocità, welfare society (126) o community, capacità di fare rete, coesione sociale, beni comuni, beni relazionali, sussidiarietà laterale, cooperazione sociale, etc. Cioè il valore della relazione umana collaborativa e paritaria, riflesso della dignità fraterna, comincia ad avere un peso crescente nel contesto sociale e nelle relazioni tra singolo, associazioni e potere pubblico (si parla di paradigma tripolare Stato, Mercato, società civile). Anche se questo trend è originato, in taluni casi, dalla crisi della finanza pubblica, esso esprime, comunque, un bisogno umano profondo di maggiore dignità nel senso che si vuole, non subire, ma costruire assieme ad altri la vita sociale, come dovrebbe accadere in una famiglia. In questo bisogno di dignità e di cooperazione possiamo intravedere sicuri germi di fraternità. Questo nuovo ma naturale bisogno relazionale si è manifestato anche in aree tradizionalmente permeate dall’individualismo, pensiamo alla rilevanza accordata al paradigma della reciprocità “nella disciplina dell’economia politica” (127).
In conclusione, possiamo affermare che malgrado l’assenza di uno statuto giuridico vero e proprio sulla fraternità e l’assenza nella nostra Costituzione di un richiamo esplicito al principio di fraternità, il nostro ordinamento non osta a una società animata da cooperazione fraterna. Anzi, si potrebbe affermare che la Costituzione italiana promuove e valorizza un percorso comportamentale costruttivo del cittadino verso una possibile società cooperativa e fraterna: “famiglia, città, scuola sono esempi importanti di «formazioni sociali» in cui la persona può ricevere una cura fraterna delle proprie fragilità; ma, successivamente, essa deve diventare, a propria volta, costruttrice di famiglia, di società e di città, e capace di istituire nuovi legami e nuove relazioni fraterne… l’uomo, generato e alimentato dalla fraternità, è chiamato a prendere parte alla costruzione di una città fraterna e la fraternità ricevuta a tramutarsi in fraternità istituente... L’ordinamento giuridico non può pertanto che promuovere le forme di questa restituzione da parte del cittadino, riconoscendo e valorizzando le dimensioni dell’impegno volontario e oblativo, ma anche esigendo, almeno in certa misura, l’assolvimento di doveri inderogabili di solidarietà sociale. Le dimensioni complementari del debito e del dono caratterizzano la cooperazione del cittadino alla costruzione della città fraterna” (128).
Relazioni umane di tipo cooperativo e non più fondate sulla separazione e la contrapposizione, relazioni che valorizzano l’interdipendenza anche tra pubblici poteri e cittadini, relazioni improntate alla pari dignità e alla reciproca collaborazione e aiuto per il raggiungimento di obiettivi comuni, sono tutte compatibili e coerenti con il nostro quadro giuridico (129).
Nell’ordinamento giuridico trova, quindi, piena legittimazione, come ha precisato la Corte costituzionale, tra i valori fondanti, l’idea dell'uomo uti socius, cioè l’idea del cittadino cooperatore (130). Ma le norme giuridiche possono veicolare concretamente queste manifestazioni umane, se, nel contempo, vi è una educazione, tuttora assente, del cittadino alla conoscenza, alla percezione e alla pratica dei valori cooperativi, empatici e fraterni (131).

 

 

 

1.La fraternità assume una dimensione politica adeguata solo nel momento in cui essa entra nel criterio della decisione politica, contribuendo a determinare il metodo e i contenuti della politica stessa, e riesce ad influire anche sul modo con il quale vengono interpretate anche le altre categorie politiche, quali la libertà e l’uguaglianza” così A.M. Baggio, L'idea di "fraternità" tra due Rivoluzioni: Parigi 1789 - Haiti 1791. Piste di ricerca per una comprensione della fraternità come categoria politica, in A.M. Baggio, Il principio dimenticato, Città Nuova, 2007.
2. M.R. Manieri, Fraternità. Rilettura civile di un'idea, Marsilio, ‎2013, p. 5.
3. E. Morin, Intervista pubblicata su Label France n. 28/2007.
4. A.M. Baggio, La fraternité, un défi politique, in “Nouvelle Cité”, n. 553, janvier-février 2012, pp. 24-27.
5. A. Marzanati, A. Mattioni, La fraternità come principio del diritto pubblico, Città Nuova, 2007.
6. B. Mattei, Solidarité ou Fraternité. Un défi politique majeur, Chambre des Députés. Rome, 16 mars 2009.
7. Cfr. L. Bruni, L'Ethos del mercato, Mondadori, 2010.
8. F. Tönnies, Comunità e società, Edizioni di Comunità, 1963, p. 45.
9. F. Pizzolato, P. Costa, Principio di fraternità e modernità giuridica, costituzionalismi.it, n. 1/2013.
10. F. Pizzolato, Fraternità trama delle istituzioni, in Aggiornamenti Sociali, marzo 2013, Fondazione Culturale San Fedele, pp. 200-207.
11. M. Buber, Io e tu in Il principio dialogico e altri saggi, a cura di A. Poma, San Paolo, 1997.
12. J.M. Bergoglio, Messaggio per la celebrazione della XLVII giornata mondiale della Pace. Fraternità, fondamento e via per la pace, 2014, w2.vatican.va.
13. E. Morin, Liberté, egalité, fraternité, www.iiac.cnrs.fr.
14. G. Tosi, La fraternità come categoria (cosmo) politica, Nuova Umanità n. 4-5/2010, Città nuova, p. 526.
15. Secondo Rifkin “in un mondo caratterizzato da una crescente individualizzazione e composto da uomini a diversi stadi di coscienza, la biosfera in sé può rappresentare il solo terreno comune abbastanza ampio da unire gli esseri umani come specie” J. Rifkin, Civiltà dell'empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi, Mondadori, 2010, p. 549.
16. E. Morin, A.B. Kern, Terra-Patria, Raffaello Cortina,1994.
17. “C'è una fraternità di origine e una fraternità di risultato. Fratelli si può nascere, ma si può anche diventare fratelli. Anche se la fraternità di origine è indelebile, può restare inattiva o essere scomoda, mentre quella di risultato può essere più profonda, radicata e coinvolgente, perché in qualche misura voluta. Credo che su questa base si possano anche distinguere le teorie differenti della fraternità. Essere fratelli in quanto creature di Dio o figli di Dio, oppure in quanto figli degli stessi genitori, oppure in quanto accomunati dalla comune natura razionale (come pensavano gli stoici), oppure in quanto esseri liberi (come pensa Kant) significa essere fratelli per origine. Esserlo in quanto fedeli della stessa religione e partecipi della stessa fede, oppure in quanto mossi dal perseguimento degli stessi beni e degli stessi valori significa essere fratelli come risultato” così F. Viola, La fraternità nel bene comune, in Persona y Derecho, vol. 49/2003.
18. C. Gonthier, La fraternité comme valeur constitutionnelle, Rapport général présenté par la Cour suprême du Canada, Association des Cours Constitutionnelles, Ottawa, 2003, http://cisdl.org. La traduzione del testo è nostra.
19. La tematica dell’empatia è tornata in auge con la scoperta nel 1992 dei neuroni a specchio da parte del prof. Rizzolatti e della sua èquipe. Il fondamento biologico dell’empatia si troverebbe nella struttura del nostro cervello, in particolare, nei citati neuroni a specchio. Possiamo affermare “senza tema di smentite che gli uomini di tutti i tempi e di tutte le latitudini conoscono l’empatia, senonché il lemma ha assunto una semantica più specifica solo in tempi relativamente recenti […] i lexica graecitatis registrano il sostantivo empathea e l’aggettivo empathes”, A. Bellingreri, Una pedagogia dell’empatia, Vita e Pensiero, 2005, p. 33. L’empatia “può diventare a pieno titolo il termine unitario con cui nominare l’ambito di esperienza entro il quale si danno le molteplici forme del sentire l’altro, l’amicizia, l’amore, la compassione, l’attenzione, la cura, il rispetto, il riguardo” L. Boella, Sentire l'altro. Conoscere e praticare l'empatia, Cortina editore, 2006, p. 22. Scrive Pinotti che “Kant dovette ammettere che se si vuol rappresentare un essere pensante ci si deve mettere al suo posto […] a questo mettersi al posto di un altro è stato successivamente dato il nome di empatia”, A. Pinotti, Empatia. Storia di un’idea da Platone al postumano, Laterza, 2011, p. 7. L’empatia funge, osserva il citato autore “da nome-ombrello per una rete di parentele categoriali che coinvolgono termini solo parzialmente sovrapponibili, quali proiezione, trasferimento, associazione, espressione, animazione, antropomorfizzazione, vivificazione, fusione... Empatizzare vale, di volta in volta, per immedesimarsi, rivivere, compatire, imitare interiormente, simpatizzare… Se tale proteiforme costellazione mostra da un lato la grande duttilità della nozione di empatia, dall’altro rischia di sbiadirne i contorni fino all’indistinzione” ibidem.
20. J. Rifkin, op.cit., p. 567. Ad esempio, De Waal sostiene che “gli esseri umani sono empatici con i propri compagni in contesti cooperativi, ma sono “antiempatici” con i potenziali competitori, L’età dell’empatia, Garzanti, 2011, p.158. Critico sulla valenza trasformatrice dell’empatia, se non è accompagnata dalla consapevolezza morale, è Brooks: “Le persone empatiche sono più sensibili al punto di vista e alle sofferenze degli altri e sono più inclini a esprimere giudizi morali compassionevoli. Il problema insorge quando cerchiamo di trasformare i sentimenti in azione. L'empatia rende maggiormente consapevoli delle sofferenze altrui, ma non è chiaro se spinga effettivamente ad agire in modo morale o se trattenga effettivamente dall'agire in modo immorale… L'empatia non sembra influire molto quando quell'agire comporta un costo personale… Nessuno è contro l'empatia, ma sta di fatto che non è sufficiente. Di questi tempi l'empatia è diventata una scorciatoia. È diventata un modo per provare l'illusione di un progresso morale senza dover fare il lavoro sporco di emettere giudizi morali. In una cultura che non riesce a formulare categorie morali e che cerca in tutti i modi di non offendere, insegnare l'empatia è un modo sicuro per sembrare virtuosi senza rischiare polemiche e senza urtare i sentimenti di qualcuno”, D. Brooks, “Così l'empatia è stata trasformata in una scorciatoia”, Repubblica 11 dicembre 2011.
21. J.M. Bergoglio, Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della Pace cit.
22. “Tanto in economia, quanto in politica e nel sociale occorre a tornare a declinare la categoria del cooperare. Una premessa è necessaria: si deve tornare al significato letterale del termine, senza confonderlo con la categoria contigua del “collaborare”. La differenza ce l’ha insegnata Aristotele: collaborare indica il fatto che tanti soggetti si mettono insieme per svolgere un lavoro, condividendo i mezzi, ma non lo scopo, che resta diverso per ciascuno. Nel cooperare, invece, chi partecipa all’impresa deve condividere i mezzi ma anche i fini”, S. Zamagni, Le tre sfide del non profit, Vita, ottobre 2012.
23. Cfr. M. Recalcati, Critica della Ragione empatica, Repubblica, 5 ottobre 2014.
24. P.A. Paoli, Dell'Origine ed Istituto del Sacro Militar Ordine di S. Giovambattista, 1781.
25. Fratria, Enciclopedia Treccani, 1932.
26. E. Morin, Liberté, egalité, fraternité cit. Le fratrie quali gruppi sociali formati dall'unione di due o più clan erano diffuse in Australia, nella Melanesia e fra gli Amerindi dell'America Settentrionale, “Fratria”, Enciclopedia telematica Sapere. Ogni tribù australiana si divideva in due grandi sezioni fondamentali chiamate fratrie. Ciascuna fratria, a sua volta, comprendeva un certo numero di clan, gruppi di individui, cfr. E. Durkheim e M. Mauss, Su alcune forme primitive di classificazione (Contributo allo studio delle rappresentazioni collettive), in AA. VV., Le origini dei poteri magici, Bollati Boringhieri, 1977, p. 25 e segg. L’idea della fraternità “era alla base della fratellanza di sangue praticata in varie zone dell'Africa equatoriale, concetto che implicava la creazione di parentele fittizie fra tribù, clan, gruppi. In tal modo una parentela inesistente viene trasformata in un rapporto di cooperazione. Colui che intende stringere l'alleanza si procurava una ferita da cui fa sgorgare un po' del proprio sangue, che poi mescola con quello della persona con cui vuole apparentarsi. Dalla fratellanza di sangue deriva un rapporto di fiducia, di sostegno reciproco fra i nuovi 'fratelli', tra i quali si instaura una forte solidarietà”, R. Cipriani, “Fraternità”, Enciclopedia Treccani, 2005. Anche presso i popoli scandinavi vi è notizia certa di cerimonie di affratellamento con l’impiego del sangue a fini simbolici, N. Tamassia, L’affratellamento, Bocca editori,1898, p.18.
27. Secondo E. Benveniste, la parola “bhrâther” denota una fraternità che non è necessariamente quella di sangue, Vocabulaire des Institutions Indo-européennes, Les Editions de Minuit, 1969, pp. 205-215.
28. A.A. Macdonell, A.K. Berriedale, Vedic Index of Names and Subjects, Volume 2, Motilal Banarsidass Publishe, 1995, p.113. Il termine fraternità include naturalmente il maschile e il femminile.
29. U.E. Paoli, Famiglia (diritto attico), Novissimo Digesto, 1961. “I Greci, come tutti gli altri popoli indoeuropei, erano divisi in associazioni familiari o gentilizie già prima della loro emigrazione nelle loro sedi storiche, e in queste portarono tale loro organizzazione. Queste associazioni si chiamavano fratrie… Il loro scopo originario era quello della difesa della vita, dei beni e dell'onore dei componenti. Il nesso della fratria era considerato come garanzia della vita sociale, onde è che Omero chiama "senza fratria" chi desidera la guerra civile (Iliade, I, 63). Fratrie appaiono anche nelle città greche dell'Italia meridionale e della Sicilia, come a Messina e a Napoli, nella quale ultima città ci sono testimoniate loro assemblee e loro funzionari” Fratria in Enciclopedia italiana Treccani cit.
30. F. Capra - P.L. Luisi, Vita e Natura, Una visione sistemica, Aboca, 2014, p. 308.
31. J. Attali ci ricorda che la parola “patrie” è “étymologiquement un regroupement des frères”, Fraternités, une nouvelle utopie, Le Livre de Poche, 1999, p. 133.
32. P.P. Onida, Fraternitas e societas: i termini di un connubio, Diritto e Storia, n. 6/2007, www.dirittoestoria.it. Secondo F. Viola, La fraternità nel bene comune cit., il primo ad accennare a un diritto fraterno probabilmente è stato Ulpiano: “societas ius quodammodo fraternitatis in se habet” (Dig. 17, 2, 63).
33. M. Penta, Il diritto societario nel diritto romano e nel diritto intermedio, Rivista della Scuola superiore dell'economia e delle finanze, 11/2004.
34. P.P. Onida, Fraternitas e societas cit. Cfr. Idem, La causa della societas fra diritto romano e diritto europeo, Diritto e Storia, n. 5/2006, ove si riporta l’opinione del Betti circa la valenza della fraternitas nell’ambito del consortium: “Il vincolo personale di fraternità fra consorti, che giustifica e governa la comunione, rende ragione, nella concezione romana, della pienezza di poteri riconosciuti a ciascuno nei rapporti esterni, allorché si tratta di disporre di una cosa comune, o di assumerne la difesa in giudizio. Ma non è da credere che di questa legittimazione indipendente e concorrente fosse fatto in pratica un uso arbitrario e lesivo degli interessi comuni, senza riguardo al modo di vedere degli altri consorti. La concezione romana è probabilmente che il fratello non può tradire il fratello, come il tutore non può tradire il pupillo, ma deve apprezzare e sentire l’interesse comune od altrui come interesse suo proprio e assumere verso l’altro la responsabilità dell’apprezzamento fatto. Il vincolo di fraternità fra consorti, come legittima tanto estesi poteri d’iniziativa, così giustifica una piena fiducia reciproca” E. Betti, Istituzioni di diritto romano, I, 1942, p. 426 e segg.
35. Ibidem.
36. D. Lassandro, Aedui, fratres populi Romani, in Autocoscienza e rappresentazione dei popoli, a cura di M. Sordi, Vita e Pensiero, 1992, pp. 263-264.
37. R. Augustin, La fraternità nella prospettiva delle guerre asimmetriche, Seminario “Fraternità, Democrazia e Istituzioni”, Cile, ottobre 2011, www.ruef.net.br.
38. A.M. Baggio, La sfida della fraternità: da Haiti alla comunità politica mondiale, Port-au-Prince, in Nuova Umanità, 26 giugno 2010.
39. M. Penta, Il diritto societario nel diritto romano cit.
40. La pobratimstvo è una “institution, que les Greco-Slaves ont seuls conservé solennelle, comme frère ou comme soeur, de la personne que l'on préfère. Pendant cette belle cérémonie, bénie par le prêtre comme un mariage, ceux qui s'aiment se tiennent par la main, et par-dessus la tombe de leurs pères se mettent mutuellement sur la tète une couronne de feuilles nouvelles; puis ils se donnent le baiser d'union, qui les rend l'un pour l'autre pomaika, sont plus indissolubles comme il paraitrait qu'ils l'étaient autrefois, mais ils ne sont pas moins sacres, et le Serbe comme le Bulgare n'ont point de formule de serment plus solennelle que de jurer par leur frère adoptif", C. Robert, Les slaves de Turquie, 1844, pp. 67-68. Queste forme di affratellamento sarebbero state motivate, soprattutto, dall’esigenza di rafforzare la difesa in periodi di guerra e di garantire la proficua coltivazione della terra, così M.A. Benedetto, “Affratellamento”, Novissimo Digesto italiano, Torino, 1957, p. 391 e segg. In tema di adozioni, Durkheim osserva che: “Sur large échelle se pratiquait l'adoption dans les clans indiens de l'Amérique du Nord. Elle pouvait donner naissance à toutes les formes de la parenté. Si l'adopté était du même âge que l'adoptant, ils devenaient frères et sœurs; si le premier était une femme déjà mère, elle devenait la mère de celui qui l'adoptait. Chez les Arabes, avant Mahomet, l'adoption servait souvent à fonder de véritables familles. Il arrivait fréquemment à plusieurs personnes de s'adopter mutuellement; elles devenaient alors frères ou sœurs les unes des autres, et la parenté qui les unissait était aussi forte que s'ils étaient descendus d'une commune origine. On trouve le même genre d'adoption chez les Slaves. Chez les Germains, l'adoption fut probablement aussi facile et fréquente. Des cérémonies très simples suffisaient à la constituer. Mais dans l'Inde, en Grèce, à Rome, elle était déjà subordonnée à des conditions déterminées”, E. Durkheim, Division du travail social, 1893, p. 227
41. E. Durkheim, op. cit., p. 186.
42. L’epoca medioevale rappresenta per Tönnies un modello di relazioni sociali e di vita comunitaria: “La comunità per Tönnies si realizza nei legami di parentela, vicinato e amicizia. La parentela ha sede nella casa, il vicinato è il carattere generale della vita comune nel villaggio, l’amicizia è la condizione e l’effetto di uno stile di vita, di lavoro, di pensiero condotti all’unisono. La comunità si concretizza nella gilda e nella corporazione, nelle associazioni culturali, nelle confraternite, nelle parrocchie e nelle comunità urbane, nel comune“ O.G. Oexle, I gruppi sociali del Medioevo e le origini della sociologia contemporanea, Studi confraternali: orientamenti, problemi, testimonianze a cura di M. Gazzini, Firenze University Press, 2009.
43. Così “Corporazione”, Enciclopedia Italiana, 1931. Nelle corporazioni non vigeva però un afflato universalistico, osserva Zoll: “sin dall'inizio viene ribadito il carattere circoscritto dell'unione. Se in molti casi, specie in Inghilterra, nelle associazioni artigiane in via di espansione, precursori delle moderne organizzazioni sindacali, si possono rintracciare accenni del concetto di solidarietà proprio di queste ultime (Leeson 1979; Griessinger 1981), tuttavia la fraternità nelle gilde spesso restava definita in senso verticale, come legame dell'intera corporazione, dagli apprendisti ai maestri (Lay 1989), o era circoscritta a un'unica corporazione, nelle associazioni di garzoni solo a questi ultimi (con esclusione degli apprendisti) e quasi sempre soltanto agli uomini (con esclusione delle donne). Queste delimitazioni vennero infrante dall'affermarsi della concezione illuministica della fraternità. Le prime logge massoniche erano sì modellate sulle corporazioni artigiane, e quindi presentavano ancora alcune forme di esclusione, soprattutto in quanto logge necessariamente segrete; e tuttavia il loro patrimonio di idee ha una valenza universalistica (Koselleck 1959, 1969): i massoni concepivano se stessi come eguali anche al di fuori della loro comunità. La stessa interpretazione del concetto, con una valenza universalistica ulteriormente rafforzata, si ritrova nei testi più celebri dell'Illuminismo europeo” R. Zoll, “Solidarietà”, Enciclopedia delle scienze sociali, Treccani, 1998.
44. Così O.G. Oexle, I gruppi sociali del Medioevo cit., p. 8.
45. Cfr. G. Dilcher, Formazione dello stato e comune cittadino nel sacro romano impero, Diritto e Storia, n.3/2004. Questo autore osserva: “Tra il 1100 e il 1200 gli abitanti delle città dell'Europa occidentale, si uniscono in una nuova forma costituzionale, il Comune giurato. Questo movimento compare quasi contemporaneamente dalle coste dei Mar del Nord tra Senna e Reno alle antiche regioni dell'alto Reno e della Rezia, fino alla Borgogna, al Piemonte, alla Lombardia e alla Toscana. Gli abitanti influenti delle città, i milites e i mercanti, ma anche gli artigiani, si uniscono con giuramento in un'associazione che essi dapprincipio chiamano coniuratio, poi communio iurata, comune... “.
46. Così M. Weber, Economia e società, citato da O.G. Oexle, I gruppi sociali del Medioevo cit., p.15. Secondo Weber “La fraternità non è solo la forma che assume la comunità urbana occidentale, soprattutto nel Medioevo. É anche un aspetto essenziale della vita cittadina, che prende forma nella molteplicità di associazioni professionali e devozionali di mutuo soccorso. Anche a livello di questi gruppi è possibile riconoscere la particolare impronta dell’Occidente. Ovviamente, esistono sodalizi di commercianti e artigiani anche in altre civiltà. Questi non hanno tuttavia il carattere di associazione giurata e di fraternità. Poiché «il sistema delle caste è per il suo stesso spirito tutt’altra cosa rispetto ad un sistema di gilde e corporazioni»; e «la fraternità presuppone il banchetto». É quindi possibile individuare in questo aspetto un elemento decisivo per la struttura specifica della civiltà occidentale, dove non sono né le caste né i legami parentali e familiari a dare forma in maniera univoca e prioritaria allo status dell’individuo. Alcune associazioni consensuali hanno sempre avuto in Occidente un ruolo fondamentale accanto alla famiglia e al clan: ”Non si trovano, in Occidente, quelle limitazioni costrittive che sono i tabù della regione centrale delle Indie e le pratiche magiche delle organizzazioni claniche (totemismi, culto degli avi, divisioni in caste) e che, in Asia, impediscono che il processo di affratellamento sbocchi in un organismo corporativo unificato” ivi, p.16.
47. F. Goria, Riflessioni su fraternità e diritto, seminario “Relazionalità nel diritto: quale spazio per la fraternità?”, Castel Gandolfo 19 novembre 2005, www.comunionediritto.org.
48. M. Gazzini, Confraternite e società cittadina nel medioevo italiano, Bologna, 2006, p. 3 e segg., www.itinerarimedievali.unipr.it
49. A.M. Baggio, La fraternità: una sfida politica cit. Sulle relazioni tra philia e fraternità cristiana, cfr. G. Savagnone, Fraternità e comunicazione, in Il principio dimenticato cit., pp. 110-112.
50. S. Zamagni, Relazione annuale per il terzo settore, 2010, www.governo.it.
51. V. Zamagni, Forme storiche della fraternità, Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad, 2004, Ciaficic Ediciones.
52. R. Zoll, op. cit.
53. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 22 gennaio 2005, Prosveta.
54. A.M. Baggio, La sfida della fraternità cit.
55. P. Donati, L’amore come relazione sociale in Societàmutamentopolitica, vol. 2, n. 4/2011, Firenze University Press, pp. 15-35.
56. R. Debray, Le moment fraternité, Paris, Gallimard, 2009, p. 251.
57. “Nel gruppo famigliare e di vicinanza normalmente esiste una certa solidarietà e reciprocità fra quelli che sono “dentro” di esso, come osserva Max Weber. Però esternamente, verso l’altro, verso chi sta fuori, lo straniero, il differente, chi non appartiene alla comunità, prevale la sfiducia, quando non l’aperta ostilità. Questa è una costante nella storia dell’umanità, che può essere verificata dalle comunità primitive fino alle complesse società moderne: è l’eterna lotta fra “noi” e gli “altri” G. Tosi, op.cit., p. 527. Tosi identifica tre concetti di fraternità: “uno più originario di tipo “economico” che si manifesta nella famiglia e nei gruppi di vicinanza; un altro più ampio di tipo “etico”, che supera gli stretti vincoli famigliari in virtù dell’appartenenza a una religione, a una ideologia, a un visione del mondo, che supera le barriere di sangue e di vicinanza e allarga il concetto di prossimo; e finalmente una fraternità ancora più allargata... cosmopolitica” ivi, p. 534.
58. J. Maritain, Cristianesimo e democrazia, Vita e Pensiero, 1953, p. 28.
59. “La Rivoluzione del 1789 costituisce un punto di riferimento storico di grande rilevanza, perché durante il suo corso, per la prima volta in epoca moderna, l'idea di fraternità viene interpretata e praticata politicamente”, A.M. Baggio, La fraternità: una sfida politica cit.
60. J. Attali, Fraternités. Une nouvelle utopie cit., p.137. Il valore della uguaglianza era stato recepito già nel "Patto del popolo inglese" del 1647, cfr. U. Bonanate, I Puritani, I soldati della Bibbia, Einaudi, 1975, p. 168 e segg.
61. A. Martinelli, in A.Martinelli, M.Salvati, S.Veca, Progetto 89. Tre saggi su libertà, eguaglianza, fraternità, Il Saggiatore, 2009, p. 27.
62. G. Antoine, Liberté, Egalité, Fraternité ou les fluctuations d'une devise, Unesco, Paris, 1981, p.137.
63. M. Ozouf, Dizionario critico della Rivoluzione francese, Bompiani, 1989, p. 662.
64. Ibidem.
65. M. Borgetto, La notion de fraternité en droit public français, Paris, 1993, p.18 e segg. Cfr. sul punto, A. Mattioni, Solidarietà giuridicizzazione della fraternità in A. Marzanati, A. Mattioni, La fraternità come principio del diritto pubblico cit., pp. 8-9.
66. Secondo Debray, Robespierre propone nel 1790, in un discorso concernente l’organizzazione della guardia nazionale, di scrivere “Fraternité” sulla bandiera quale “retour inattendu d’un précepte évangélique”, R. Debray, op.cit., p. 15. In effetti, il 5 dicembre 1790, Robespierre presenta un progetto di decreto che contempla le parole “Libertà, Uguaglianza, Fraternità” sulle bandiere e sulla divisa, cfr. V. Tondi della Mura, Solidarietà fra etica ed estetica.Tracce per una ricerca, in Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 2 luglio 2010. Va detto che l’idea di impiegare la parola fraternità sulla divisa è sorta in data antecedente alla citata iniziativa di Robespierre: “c’est une tradition qu’en effet la fameuse devise est d’origine maçonnique. Les philosophes n’avaient pas seulement fait l’éloge de la liberté et de l’égalité: ils y avaient aussi, on le sait, prêché la fraternité. Et même l’idée de la devise Liberté, Égalité, Fraternité se trouve déjà dans l’épître où Voltaire, en 1755, célèbre le lac de Genève et les vertus helvétiques” A. Aulard, Études et leçons sur la Révolution française, Félix Alcan Éditeur, 1910, p.11.
67. Nel Preambolo della Costituzione del 1848, risulta scritto che la ”République Française à pour principe la Liberté, l’Egalité et la Fraternité” (IV), ”les citoyens doivent concourir au bien être commun en s’entraidant fraternellement les uns les autres” (VII), ”la Republique doit par une assistance fraternelle assurer l’existence des citoyens nécessiteux” (VII). Invece, all’art. 2 della vigente Costituzione francese è scritto che il motto della Repubblica è "Libertà, uguaglianza, fraternità”. La Costituzione giacobina del 1793 non aveva recepito la fraternità ma la reciprocità in quanto esortava a «non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te» (art. 6). La Costituzione del 5 fruttidoro dell’anno III (22 agosto 1795), precisava: «fate costantemente agli altri il bene che vorreste riceverne» (art. 2), cfr. F. Giuffrè, Doveri di solidarietà sociale, in Doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, a cura di R. Balduzzi, M. Cavino, E. Grosso, J. Luther, Giappichelli, 2007, p. 8.
68. C. Gonthier, La fraternité comme valeur constitutionnelle cit.
69. M. Ozouf, Dizionario critico cit., p. 659.
70. M. Hunyadi, Dangereuse fraternité, in Justice, Liberté, Egalité, Fraternité: Sur quelques valeurs fondamentales de la démocratie européenne, a cura di O. Inkova, Institut européen de l'Université de Genève, 2006, p.153.
71. Leroux afferma di essere stato il primo ad avere impiegato in ambito sociale la parola solidarietà: "L'ho presa dai legisti, per introdurla nella filosofia, nella religione [...] ho voluto sostituire la carità del Cristianesimo con la solidarietà”, così La grève de Samarez, Paris, Dentu, 1859, I, p. 254. Leroux si proponeva “di sostituire la solidarietà sociale alla carità cristiana, ritenuta troppo aleatoria per fondare su di essa il riscatto sociale, o alla fraternità, ritenuta troppo sentimentale benché affondasse le sue radici nella Rivoluzione Francese”, M. G. Losano, La questione sociale e il solidarismo francese: attualità d'una dottrina antica, in Sociologia del diritto, 1/2008, p. 5 e segg. Leroux sviluppa l’idea di solidarietà “en particulier dans De l'Humanité de I840 et qui sera largement répandue avec des nuances sensibles chez tous les socialistes de 1848. L'idée de solidarité rentre dans l'ombre avec la fin de la Seconde République pour ressurgir avec force dans les années 1880 et constituer la base du solidarisme” A. Le Bras-Chopard, Métamorphoses d’une notion: la solidarité chez Pierre Leroux, in La solidarité: un sentiment républicain? Centre universitaire de recherches administratives et politiques de Picardie, Paris, Presses Universitaires de France, 1992.
72. A.M. Baggio, Fraternità o solidarietà? Il ritorno di un dibattito antico, Nuova Umanità, 26 settembre 2012. Storicamente, la nozione di solidarietà è stata preferita a quella di fraternità anche perché ”si la fraternité pouvait se prêcher et se conseiller, elle ne pouvait pas cependant se décréter ni faire l’objet d’une loi écrite; la solidarité en revanche, en reflétant en quelque sorte l’interdépendance des hommes en société, reposait sur des bases quasi scientifiques et pouvait s’organiser en dehors de toute affectivité. On pouvait donc facilement la traduire en lois” M. Hunyadi, Dangereuse fraternité cit., p.157. Secondo Croiset la fortuna della parola solidarietà si spiega agevolmente: ”Si les individus ne sont que des cellules de la société, le mot par lequel les biologistes expriment l’interdépendance des cellules est celui même qui doit exprimer dorénavant l’interdépendance des individus. Les termes de justice, de charité, de fraternité même, si chère à la démocratie sentimentale de 1848, a le tort justement de n’être qu’un sentiment, et nos générations modernes, avides de sciences objectives et positives, avaient besoin d’un mot qui exprimât le caractère scientifique de la loi morale. Le mot de solidarité, emprunté à la biologie, répondait merveilleusement à ce besoin obscur et profond… On recueillit ainsi peu à peu, sous le titre de solidarité, à peu près toutes les idées morales qu’on trouvait conformes à l’idéal présent”, A. Croiset, Essai d’une philosophie de la solidarité, Paris, 1902, pp. 9-10. Peraltro, il lemma solidarietà, a differenza di quello di fraternità, richiama ab origine solo un profilo tecnico-giuridico: “I giuristi medievali conoscevano la figura della solidarietà fra debitori e creditori. Un istituto che fotografava una realtà economica: c’è un’obbligazione con più persone che devono pagare il creditore (solidarietà passiva) o più creditori che attendono il pagamento da un solo debitore (solidarietà attiva)” S. Rodotà, Solidarietà: la storia di un’idea che si fa diritto, intervento al Festival del Diritto, 2012, www.festivaldeldiritto.it
73. Infatti, sul piano giuridico sopravvivono sostanzialmente dopo le rivoluzioni, “i principi di libertà e di uguaglianza, figli dell’individualismo proprio del giusnaturalismo razionalista seicentesco, che sta all’origine del contrattualismo moderno. Tali principi, a differenza del principio di fraternità, sono in condizione di dispiegare efficacia giuridica in virtù del ricorso analogico a concetti della tradizione giuridica privatistica (anzitutto a quelli di contratto, di societas, di mandato) che, proprio in quanto privatistici, ben calzano ad una comprensione individualistica della società... Andando ancora più alla radice, alla possibilità che il concetto di fraternità assurga a vero e proprio concetto giuridico si oppone invero la stessa logica dello stato moderno, perfettamente delineata nel Leviathan di Thomas Hobbes. È tra individuo e stato che si instaura, in tale logica, l’unico vero rapporto politico, il rapporto basato sul sinallagma protezione-obbedienza” F. Pizzolato, P. Costa, Principio di fraternità giuridica e modernità cit. Rileva Giupponi che la legge Le Chapelier del 1791 “nel vietare ogni forma di associazione e coalizione collettiva, nell’opera di sistematica soppressione d’ogni focolaio di possibile riviviscenza dell’ordine corporativo dell’antico regime, nel liberare tutta la potenza creatrice della nuova idea egualitaria di libertà (e, con essa, le forze produttive della incipiente economia di libero mercato), era interamente in linea con il nuovo concetto costituzionale astratto di fraternità affermato nella trilogia del 1789” S. Giupponi, Solidarietà, Politica del Diritto, 4/2012, p. 529. L’idea di fraternità si colloca, osserva questo autore, nella concezione dell’individualismo democratico consacrato nella Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776, che aveva rifondato il contratto sociale sulla base dell’eguale godimento dei diritti individuali da parte di individui uguali davanti alla legge.
74. Così G. Germani, Autoritarismo e democrazia nella società moderna, in R. Scartezzini, G. Germani, R. Gritti, I limiti della democrazia, Liguori, 1985, p. 21. Osserva Rodotà che Napoleone, nel suo proclama del 18 brumaio, cioè del 9 novembre 1799, si presenta ai francesi come il difensore di “libertà, eguaglianza, proprietà. La fraternità è subito sopraffatta dal primato della proprietà, diritto a escludere gli altri dal godimento di un bene, dunque destinato a spezzare quel legame tra gli uomini che attraverso la fraternità si era voluto stabilire”, S. Rodotà, Quella virtù dimenticata cit. In ragione di ciò si è affermato che, a ben vedere, la Rivoluzione nei fatti sarebbe stata, soprattutto, la consacrazione dottrinale della ”sovranità degli egoismi individuali” X. Martin, Liberté, egalité, fraternité. Inventario per sommi capi dell’ideale rivoluzionario francese, in Rivista Internazionale dei diritti dell’uomo, 1995, p. 587.
75. Così I.Massa Pinto, Costituzione e fraternità, Jovene, 2011, p. 9. Secondo questa giurista “di fronte alla profonda delusione seguita a quell'esperienza, coloro che, volendo rifuggire tanto dall'individualismo capitalista quanto dal collettivismo comunista, si proposero di cercare una "terza via", guardarono al principio di solidarietà, in aperta polemica proprio con quello di fraternità“, ibidem.
76. A. Marzanati, A. Mattioni, La fraternità come principio del diritto pubblico cit.
77. Citato da J. Le Goff, Fraternità: un diritto che non esiste, Aggiornamenti sociali n.3/2013.
78. M. Salvati, Solidarietà cit.
79. B. Mattei, Solidarité ou Fraternité: un défi politique majeur cit. Anche Giupponi rileva che la “giuspubblicistica d’oltralpe riconosce un legame di diretta filiazione e, sovente di sostanziale immedesimazione tra la fraternità del 1789 e la solidarietà oggi alla base del patto costituzionale repubblicano: la fraternità prende oggi il nome di solidarietà può cosi affermare D. Truchet (Droit public, Paris, 2003), dando icasticamente voce ad una opinione molto diffusa in Francia”, S. Giupponi, op.cit. Anche Blais segnala che in Francia, in effetti, la fraternità prende il nome di solidarietà, M.C. Blais, La solidarietà, storia di una Idea, Giuffrè, 2012, p. 3.
80. “Senza voler scomodare le leggi sui poveri di Elisabetta I d’Inghilterra, è a partire dalla Prussia di Federico II che si può parlare di una prima concezione del welfare state in senso moderno [...] cioè come preoccupazione del Sovrano per il benessere della popolazione, nell’assunto che, in assenza di tale preoccupazione, emerga una conflittualità da homo homini lupus. Lo Stato giacobino francese, con le sue costituzioni, ne sarà una versione semplicemente capovolta in senso democratico, cioè sostituendo la Repubblica al Monarca assoluto [...]. L’importante è che la salvezza (il welfare) venga dall’alto, da un’autorità che sta al di sopra di tutti i consociati. Non a caso i francesi lo chiamano l’Etat-Providence” P. Donati, Il Welfare in una società post hobbesiana, www.sussidiarieta.net.
81. J. Le Goff, Fraternità: un diritto che non esiste cit. Dopo il 1884, ricorda Le Goff, grazie all’abolizione della legge Le Chapelier (limitativa delle corporazioni e dei sindacati) ”numerose società di mutuo soccorso (sociétés fraternelles) prolungano la tradizione delle confraternite e organizzano sistemi di aiuto per gli associati in difficoltà a causa della malattia, dell’età o di un incidente sul lavoro. “Tutti per uno, uno per tutti”: l’unione fa la forza e queste società diventano realtà di resistenza che prefigurano i sindacati”, ibidem.
82. S. Zamagni, Il principio di fraternità in economia, www.mclbologna.it.
83. Ad avviso di Pizzolato, Il concetto di fraternità “sembra sia stato piegato a fondare derive nazionalistiche e talaltra, classistiche. Insomma accade alla fraternità di essere colta e costruita per differenze ed esclusioni e non valorizzata nella sua intrinseca portata universalistica” così F. Pizzolato, La fraternità nell’ordinamento giuridico italiano, in Il Principio dimenticato cit., p. 212. Secondo Viola, la "fraternité" della Rivoluzione francese “è nella sostanza un sentimento, forte quanto si vuole, ma nulla più di un sentimento, vissuto secondo due registri, quello civico e quello universale [...] la fraternità è una passione di comunione. Ma è priva di fondamenti e, quindi, destinata a convivere con la contraddizione della violenza e dello sciovinismo”, F. Viola, La fraternità nel bene comune cit., p. 142. Secondo Ellul, il richiamo alla fraternità nella Costituzione del 1848 doveva servire a unire le ispirazioni cristiane rappresentate da una forza politica chiamata neo-cattolicesimo e la corrente del socialismo mistico, cfr. Storia delle Istituzioni, Mursia, 1976, p. 390.
84. L’espressione “Terrore rivoluzionario” identifica “deux périodes de la Révolution française: la première Terreur (10 août-20 septembre 1792) et la seconde Terreur (5 septembre 1793-28 juillet 1794)” La Terreur, Encyclopédie Larousse, www.larousse.fr.
85. Ricorda Baggio che malgrado l’art.1 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, bandiera della rivoluzione francese, (“Tutti gli uomini nascono liberi ed uguali per la legge”) ”i rivoluzionari francesi non riconoscono la libertà dei neri nelle colonie. La tratta dei neri e l’economia schiavista nelle colonie era diventata, nel corso del Settecento, una delle basi fondamentali dell’economia francese e continuò ad esserlo anche durante la rivoluzione [...]. Nel fatidico 1789 nei porti dell’isola arrivano 1578 navi mercantili. La colonia rappresenta i due terzi degli interessi commerciali della Francia [...] proprio questa classe di mercanti, la cosiddetta “borghesia marittima” nella quale i negrieri hanno un ruolo di punta, arriva al potere nel 1789 [...] i mercanti combattono il dispotismo monarchico e feudale, ma non mettono in questione il dispotismo che essi esercitano sulle colonie. L’Assemblea di Parigi, nel corso del dibattito, si divide pro o contro i proprietari neri, ma come osserva Plumelle-Uribe, nessuno dubita della necessità di perpetuare la schiavitù” A.M. Baggio, La sfida della fraternità cit.
86. A. Martinelli, Progetto 89 cit., p. 35 e segg. La fraternità “esprime quel sentimento di comune appartenenza alla comunità politica democratica degli individui liberi ed eguali, non più incardinati nell’ordine sociale gerarchico dell’ancien régime” S. Giupponi, Solidarietà cit., p. 529.
87. A. Martinelli, Progetto 89 cit., p. 35.
88. Ibidem.
89. M.R.Manieri, Fraternità. Rilettura civile di un'idea cit., p. 55.
90. Questa circolare è segnalata da G. Canivet, De la valeur de fraternité en droit français, Conférence 21 mai 2011, Universitè de Montreal.
91. A.De Lamartine, Correspondance générale, II, 52. Cfr. G. Antoine, op.cit., p. 136.
92. P.R. de Lamennais, De la religion, IIe partie, p. 39.
93. S. Giupponi, op.cit., p. 528.
94. La frase di Michelet è citata da G. Antoine, op.cit., p. 137.
95. R. Debry descrive, in questi termini, la percezione della fraternità nella cultura francese: “Une évasive fraternité continue d'orner nos frontons, sceaux, frontispices et en-tétes administratifs, mais le mot ne se prononce plus guère chez nos officiels. Le Président de la République se garde de l'utiliser, même dans ses voeux de Nouvel An, lui préférant les droits de l'homme. Depuis 1848, date de son intronisation dans la triade républicaine, il a perdu son chic. Pas de statut conceptuel, pas d'entrée dans les dictionnaires de philosophie contemporaine“, Le moment fraternité, Gallimard, 2009, pp.11-12.
96. E. Kant, Refl. n. 1354, XV, p. 591, citato da A. Taraborelli, Cosmopolitismo, Asterios editore, 2004, p. 29.
97. J. Michelet, Introduction à l’histoire Universelle, 1848, p. 27 ; cfr. F. Laurent, Histoire du droit des gens et des relations internationales, Vol. 15, Paris, 1869, pp. 37-38.
98. J. Michelet, Introduction à l’histoire Universelle cit., p. 29.
99. G. Gariglia, Il messianismo Russo, editrice Studium, 1956, p. 6. Famosa è questa frase di Solov’ëv scritta a fine Ottocento: “se la Russia è chiamata a dire la sua parola al mondo, questa parola non risuonerà dalle brillanti regioni dell’arte e delle lettere, né dalle superbe altezze della filosofia e della scienza, ma dalle cime umili e sublimi della religione“ V.S. Solov’ëv, La Russia e la Chiesa Universale, Comunità, 1947, p. 59. “Il Russo ha chiamato se stesso, il suo popolo, la sua terra, il suo governo con un nome speciale «la Santa Russia». Neppure uno dei popoli cristiani ha avuto il coraggio di fare altrettanto. Il popolo russo però si è dato questo nome non per orgoglio, ma con l’umile coscienza di essere santificato per un Santo servizio“ A. Kartasev, L’ortodossia e la Russia, citato T. Špidlìk, I grandi mistici Russi, Città nuova, 1977, p. 10.
100. “Un popolo ha per missione di rivelare... di farci scoprire uno dei volti di Dio" E. M. Cioran, Lacrime e Santi, Milano, 1990, p. 63.
101. A.M. Baggio, L'idea di "fraternità" tra due Rivoluzioni cit.
102. Idem, La fraternità: una sfida politica cit.
103. J.Le Goff, Fraternità: un diritto che non esiste cit.
104. A. Martinelli, Progetto 89 cit., p. 29.
105. Ha rilevato Donati che “con la caduta dei regimi comunisti e il crollo del marxismo come dottrina politica è venuta a cadere una delle due anime, quella giacobina illuminista della modernità, che vedeva nello Stato il garante e lo strumento-principe dell'emancipazione dell'umanità. In apparenza, viene rivalutata l'altra anima, quella liberale, basata sull'individualismo... Ma le cose non stanno proprio così. Benché pochi lo avvertano, la crisi della modernità comporta anche una crisi profonda del liberalismo, perlomeno di quello caratterizzato da una matrice individualistica e utilitaristica”, P. Donati, Le associazioni familiari in Italia: cultura, organizzazione e funzioni sociali a cura di P. Donati e G. Rossi, Franco Angeli, 1998, p. 17.
106. C. Gonthier, La fraternité comme valeur constitutionnelle cit.
107. Ibidem. Osserva questo autore che la fraternità ”en Haïti deviendra un symbole de la lutte contre l’esclavage et pour l’indépendance nationale dès le début du XIXe siècle. Elle jouera le même rôle lors de la décolonisation de plusieurs pays africains après la Seconde Guerre mondiale. Plus récemment, elle incarnera la volonté de réconciliation et de reconstitution des communautés nationales à la suite de dures épreuves: on a qu’à penser au long chemin vers la paix et la stabilité au Cambodge. Ailleurs encore, on verra dans la fraternité ou la solidarité une manifestation de l’attachement du peuple aux traditions ancestrales ou aux valeurs religieuses”, ibidem. La fraternità è richiamata testualmente anche nel Preambolo della Constitución della República Federativa de Brasil, 1988: “Nosotros, representantes del pueblo brasileño, reunidos en Asamblea Nacional Constituyente para instituir un Estado Democrático, destinado a asegurar el ejercicio de los derechos sociales e individuales, la libertad, la seguridad, el bienestar, el desarrollo, la igualdad y la justicia como valores supremos de una sociedad fraterna, pluralista y sin prejuicios...”.
108. V. Satta, La fraternità interterritoriale nella Costituzione italiana in A. Marzanati, A.Mattioni, La fraternità come principio del diritto pubblico cit., p. 227.
109. La Carta Araba prevede: “I governi degli Stati membri della Lega degli Stati Arabi [...] nel perseguire i principi eterni di fratellanza ed eguaglianza tra gli esseri umani, stabiliti dalla Shari'ah islamica e dalle altre religioni rivelate [...] nel rispetto dell'identità nazionale degli Stati arabi e del loro sentimento di appartenere ad una comune civiltà, si propone di realizzare le seguenti finalità [...] Insegnare ad ogni persona umana negli Stati arabi la fierezza della propria identità, la lealtà al proprio paese, l'attaccamento alla propria terra, alla propria storia e al comune interesse, instillando in ogni persona una cultura di fratellanza umana, tolleranza ed apertura verso gli altri, in conformità con i principi e valori universali e con quelli proclamanti negli strumenti internazionali sui diritti umani”.
110. F. Pizzolato, P. Costa, Principio di fraternità giuridica e modernità cit.
111. L’art. 2 recita: ”La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. L’art. 3, comma 2, stabilisce che ”è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Il concetto di solidarietà pubblica o paterna deriva dall’art. 3, comma 2, quello di solidarietà fraterna od orizzontale deriva dall’art. 2. Cfr. S. Galeotti, Il valore delle solidarietà, Diritto e Società, Esi, 1, 1996, pp. 10-11; G. Alpa, Solidarietà, Nuova giurisprudenza - civile commentata, 1994, II, p. 372.
112. A. Amorth, La Costituzione Italiana, commento sistematico, Milano 1948, p. 42. Anche La Pira era dello stesso avviso, cfr. F. Pizzolato, Il principio costituzionale di fraternità cit., p. 113; Idem, Appunti sul principio di fraternità nell’ordinamento giuridico italiano, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, Vita e Pensiero, 2001, p. 762.
113. S. La Porta, Profili giuspubblicistici del commercio equo solidale in A. Marzanati, A.Mattioni, La fraternità come principio del diritto pubblico cit., p. 183. Questo autore aggiunge: ”è agevole riconoscere nell'azione delle organizzazioni di commercio equo solidale e nei relativi consumatori i tratti di questa fraternità intesa come una forma di solidarietà che interpella direttamente il comportamento individuale e lo responsabilizza della sorte dei fratelli” ibidem. Osserva giustamente Pizzolato che la stessa solidarietà verticale, a ben vedere, può essere recuperata in chiave fraterna se si accede all’idea che lo Stato è una comunità, è una formazione sociale prima di essere un apparato burocratico e autoritario, F. Pizzolato, Il principio costituzionale di fraternità cit., p. 182.
114. D. Busnelli, Il principio di solidarietà e l'attesa della povera gente oggi, Persona e mercato, 2/2013, p.116 e segg. “Gli obiettivi di giustizia sociale non precludono gli imperativi cristiani di carità: i primi politicamente impegnati a porre riparo alle nefandezze della c.d. società naturale, dominata dagli echi dell’hobbesiano homo homini lupus; i secondi motivati, tutt’al contrario, dall’impegno morale di ristabilire l’armonia naturale di una società di persone create da Dio a sua immagine e somiglianza ponendosi alla ricerca di una conferma razionale del precetto cristiano di carità”, ibidem.
115. Il principio di sussidiarietà può veicolare potenzialmente i valori di fraternità. Afferma Pizzolato: “Nella Costituzione italiana il principio di sussidiarietà agisce come una specie di membrana che regola il dialogo e governa lo scambio tra il sistema dei comportamenti etici (e fraterni) e il sistema delle norme giuridiche e dell’azione istituzionale, graduando misura e forme del riconoscimento pubblico della fraternità. In questa prospettiva, il principio costituzionale di fraternità traduce l’idea che un ordinamento giuridico che voglia perseguire in modo democratico valori di solidarietà e obiettivi di lotta all’esclusione sociale, debba attingere a un serbatoio etico e, in questo senso, appoggiarsi all’infrastruttura sociale composta da comportamenti interpersonali di cura e di solidarietà orizzontale [...] la sussidiarietà va letta come il riconoscimento della strutturale, reciproca incompletezza tra società e istituzioni“ F. Pizzolato, Fraternità trama delle istituzioni cit.
116. P. Donati, I fondamenti della sussidiarietà, www.sussidiarieta.net. L’art. 118 Cost. recepisce la sussidiarietà verticale (primo comma) e orizzontale (quarto comma). La sussidiarietà verticale regola le relazioni tra poteri pubblici, cioè tra diversi livelli di governo (Unione Europea, Stati membri, Regioni, Autonomie locali). La sussidiarietà verticale: “consente di individuare il livello istituzionale più adeguato allo svolgimento di una determinata funzione pubblica non solo in base al criterio della "vicinanza" ai cittadini del livello istituzionale, ma anche tenendo conto della capacità di ciascuno di tali livelli di soddisfare l'interesse generale [...]. La sussidiarietà verticale consente in tal modo l'allocazione delle funzioni pubbliche non sulla base di un'astratta geometria istituzionale, quanto piuttosto di un obiettivo concreto di crescita della persona e di difesa della sua dignità”, G. Arena, Il Principio di sussidarietà cit. La sussidiarietà orizzontale concerne, invece, relazioni tra pubblici poteri e società civile: “Stato, Regioni... Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” (art. 118, comma 4, Cost.). Accanto alla sussidiarietà verticale (tra enti di governo) e orizzontale (tra enti di governo e società civile), “esiste un principio di sussidiarietà tra soggetti della società civile (tra famiglia e scuola, tra impresa e famiglie dei lavoratori, degli impiegati o dei clienti ecc.). Questa è la cosiddetta sussidiarietà laterale” P. Donati, I fondamenti della sussidiarietà cit. In questo ultimo caso, il principio di sussidiarietà opera a livello interpersonale e associativo ed indica la modalità con cui esercitare la solidarietà finalizzata “alla promozione (empowerment) delle persone oggetto di aiuto, in modo che diventino capaci di offrire alla comunità le loro capacità, per quanto limitate possano essere”, I. Colozzi, Solidarietà e sussidiarietà. Una definizione dei concetti, Treccani, 2012.
117. Cfr. G. Arena, Il Principio di sussidiarietà cit.
118. Si pensi non solo alla Costituzione italiana approvata il 22 dicembre 1947, ma alla Legge fondamentale tedesca approvata l’8 maggio 1949, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000 e al recente Trattato di Lisbona. All’origine della scelta dei costituenti tedeschi era, evidentissima, osserva Rodotà, “la volontà di reagire alla distruzione dell’umano e alla “morte di Dio” in un luogo simbolo di quella distruzione, Auschwitz, che avevano accompagnato l’esperienza nazista e avevano portato alla “perversione” dell’intero ordine giuridico. Si avvertiva il bisogno di una fondazione più solida. Da qui [...] la consapevolezza “della propria responsabilità davanti a Dio e agli uomini” dichiarata dal popolo tedesco nel Preambolo di quel testo”, Ambito e fonti del biodiritto, a cura di S. Rodotà, M. Tallacchini, Giuffrè, 2010, p.173. La Costituzione italiana menziona esplicitamente la dignità in tre disposizioni: artt. 3, comma 1 ("pari dignità sociale" dei cittadini), 36, comma 1 ("un’esistenza libera e dignitosa") e 41, comma 2 ("dignità umana"). La Costituzione richiama, implicitamente, la dignità in numerosi altri articoli.
119. F. Viola, I volti della dignità, AA.VV. Colloqui sulla dignità umana (Atti convegno internazionale, Palermo 2007), Aracne, 2008, p. 103. Osserva Viola: ”Nel celebre discorso De dignitate hominis Giovanni Pico della Mirandola da una parte, fonda la dignità umana sulla centralità ontologica dell'uomo nel mondo («Ti ho collocato al centro del mondo perché potessi così contemplare più comodamente tutto quanto è nel mondo») e, dall'altra, la collega all'uso della libertà («Non ti ho fatto del tutto né celeste né terreno, né mortale, né immortale perché tu possa plasmarti, libero artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore»)” ibidem.
120. M.A. Glendon, Il fondamento dei diritti umani: il lavoro incompiuto, in P.G. Carozza - M. Cartabia, Tradizioni in subbuglio, Rubbettino, 2007.
121. S. Rodotà, Dignità: oggi è questa la parola-chiave, Repubblica, 23 luglio 2013.
122. Ibidem. “Oggi noi non diciamo più fraternità anche se la parola non mi dispiace affatto, diciamo solidarietà" S. Rodotà, Etica e diritto, www.emsf.rai.it, 17 febbraio 1999.
123. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., pp. 596-597.
124. In termini filosofici, “può dirsi che la dignità dell'essere umano è un principio etico, per il quale la persona umana non deve mai essere trattata solo come un mezzo, ma sempre come un fine in sé: «gli esseri razionali stanno tutti sotto la legge secondo cui ognuno di essi deve trattare se stesso e ogni altro mai semplicemente come mezzo, bensì sempre insieme come fine in sé» (Kant). L'essere umano è, dunque, degno perché è fine in se stesso, con il conseguente divieto assoluto di ogni sua strumentalizzazione” La Dignità dell’uomo quale principio costituzionale, Incontro trilaterale delle Corti costituzionali italiana, Spagnola e Portoghese, Roma, Palazzo della Consulta, 30 settembre 2007. Rodotà osserva giustamente che il principio di dignità “vieta di considerare la persona come mezzo, di strumentalizzarla. Con due ulteriori implicazioni: l’irriducibilità alla sola dimensione del mercato, in particolare per quanto riguarda il corpo come fonte di profitto; e il rispetto dell’autonomia della persona, che non può mai essere “strumento di scopi e oggetto di decisioni altrui [...]. La costruzione dell’homo dignus non può essere effettuata all’esterno della persona, ha davvero il suo fondamento in interiore homine [...] nell’antropologia moderna della persona, la dignità conduce all’autodeterminazione, che la Corte costituzionale ha qualificato come diritto fondamentale della persona” S. Rodotà, Dignità: oggi è questa la parola-chiave cit.
125. La Costituzione all’art. 2 consacra il principio personalista. L’art. 2 afferma che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo: “Il senso e la portata di questa disposizione può ben comprendersi solo se si considera il clima storico-culturale dell’Assemblea Costituente, frutto dell’incontro (e dell’accordo) di tre diverse ispirazioni di pensiero: quello liberale, quello cattolico e quello socialista… L’art. 2 Cost. segna il definitivo superamento dell’impostazione statocentrica e, riconoscendo il primato della persona rispetto allo Stato, assume il principio personalista come punto fermo della regolazione del nuovo rapporto individuo-comunità statale” S. Mangiameli, Il contributo dell’esperienza costituzionale italiana alla dommatica europea della tutela dei diritti fondamentali, www.giurcost.org.
126. Nel sistema del welfare society “è l’intera società, e non solo lo Stato, che deve farsi carico del benessere dei suoi cittadini. Parallelamente a tale concetto, il principio di sussidiarietà circolare ha cominciato a fare capolino. Se è necessario che sia la società nel suo complesso a prendersi cura dei suoi cittadini in modo universalistico, è evidente che occorre mettere in interazione strategica le tre sfere di cui si compone l’intera società: la sfera dell’ente pubblico (stato, regioni, comuni, ecc.), la sfera delle imprese, ovvero la business community, e la sfera della società civile organizzata, (volontariato, associazioni di promozione sociale, cooperative sociali, organizzazioni non governative, fondazioni)” S. Zamagni, Dal welfare della delega al welfare della partecipazione, www.ordosocialis.de.
127. “Le relazioni non strumentali sono state da sempre trascurate dagli economisti, poiché considerate non interessanti quando si studiano i mercati o i fenomeni tipicamente economici, che sarebbero caratterizzati dalla logica strumentale, quindi una logica antitetica a quella delle relazioni “genuine”. Negli ultimi anni le cose stanno cambiando, e in economia sta facendo, lentamente ma decisamente, il suo ingresso il tema delle relazioni, poiché ci si è resi conto che anche nelle interazioni economiche la qualità dell’interazione intersoggettiva influenza scelte, individuali e collettive, e quindi la qualità dello sviluppo economico e civile. La parola chiave di questa attenzione per la dimensione relazionale oggi nelle scienze e prassi economiche, è il “bene relazionale [...] l’inserire i beni relazionali nelle analisi economiche produce importanti effetti in ambiti cruciali per la nostra qualità della vita: dalla misurazione della ricchezza nazionale, a quella della felicità, nel benessere soggettivo nei luoghi di lavoro, alla architettura delle città”, L. Bruni, Beni relazionali, una nuova categoria nel discorso economico, www.fabbricafilosofica.it. Cfr. S. Zamagni, La svolta antropologica in economia: il ritorno della relazionalità, www.fondazionebasso.it. Cfr., infra, modulo12/8.
128. F. Pizzolato, Fraternità trama delle istituzioni cit.
129. G. Arena, Il Principio di sussidiarietà cit.
130. Corte costituzionale, sentenza n. 75/1992.
131. Si è giustamente osservato che la pratica dei doveri moralizza la Costituzione e giuridicizza l’etica. Ma in assenza di un orientamento etico la solidarietà non può convertirsi in fraternità, così R. Ruggeri, Doveri fondamentali, etica repubblicana, teoria della Costituzione, in I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, a cura di R. Balduzzi, M. Cavino, E. Grosso e J. Luther, Giappichelli, p. 558.


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PRIMA PARTE

Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale

Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità.

SECONDA PARTE

Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale

Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza.

TERZA PARTE

La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività.

QUARTA PARTE

Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale...

Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche

QUINTA PARTE

Linee di sviluppo di nuove attitudini concrete, espressive dei valori di cooperazione, empatia...

Modulo 12. Mappa delle attitudini significative in coerenza con la visione sistemica della Vita

Attitudine a percepire la comune appartenenza alla Rete della Vita. La cura di se stessi
Attitudine alla scelta degli Ideali, pensieri e sentimenti per manifestare comportamenti civici
Attitudine alla scelta delle intenzioni
Attitudine alle relazioni empatiche. La rilevanza civica della empatia
Attitudine alla rivalutazione e alla sacralizzazione della vita quotidiana
Attitudine alla rivalutazione del corpo fisico e del suo apporto cognitivo
Attitudine a sperimentare il gusto e la pienezza della vita: la “scienza della Vita”
Attitudine a valorizzare il bene relazionale e i beni comuni
Attitudine alla rivalutazione del lavoro
Attitudine al dimensionamento dei bisogni individuali
Attitudine all'assunzione delle cariche pubbliche. L’esempio
Attitudine a relazioni improntate ai valori di giustizia
Attitudine al rispetto dell’ambiente interiore ed esteriore
Attitudine a vivere come cittadino dell’Universo