Modulo 2. Riflessioni sulle comuni radici spirituali dei diversi progetti di riforma della società. Dal millenarismo e utopismo rivoluzionario alla via della trasformazione interiore. Il nostro attuale travaglio individuale e collettivo. |
1. Riflessioni sulle comuni radici spirituali dei diversi progetti di riforma della società. Millenarismo, utopismo e trasformazione interiore
2. Riflessioni sulle diverse percezioni valoriali della idea di fraternità laica nella vita collettiva.
3. Riflessioni sul nostro travaglio individuale e collettivo. L’emergenza di una nuova coscienza.
1. Riflessioni sulle comuni radici spirituali dei diversi progetti di riforma della società. Dal Millenarismo e dall'utopismo alla via della trasformazione interiore.
“Nel messaggio evangelico è implicito un contenuto politico e sociale che deve ad ogni costo realizzarsi nella storia”
1. Secondo molti studiosi, le aspirazioni alla fraternità avrebbero tutte origini religiose. Ha osservato, ad esempio, Morin che “le sorgenti di fraternità religiosa e le sorgenti di fraternità post-religiosa” hanno le stesse radici, “perché in un certo senso, l’ideale socialista è una forma laicizzata che deriva da queste origini religiose” (1). Ricorda Zoll che durante i moti del 1848, il termine fraternità era alquanto diffuso presso il movimento operaio allora emergente (2).
In riferimento al movimento operaio francese “ il giovane Marx affermava entusiasta, così come avrebbe fatto poco dopo Engels: «La fratellanza degli uomini tra di essi non è una frase, ma una realtà»… Alcuni anni più tardi, però, Marx ed Engels cominceranno a sviluppare la loro critica nei confronti dell'indifferenziazione del concetto di fraternità (definendola) «comoda astrazione dalle contrapposizioni di classe»" (3). Infatti, il “vincolo che deve legare gli appartenenti alla classe dei lavoratori, a partire dalla I Internazionale, viene ridefinito come solidarietà, intendendo un rapporto nella classe… Fu almeno da parte di Marx una svolta voluta e consapevole. Il significato della sua solidarietà attingeva a Fourier, proprio perché in questo caso essa era priva di echi rispetto a fraternità, al suo universalismo, alla sua generalità” (4).
Occorre qui dare atto che ancor prima del movimento rivoluzionario francese, la storia aveva registrato precedenti tentativi di applicare il concetto di “fraternità” in ambito sociale: a partire dall’anno mille, osserva uno studioso, “moltissimi movimenti religiosi propongono in polemica con la Chiesa, il tentativo di recuperare l’annunzio evangelico nella sua autenticità, la comunità ecclesiale nella sua originaria purezza. Perciò vi hanno un ruolo tanto forte la “povertà […] lo spirito (in Gioacchino da Fiore e in tutta la corrente spirituale) e il laicato […]. È il tentativo di riprendere la costruzione iniziata dal Cristo, la società di giustizia e fraterna, la società fraterna che contiene al più alto grado la società di giustizia” (5) .
Tra questi movimenti dobbiamo annoverare, a prescindere dalla bontà o
meno delle relative idee, due esperienze: il movimento degli Ussiti,
seguaci dei teologo boemo Jan
Hus (prima metà del 1400) e il movimento di Thomas Münzer legato alle
guerre
contadine degli anni 1524-1526, nel periodo noto tra gli storici come
rivoluzione dell'uomo comune. Questa ultima esperienza toccò principalmente
la Germania meridionale e poi anche alcune aree geografiche limitrofe.
Münzer
riformatore protestante a sfondo sociale, in aperto contrasto con
Lutero, intendeva ripristinare il "cristianesimo da lui ritenuto
originario e più autentico e promuoveva comunità fraterne sulla base di
un presunto diritto divino ancorato direttamente al Vangelo: «ci siamo
chiamati l'un l'altro fratelli cristiani», dicevano di sé i contadini
insorti” (6).
In questo periodo storico, l’idea di fraternità entra nella vita sociale
grazie all’incontro, forse il primo, ma non l’ultimo, tra il millenarismo
religioso (7) e l’utopismo politico-rivoluzionario, come ha illustrato
nei suoi studi Mannheim
(8). Entrambi i succitati movimenti (religioso il primo, laico il secondo)
preconizzano l’arrivo sulla Terra di un nuovo Regno di giustizia, di pace
e vita fraterna, anche se su basi diverse. Osserva Mannheim: “Un momento
decisivo nella storia moderna fu quello in cui il millenarismo unì le
proprie forze alle esigenze degli strati oppressi della società. L’idea
stessa della nascita di un regno millenario sulla terra aveva sempre contenuto
una tendenza rivoluzionaria, e la Chiesa fece quindi ogni sforzo per paralizzare
questa idea trascendente (9). Negli Hussiti e poi in Thomas Münzer queste
idee si trasformarono in movimenti attivi di determinati strati sociali.
Le aspirazioni profonde presero all’improvviso un aspetto terreno. Si
capì, cioè, che esse erano realizzabili, «qui» ed «ora». La «spiritualizzazione
della politica» fece allora, si può dire, la sua comparsa nella storia
[…]. L’origine di tale spirituale tensione coincideva, nondimeno, con
l’emergere della mentalità utopica che ebbe origini negli strati oppressi
della società. È a questo punto che ha inizio la politica nel suo significato
moderno, ove per politica s’intenda un più o meno consapevole concorso
di tutti i gruppi sociali alla realizzazione di certi scopi terreni” (10).
L'esperienza appena citata finì tragicamente, come è noto, ma le aspirazioni
relative all’attesa di una società ideale da realizzare qui sulla Terra
continueranno ad agitare le coscienze anche nei secoli successivi.
Famosa è la frase di Mirabeau inneggiante alla fraternità universale: “La liberté générale bannira du monde entier les absurdes oppressions qui accablent les hommes et fera renaître une fraternité universelle, sans laquelle tous les avantages publics et individuels sont si douteux et si précaires” (11). Famose sono le parole di un noto esponente dell’utopismo ottocentesco: “La fin de l’antique civilisation est venue; sous un nouveau soleil, la face de la terre va se renouveler […]. Alors grands et petits, savants et ignorants, riches et pauvres, s’uniront dans une fraternité ineffable; et, tous ensemble, chantant un hymne nouveau, relèveront ton autel, Dieu de liberté et d’égalité!” (12). Pensiamo anche alle parole (tra le quali “i mendicanti saranno fratelli dei principi”) contenute nell’Inno alla Gioia composto da Friedrich von Schiller nel 1785, inserite da Ludwig van Beethoven nel quarto movimento della sua Nona sinfonia e adottate quale inno dell’Unione Europea, anche se nella sola versione musicale (13).
Peraltro, alcuni studiosi hanno evidenziato che lo stesso giacobinismo,
in effetti, fu una specifica forma politica del millenarismo il quale
ebbe un certo ruolo pure nel puritanesimo
inglese e americano. Però, “mentre il progetto puritano di edificare la
Nuova Gerusalemme aveva suscitato nelle élites inglesi una tenace avversione
per la rivoluzione in quanto tale, il Terrore generò una tradizione ideologica
che si sviluppò sino a diventare una delle principali forze dell'età moderna.
In effetti, si può senz'altro dire che, con il grido di guerra lanciato
dai giacobini contro i Troni e gli Altari ("prima grandi catastrofi,
poi la felicità universale!) inizia ufficialmente l'epoca dominata dal
desiderio
rivoluzionario di realizzare il Regno di Dio” (14). Questo desiderio
rivoluzionario, secondo
Schlegel, che aveva peraltro coniato tale espressione, costituisce
“il punto elastico della cultura progressiva e il principio della storia
moderna. Ciò che in essa non ha nessuna relazione con il regno di Dio
ha un valore secondario” (15).
Anche “il terzo grande esperimento totalitario del XX secolo, quello della Cina comunista” si è osservato, “affonda le sue radici ideologiche nella tradizione millenaristica”(16).
La componente spirituale presente nelle aspirazioni politiche tese alla realizzazione di una società giusta e fraterna è stata ammessa anche da Maritain il quale ha riconosciuto un filo cristiano che lega, in un certo qual modo, Rivoluzione Francese, il movimento dei puritani in America (17) e il movimento comunista in Russia: “La questione non verte sul cristianesimo come credo religioso e come via alla vita terrena, ma sul cristianesimo come lievito della vita sociale e politica dei popoli e come apportatore agli uomini di speranza terrena […] come energia storica che opera nel mondo. Non è stato concesso a dei credenti integralmente fedeli al dogma cattolico, ma bensì a dei razionalisti, di proclamare in Francia i diritti dell’uomo e del cittadino, a dei puritani di dare in America l’ultimo colpo allo schiavismo, a dei comunisti atei di abolire in Russia l’assolutismo del profitto privato […]. Lo sforzo per riscattare il lavoro e l’uomo dal dominio del denaro procede tuttavia da correnti introdotte dal Vangelo” (18).
Non stupisce l’affermazione del famoso storico Ernst Bloch secondo il quale “la rivoluzione francese è evento cristiano per eccellenza” (19) in quanto nel messaggio evangelico, come osserva Maritain, “è implicito un contenuto politico e sociale che deve ad ogni costo realizzarsi nella storia” (20).
Alcuni studiosi, indagando sulle citate radici religiose, hanno rilevato
che i due grandi principi etici della età moderna e dei progetti politici
più importanti, cioè l’idea di una società giusta e fraterna, ricavano
le loro origini, rispettivamente, la giustizia dal “messianismo ebraico”,
la fraternità “dall’annunzio evangelico” (21). In questo passato, si è
detto, troviamo anche le radici dell’idea etica-politica del cosmopolitismo
intesa come associazione pacifica e armoniosa tra i popoli (22).
Anche Mazzini,
il quale poneva un chiaro distinguo tra sentimento religioso e istituzioni
religiose, aveva affermato: “Io non conosco, parlando storicamente, una
sola conquista dello spirito umano, un solo passo importante mosso sulla
via di perfezionamento della società umana, che non abbia radici in una
forte credenza religiosa” (23). In questa prospettiva si è pure rilevato
che “il
Risorgimento fu sostenuto da un forte spirito religioso che ebbe quale
suo tratto distintivo la devozione all’ideale della libertà. Senza esagerazioni
retoriche si può, anzi, si deve affermare che lo spirito religioso diede
al Risorgimento il suo alto valore ideale. Negare la sua presenza sarebbe,
per tacer d’altro, un grave errore storico” (24).
D’altronde, “ogni rivoluzione è un evento cristiano” ha detto Galimberti
in quanto si alimenta del tempo escatologico, ”dei nuovi cieli e della
nuova terra” che il cristianesimo per primo ha introdotto in Occidente
(25): “la tradizione giudaico-cristiana introduce nella cultura occidentale
una figura del tempo assolutamente imprevista dalla cultura greca. Si
tratta del tempo «escatologico» dove alla fine (éschaton) si realizza
quello che all'inizio era stato annunciato… il tempo escatologico iscrive
la temporalità in un "disegno" che va dall'origine alla fine
del mondo. Quando è iscritto in un disegno, il tempo acquista un "senso",
e quando il tempo è fornito di senso, nasce la "storia"; il
cristianesimo, annunciando all'uomo una sopravvivenza ultraterrena, ha
immesso nella cultura occidentale una enorme carica ottimistica investita
sul futuro… il futuro è salvezza” (26).
A ben vedere, anche l’idea di progresso “secondo una interpretazione largamente
accettata rappresenta una visione secolarizzata della fede cristiana nella
Provvidenza. Il mondo antico aveva una visione ciclica della storia, mentre
la cristianità le diede una direzione chiaramente definita, dalla caduta
dell’uomo alla sua definitiva redenzione” (27).
In definitiva, diversi progetti politici di riforma della società hanno
nelle loro radici componenti di natura religiosa in senso lato, come osservato
da molti studiosi, ferma restando la necessità di precisare che dette
componenti non concernono il riconoscimento del ruolo delle Istituzioni
religiose o la condivisione di metodi spirituali, ma l’aspirazione, lo
slancio, il sacrificio, cioè energie di mente e di cuore per realizzare
mediante riforme economiche e sociali, pacifiche o violente (a seconda
dei casi), un modello di collettività entrato nell’orizzonte della coscienza
umana in quanto annunziato e legittimato nei Testi sacri.
2. Le comuni radici delle diverse progettualità sociali dovrebbero farci
riflettere, osserva Morin, sulla necessità di superare la contrapposizione
tra religione e cultura laica: ”l’opposizione virulenta che c’è stata
tra la religione e la laicità, oggi può essere superata […] bisogna rendersi
conto che gli spiriti laici, umanisti, hanno una fede, cioè credono in
alcuni valori, la fraternità, l’amore, la solidarietà […]. Per quanto
riguarda le religioni, dobbiamo capire che tutte le grandi religioni che
hanno un origine universale, hanno questo fondo di fraternità comune che
è anche il nostro e dunque un fondo religioso comune anche per le persone
senza Dio cioè senza rivelazione. Certo le religioni portano in sé una
contraddizione […] devono imparare ad essere tolleranti per la necessità
interna di capire l’alterità. E le persone che non sono religiose devono
essere anch’esse tolleranti ciò significa che anche noi possiamo unirci
su questo fondo di tolleranza e nel compito dell’umanità planetaria […]
penso che tutto ciò dovrebbe essere capito senza per questo cercare l’omogeneità,
possiamo capirci e partire da queste sorgenti comuni” (28).
Questo avvicinamento tra aspirazioni religiose e laiche diventa più fattibile
se abbandoniamo “il pensiero ideologico, sempre semplificante, sempre
dualistico e bisognoso di un nemico; è l'ora invece di guardare alla realtà
rispettando la sua complessità” (29).
Ad avviso di molti, forse, un primo avvicinamento pacifico e silenzioso
inizia ad intravedersi, soprattutto, tra aspirazioni spirituali, aspirazioni
al cambiamento sociale e visione scientifica della vita. Ad esempio, due
scienziati, Capra
e Luisi osservano che la crescente spiritualità laica è coerente con
la visione sistemica della vita: “l’esperienza spirituale è un'esperienza
umana molto più ampia e più basilare rispetto all'esperienza religiosa.
Ha due dimensioni: una rivolta verso l'interno e l'altra rivolta verso
l'esterno, che abbraccia il mondo e gli altri esseri umani […] quando
si dice che scienziati come Einstein o Bohr erano anime spirituali, si
intende che essi avevano un forte desiderio di avvicinarsi, o forse addirittura
di identificarsi, con i misteri del cosmo. D'altra parte, quando diciamo
che persone come Gandhi o Martin Luther King sono guide spirituali, vogliamo
dire che esprimevano con la loro esistenza i più alti ideali di un'umanità
migliore. In questi casi c'è l'unione delle due dimensioni, interna ed
esterna, della spiritualità, e possiamo parlare di "spiritualità
laica", un modo di essere spirituali senza la necessità di appartenere
ad una particolare religione. La spiritualità, intesa in questo senso
ampio, non ha alcun motivo di conflitto con la scienza. Anzi, è pienamente
coerente con la visione sistemica della vita” (30).
Questo avvicinamento appare fattibile in quanto l’aspirazione spirituale
alla quale alludiamo si esprime anche al di fuori delle istituzioni religiose
e dei luoghi religiosi. Vi è la consapevolezza, sempre più crescente in
una parte della società, che il cambiamento individuale autentico può
recare importanti benefici anche sociali. Gandhi ne è stato un grande
esempio. Non vogliamo sminuire il ruolo delle istituzioni religiose e
di quelle politiche (soggetti estranei al nostro lavoro), ma vogliamo
sottolineare che l’aspirazione spirituale in esame cerca di incarnarsi
in stili di vita benefici, nel pubblico e nel privato, scevri da desideri
di potere sugli altri, da logiche di appartenenza o di latente primazia,
da logiche implicanti tutte la “separatività”. Una parte della umanità,
bisogna prenderne atto, oggi coltiva questi sentimenti dai risvolti profondamente
civici, esprimendo una tendenza pacifica verso un cosmopolitismo fraterno,
verso una fraternità universale.
Queste aspirazioni non coltivano più “il desiderio rivoluzionario di realizzare il Regno di Dio”, ma l’idea più coraggiosa e altruista, quella della trasformazione interiore, che come nota Morin, è più ricca dell’idea di rivoluzione, in quanto “ne conserva il carattere radicale, ma la lega alla conservazione della vita, delle culture […]. Oggi tutto dev’essere ripensato. Tutto deve ricominciare. E in effetti tutto è ricominciato, senza che lo si sappia […] esiste già, su tutti i continenti, un fermento creativo, una moltitudine di iniziative locali che vanno nella direzione della rigenerazione economica o sociale o politica o cognitiva o educativa o etica o di stili di vita” (31).
Queste aspirazioni spirituali, ancorché corroborate da differenziate metodologie
spirituali, non si pongono automaticamente in alternativa o in conflitto
con le religioni tradizionali. Anche se, osserva Rifkin, “numerosi sondaggi
indicano uno spostamento generazionale verso il divino, con le giovani
generazioni dei paesi industrializzati che voltano le spalle alla religiosità
istituzionalizzata, a favore di una ricerca spirituale personale, incarnata
nella natura ed empatica nelle espressioni” (32).
Anche ad avviso di Laszlo,
“in effetti si registra una crescita di attenzione verso la spiritualità,
non la religiosità, quanto proprio la spiritualità, il che è diverso.
Ogni religione è dottrinale, il fedele deve seguire gli insegnamenti della
propria chiesa. La spiritualità invece è sviluppo interiore, nella sua
essenza. Il buon religioso è profondamente spirituale, ma non tutti sono
buoni religiosi. La religiosità può esistere senza spiritualità e la spiritualità
può esistere senza religiosità. In ogni caso, la vera spiritualità è oggi
più potente, cresce tra la gente inducendo molti a cercare dentro se stessi,
a capire il proprio compito in questo mondo in cambiamento” (33).
La spiritualità, precisano Boff
e Hathaway, è diversa anche dalla teologia: “la teologia lavora con
concetti e pensa in termini di concetti; la spiritualità esperisce emozioni
profonde […] emerge allorché dalla testa passiamo al cuore, la spiritualità
non è pensare Dio nel cosmo, è esperire Dio in tutte le cose” (34).
In conclusione, occorre prendere atto che, oltre alle forme di religiosità
tradizionali e alle modalità di impegno politico tradizionale, evidentemente
necessari, è presente un afflato spirituale planetario che tende a confluire
soprattutto, in progetti di cambiamento dei propri comportamenti quotidiani,
in stili di vita attenti all’impatto, civico e sociale, provocato dal
proprio modo di vivere. In questo nuovo afflato si possono rinvenire forse
le antiche dottrine secondo le quali la società fraterna e giusta può
realizzarsi sulla terra, se contestualmente si lavora in questa direzione
nella propria vita interiore e nei propri comportamenti. La via della
trasformazione, per molti, ha preso il posto dell’utopismo rivoluzionario:
non si cerca più di voler realizzare nella società, a qualunque costo,
quelle qualità che non si possiedono interiormente. Moltissimi ci hanno
provato anche con la violenza e, naturalmente, non ci sono mai riusciti.
Dovremmo, in effetti, sempre chiederci se coloro che possiedono l’abilità
a infiammare sulla scena politica le pulsioni altrui, possiedono anche
la capacità progettuale e trasformativa della propria materia individuale
(cfr. modulo 12/11),
ovvero se hanno realizzato nei propri comportamenti quei valori che si
prefiggono di realizzare all’esterno.
2. Le diverse percezioni valoriali della fraternità nel corso della storia: dalle fraternità parziali alla fraternità universale.
“La fraternità è una parola difficile in quanto la percezione del suo contenuto, tutto sommato, non dipende dalla cultura intellettuale posseduta o dalla religione professata, ma dalla sensibilità individuale maturata”
1.
La parola fraternità ha assunto molteplici significati nell’esperienza
umana e differenti contenuti valoriali. Ad esempio, può individuare il
solo dato formale e giuridico dei legami di sangue; può evocare qualità
umane e relazionali (affetto, sostegno, cooperazione, etc.) che intercorrono
solo tra persone della stessa famiglia o tra amici; può designare le relazioni
umane all’interno di determinate aggregazioni perseguenti valori condivisi
(vicinato, corporazioni, comunità, popolo); può designare un principio
ispiratore di un modello di vita collettiva, etc.
Il breve excursus storico svolto nelle pagine precedenti ci permette di
osservare che la fraternità quale modello relazionale, se pur con diversi
contenuti valoriali, si è estesa dai nuclei familiari anche a persone
estranee ai legami di sangue, alle comunità di vicinato, poi ai corpi
intermedi (corporazioni, associazioni, etc.). In seguito, la fraternità
è stata oggetto, per un brevissimo tempo, di un programma politico, lambendo
in Francia l’organizzazione della intera collettività (relazione diretta
tra i cittadini e lo Stato) per entrare formalmente nell’ordinamento giuridico
francese, nell’accezione sostanziale di solidarietà verticale. La fraternità,
ancorché sia stata, quasi subito, emarginata come categoria politica,
ha generato, comunque, due grandi forze: l’impulso alla solidarietà e
la maggiore consapevolezza della dignità umana anche da parte delle popolazioni
più deboli e maltrattate, come ha dimostrato l’esperienza del millenarismo
e dell’utopismo. La fraternità, scrive giustamente Le
Goff, “est à la base de tout l’édifice du droit social, malgré son
modeste statut dans la devise républicaine” (35).
In altre parole, l’ideale di fraternità ha generato o, se si vuole, ha
sollecitato sul piano coscienziale sia la solidarietà, intesa da taluni
in una accezione restrittiva come relazione verticistica dall’alto al
basso, e sia il bisogno di dignità, inteso da taluni come lotta sociale
dal basso verso l’alto, oppure, come lotta di indipendenza rispetto all’oppressore”
(36).
Nel cuore dell’Ottocento, in effetti, sono emersi afflati di fraternità
transnazionali sia tra coloro che lottavano per la libertà dei popoli
in tanti luoghi della terra e sia tra coloro che lottavano per ottenere
migliori condizioni di vita sociale. Molte anime si sono impegnate strenuamente
per offrirci migliori condizioni di vita delle quali tutti noi, oggi,
beneficiamo.
La fraternità, dunque, ha agito storicamente, non solo in Francia, ma
anche altrove, come “un potente meccanismo di creazione di identità collettive,
di mobilitazione politica e di integrazione sociale” (37). Se il rivoluzionario
francese vuole che sia considerato “fratello” non tanto il componente
della famiglia o della associazione, quanto il cittadino della Patria,
il rivoluzionario russo, nei primi del Novecento, a prescindere dai risultati
ottenuti, vuole che siano considerati “fratelli” le classi sociali oppresse
di tutta la terra.
Anche nell’inno “Fratelli
d’Italia”, scritto nel 1847, la fraternità di matrice risorgimentale
identifica un popolo che deve essere unito e libero nei confronti dei
poteri oppressivi. Però, questa fraternità non esprime una vera unione
interiore tra i cittadini. Il valore di unità, infatti, tuttora è percepito
dai cittadini italiani, soprattutto, in determinati contesti ove entrino
in gioco le relazioni con altri popoli. Nelle relazioni civiche il valore
della fraternità appare fortemente recessivo, e non a caso, alcuni storici
notavano già nell’Ottocento le criticità della morale civica del popolo
italiano (38).
Quanto fin qui rilevato comprova che diverse sono le percezioni della
fraternità e diversi possono essere i suoi frammenti valoriali suscettibili
di inverarsi storicamente: per la “fraternità” si combatte e si dà la
vita, per la “fraternità” si proclamano la pace e la concordia.
Alcuni avvertono della fraternità la forza di cementare i rapporti umani
in quanto sono spinti dal bisogno di aggregarsi per difendersi e per conquistare
diritti, o all’opposto, per aggredire. La parola d’ordine aggregante in
tutti questi casi è fraternità, anche al fine, talvolta, di far percepire,
con intenti manipolatori, come nobile e doverosa l’azione progettata,
ancorché eticamente opinabile. Questa modalità strumentale fa parte ancora
della nostra contemporaneità. Altri impiegano la fraternità come sonnifero
per pacificare i rapporti umani al solo fine di mantenere lo status quo.
Altri ancora avvertono della fraternità la funzione unificatrice del genere
umano, nonché realizzatrice nel contempo della pienezza individuale.
Una sola parola può, dunque, esprimere contenuti molto distanti. La fraternità
è in effetti una parola difficile in quanto la percezione del suo contenuto,
tutto sommato, non dipende dalla cultura intellettuale posseduta o dalla
religione professata, ma dalla sensibilità individuale maturata.
Non a caso all’interno delle stesse istituzioni religiose si sono manifestati
storicamente orientamenti diversi e talvolta laceranti: taluni sensibili,
soprattutto, alla conservazione dell’ordine sociale ed altri, soprattutto,
alla maggiore dignità della umanità più debole. Taluni promuovevano una
cultura spirituale dogmatica e antropocentrica, rispettosa dell’ordine
sociale, una cultura tutto sommato un po’ distante dal messaggio cristiano
e bisognosa, per questo, di virulente misure di coazione. Altri praticavano,
invece, direttamente la fraternità cristiana anche se ciò poteva recare
disturbo alle esigenze di conservazione sociale. Queste due tendenze,
con qualche variante, albergano ancora, non solo nelle istituzioni religiose
ma in tanti movimenti spirituali e politici, essendo espressioni della
nostra natura umana che la storia ci ha insegnato a conoscere. Lo abbiamo
appreso: vi sono coloro che pur essendo attratti dai valori, tendono a
impossessarsi e a strumentalizzare i messaggi elevati e vi sono coloro
che, invece, tendono a “servire” i messaggi elevati. I primi hanno sempre
temuto e ostacolato i secondi.
2. La storia insegna che come individui siamo riusciti a vivere, grosso
modo, alcuni dei contenuti possibili della fraternità. Forse riusciamo
a essere fraterni in famiglia, con gli amici, nel gruppo cui aderiamo.
Ma non riusciamo ancora ad andare oltre. La fraternità pacifica, quale
valore universale organizzativo della vita tra gli uomini, è tuttora incompiuta
e forse anche incompresa. L’idea di fraternità, è vero, ha avuto nel corso
della storia un processo aggregativo orizzontale crescente. Ma il processo
aggregativo fraterno in realtà appare essersi un po’ rallentato in quanto
non è riuscito a coinvolgere la società, i popoli e coloro che governano
gli Stati. Certamente vi sono alcuni segnali positivi sui quali ci siamo
soffermati: pensiamo al bisogno di dignità, al bisogno di una fraterna
solidarietà, al bisogno di cooperazione e sussidiarietà presenti nella
società civile, al bisogno di esprimere in positivo il proprio potenziale
interiore grazie anche a una agevole accessibilità alle risorse culturali
di valore e alla crescente diffusione di una dimensione spirituale sensibile
ai valori fraterni.
La stessa società civile che con le sue aggregazioni e associazioni aveva
avuto un ruolo importante in epoca medioevale e che aveva subìto poi un
provvisorio ridimensionamento in epoca rivoluzionaria, è tornata oggi
a rivestire un ruolo significativo con una piena legittimazione accanto
allo Stato e al Mercato. L’ordinamento giuridico ha preso atto che gli
esseri umani si relazionano tra loro non solo per dovere (Stato) o per
profitto (Mercato) ma anche per reciprocità: “Nel novecento tutto doveva
essere ricondotto o al mercato o allo Stato o tutt’al più ad un mix di
queste due istituzioni basilari a seconda delle simpatie ideologico-politiche
dei vari attori societari. È oggi diffuso il convincimento secondo il
quale il paradigma bipolare “stato-mercato” abbia ormai terminato il suo
corso storico e che ci si stia avviando verso un modello di ordine sociale
tripolare: pubblico, privato, civile. La modernità si è retta su due pilastri:
il principio di eguaglianza, garantito e legittimato dallo Stato; il principio
di libertà, reso fattivamente possibile dal mercato. La post-modernità
ha fatto emergere l’esigenza di un terzo pilastro: il principio di reciprocità,
che è la cifra delle organizzazioni della società civile” (39).
Ma questi segnali sono ancora poca cosa rispetto al fabbisogno di fraternità
occorrente ai nostri tempi, stante l’estensione e la gravità delle problematiche
da risolvere. Occorre prendere atto che nella società vi è anche un percorso
molto diverso che va in direzione opposta e che mina la sostenibilità
umana e ambientale.
Affinché il percorso verso la fraternità si consolidi e prevalga, abbiamo
un ostacolo da superare. Il processo aggregativo fraterno si trova, infatti,
ad affrontare un grande scoglio per superare il quale occorre un cambiamento
che questa volta necessariamente deve avvenire sul piano interiore in
quanto lo scoglio in questione si chiama “ego”. A nostro avviso, l’ulteriore
espansione orizzontale diventerà possibile se contestualmente avverrà
dentro di noi una espansione interiore. Una fraternità universale avvertita
interiormente è la premessa per l’ulteriore espansione orizzontale. È
il passaggio più difficile poiché siamo abituati a vivere di antagonismi
e protagonismi in quanto non riusciamo a percepire per davvero l’Unità.
Una certa tendenza atavica a suddividerci in clan per dare spazio ai nostri
antagonismi è alquanto diffusa nell’ambito spirituale e politico. Molti
preferiscono definirla libertà di opinione anche laddove si tratti semplicemente
di dare libera espressione alle rivalità e alle vanità egocentriche.
3.
Eppure, nel corso della storia abbiamo già sperimentato molteplici soluzioni
per la vita collettiva, sulle quali potremmo svolgere riflessioni forse
proficue.
Abbiamo pensato ingenuamente che l’umanità si sarebbe finalmente realizzata
in una società dove fossero stati presenti il mercato, luogo di libertà
e lo Stato, luogo di uguaglianza e solidarietà.
Poi abbiamo accettato passivamente la globalizzazione economica la quale
“incurante dei costi sociali ed ambientali, non ha portato libertà e democrazia:
il libero flusso dei capitali e di beni non ha nulla a che vedere con
la libertà umana; la libertà di comprare merci non ha nulla a che vedere
con i diritti umani fondamentali” (40).
Abbiamo provato a limitare la fraternità alla sfera della solidarietà
economica (una sorta di fraternità a buon mercato) cioè come misura economica
di sostegno del povero, ma anche questa modalità è entrata in crisi: il
nostro cambiamento interiore non può essere surrogato da una donazione
economica.
Abbiamo anche provato a derubricare la fraternità da filosofia di vita
a comportamento emergenziale al solo fine di lenire gli effetti indesiderati
del nostro sistema di vita: così abbiamo generato una fraternità emotiva,
snaturata nella sua portata civica innovativa. Anche per queste ragioni,
la cultura ha dato poco peso a una possibile formazione civica di una
coscienza fraterna, ritenendo quest’ultima, implicitamente, materia religiosa
di pertinenza delle istituzioni religiose.
Abbiamo provato sistemi di governo nei quali la fraternità era concepita
come legame tra le classi sociali oppresse di tutta la terra, ma poi non
siamo stati fraterni nemmeno con l’umanità più debole.
Abbiamo provato sistemi di governo i quali negavano, addirittura, l’idea
di fraternità tra gli uomini in quanto in natura esisterebbe soltanto
la superiorità di taluni esseri sugli altri e abbiamo constatato l’immane
dolore che abbiamo provocato.
Abbiamo sperimentato numerose volte, come laici e religiosi, la pratica
della violenza e del terrore “a fini buoni”, ma non abbiamo generato un
mondo migliore e abbiamo lasciato sul campo solo sofferenze.
Abbiamo provato a limitare la fraternità alla sfera del rito e della parola,
emarginando la purezza della vita vissuta e abbiamo constatato le patologie
che hanno colpito in modo drammatico la moralità delle Istituzioni religiose.
Abbiamo provato a limitare la cultura ad attività intellettuale avulsa
dai valori della vita vissuta: il nostro sapere è diventato, forse, insipido
e le istituzioni che lo rappresentano hanno perduto prestigio e credibilità.
Abbiamo anche congegnato una via giuridico-istituzionale per raggiungere
uno stadio prossimo al cosmopolitismo: abbiamo, infatti, dato vita a organizzazioni
sovranazionali al fine di prevenire le guerre, ma è stato tutto vano.
Si pensi alla breve storia della Società delle Nazioni (1919-1946) e al
ruolo dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite (1945). La stessa crisi della U.E. è significativa
della inadeguatezza di soluzioni formali non partecipate interiormente.
Abbiamo ritenuto che le nostre insoddisfazioni di uomini derivassero dai
limiti posti alla nostra componente istintuale e abbiamo messo in cantina
la nostra natura spirituale e l’idea di sacralità, per poi ritrovarci
a vivere una vita nociva anche per l’ambiente.
Abbiamo conosciuto uomini di potere che combattevano la religiosità e
le istituzioni religiose, ma che nel contempo volevano essere considerati
come divinità dal loro stesso popolo.
Abbiamo anche pensato, seguendo ciò che Rousseau
scriveva nel suo “Contract
social”, di introdurre una religiosità civile in luogo di quella tradizionale,
ritenuta deludente e avversaria del progresso sociale (41).
Abbiamo sminuito le pratiche spirituali ritenendole astratte ricerche
di un inesistente paradiso, e poi, invece, abbiamo legittimato, come conquista
di libertà, l’impiego di sostanze, ancorché dannose per la salute psico-fisica,
per permettere a tutti di trovare un pezzetto di paradiso artificiale.
Abbiamo criticato la religione perché ”oppio dei popoli” e poi abbiamo
scelto direttamente “l’oppio”.
Abbiamo voluto stabilire la nostra “residenza psichica” nelle cantine
e nel sottosuolo dell’essere umano con l’avallo del mondo culturale. Ora
fatichiamo a trovare la luce per risalire ai nostri piani elevati e ci
chiediamo con meraviglia cosa sia successo al genere umano.
Abbiamo voluto immaginare che la Natura fosse inanimata, inesauribile
e a completa disposizione dei desideri dell’Uomo, e talvolta abbiamo puntellato
questa deformante visione, addirittura, con argomenti religiosi. Così
siamo riusciti a depredare la Terra e a mettere in crisi la prosecuzione
della nostra esistenza biologica.
Abbiamo immaginato e sperimentato ogni sorta di soluzione per la vita
collettiva e parecchie illusioni si sono consumate nel corso della storia
passata. Ma non abbiamo ancora sperimentato, pur essendo a noi nota da
migliaia di anni, la fraternità “universale” partecipata interiormente.
L’auspicio di molti è quello di avviarci su questo cammino in quanto il
modello di una sola e grande famiglia appare l’unico, anche sul piano
logico, in grado di garantire la prosecuzione dell’esperienza umana sul
pianeta.
La generazione attuale e quella che sopraggiunge hanno il vantaggio rispetto
a quelle precedenti di poter constatare gli esiti prodotti nel corso dei
secoli dalle filosofie di vita, dai molteplici sistemi di governo, dalle
culture e dalle religiosità escludenti i valori di fraternità universale,
di empatia e cooperazione.
Non abbiamo alternative, le abbiamo provate tutte. Scrisse Berdjaev,
nella prima metà del secolo scorso: “Quando si sente che tutto è stato
sperimentato ed esaurito, quando la terra cede sotto i piedi come succede
ai giorni nostri […] quando tutto è messo a nudo e smascherato, allora
i tempi sono maturi per un movimento religioso nel mondo. Siamo arrivati
a questo punto, e sarebbe bene che ce ne rendessimo conto” (42).
Forse abbiamo bisogno anche di una grande e profonda riconciliazione. Dovremmo prendere atto e riconoscere gli errori compiuti nel passato da tutti noi, da tutte le anime laiche e religiose che hanno attraversato la nostra storia con il desiderio di cambiarla o custodirla e che spesso si sono aspramente combattute. Potremmo trarre motivi di riflessione dalle parole pronunziate da uno dei personaggi di Dostoevskij: “Io sono convinto, al pari di un bimbo, che le sofferenze saranno sanate e cancellate […] che in ultimo, alla fine del mondo, nel momento dell’eterna armonia, succederà qualcosa di sublime che basterà per colmare tutti i cuori, per placare tutte le indignazioni, per riscattare tutti i misfatti degli uomini, tutto il sangue da essi versato: e non solo allora si potrà perdonare, ma persino giustificare tutto ciò che è accaduto fra gli uomini” (43).
Dobbiamo renderci conto, osserva Morin, che “c'è una radice unica degli
uomini e che la loro dispersione attraverso lingue e culture è un fatto
secondo, che la differenza non è un fenomeno principale e, attraverso
le diverse culture e le diverse lingue, si sono manifestate molteplici
ricchezze… oggi dobbiamo sapere che questa diaspora è terminata, che è
giunto il momento della comunicazione e della riconciliazione, ma sappiamo
che la vera comunicazione non si realizza tramite le telecomunicazioni.
Dunque abbiamo ormai tutte le ragioni convergenti per considerarci cittadini
non solo del nostro paese o non solo nel nostro continente, ma cittadini
della Terra-Patria”
(44).
3. Riflessioni sul nostro travaglio individuale e collettivo. Le nostre scelte e l’emergenza di una nuova coscienza.
“Ciascuno di noi si trova di fronte a un bivio, tra due opposte attitudini o interpretazioni della vita che già abitano in noi: le tendenze a cooperare e quelle ad approfittare”
1.
Se osserviamo la società nella sua
profonda interiorità possiamo dire che essa si trova ad attraversare un
grande travaglio: dobbiamo passare da unione umana fondata sulla convenienza
degli interessi materiali (stadio fisiologico) ad una unione umana radicata
sulla coscienza dell’unità (stadio psicologico): "gli esseri umani
hanno iniziato col vivere isolati, ciascuna famiglia difendeva il suo
piccolo territorio. Più tardi, essi si sono costituiti in tribù, poi in
nazioni, e le società sono entrate in funzione come organismi viventi;
di esse si può dire che hanno raggiunto lo stadio fisiologico […] è ciò
che viene chiamato "commercio", e questa situazione è ovviamente
un progresso. È tempo però di andare oltre e lavorare per una fratellanza
umana: questo implica l'amore e la coscienza del legame profondo che esiste
tra gli esseri. È lo stadio psicologico. Finché le relazioni che gli esseri
umani intrattengono fra loro resteranno fondate sull'interesse, malgrado
tutto quello che potranno così guadagnare, essi sentiranno che manca loro
qualcosa, e la loro vita rimarrà priva di senso. Quel senso lo troveranno
solo se riusciranno a coltivare un atteggiamento fraterno, cioè se riusciranno
a comprendere che devono condividere con gli altri ciò che di meglio possiedono"
(45).
2. Se osserviamo la società sul piano socio-economico possiamo constatare
che ci troviamo davanti a un bivio tra due correnti che animano la società
e che sono in netta opposizione: da un lato abbiamo “la continua ascesa
del capitalismo globale, dall’altro abbiamo la costruzione di comunità
sostenibili. Il capitalismo globale essendo mosso da intenti predatori,
peraltro, autodistruttivi in quanto non sostenibili, cerca di massimizzare
le ricchezze di pochi e rafforzare il potere delle élite” (46). Sul fronte
opposto, abbiamo l’impegno alla progettazione e realizzazione di comunità
sostenibili da parte di studiosi e di operatori in direzione cooperativa,
fraterna ed empatica. In questo ultimo contesto si situa, ad esempio,
la progettazione ecologica la quale recepisce i “principi organizzativi
sviluppati dalla natura per proteggere la rete della vita: continuo riciclo
della materia, l’uso di energia solare, la biodiversità, la cooperazione...
fare progettazione in un contesto simile richiede un cambiamento radicale
del nostro atteggiamento nei confronti della natura: non più la ricerca
di ciò che possiamo estrarre dalla terra ma la ricerca di ciò che possiamo
imparare da essa” (47).
3. Se osserviamo la società in termini di singole individualità,
possiamo rilevare che ciascuno di noi si trova di fronte a un bivio, tra
due opposte attitudini o interpretazioni della vita che già abitano in
noi: le tendenze a cooperare e quelle ad approfittare. Dobbiamo scegliere
se identificarci con il sé profittatore, predatore o con il Sé empatico,
cooperatore e fraterno. Ciascuno di noi è consapevole di interpretare
nella vita, in proporzioni variabili, queste due parti. Mentre l’idea
della fraternità umana, occorre ammetterlo, è stata presente nella nostra
storia grazie all’impegno di pochi, l’impegno di molti si è concentrato,
soprattutto, a portare alle estreme conseguenze la tendenza egocentrica
nei vari campi della vita, noncuranti delle conseguenze provocate alla
comunità vivente. Adesso, a differenza di quanto è accaduto nel passato,
le conseguenze del nostro agire hanno raggiunto una soglia di particolare
gravità per la tenuta del nostro sistema.
Per tali ragioni, vi è una diffusa convinzione che in questa epoca siamo
chiamati, come singoli e come collettività, a non procrastinare la nostra
scelta di campo: non possiamo più limitarci a censurare i difetti dei
“potenti“ della terra al fine di non migliorare il nostro modo di vivere.
Dobbiamo avere il coraggio di autovalutarci e decidere. Nella nostra società
i segni di queste diverse possibilità espressive sono molto evidenti,
grazie anche alle “tecnologie sociali” che oggi ci permettono di conoscere
le energie che animano e circolano nella vita sociale.
4. Anche se, al momento, “l'umanità non riesce a nascere
come umanità” (48), c’è, comunque, un travaglio in corso, cioè sta emergendo
una nuova vita la quale ha bisogno di essere sostenuta con una nuova coscienza
del pianeta (49). Questa nuova vita porta con sé una nuova cittadinanza
sensibile ai valori di collettività e di universalità, che ha la capacità
di accedere al cuore degli altri e di percepire su di sé ciò che procura
agli altri con le proprie azioni. Una nuova cittadinanza non più antagonista
per diversità di vedute religiose o laiche. Una nuova cittadinanza grazie
alla quale comprendiamo di essere legati alla collettività e avvertiamo
che le relazioni con gli altri e con la Natura sono una parte profonda
della nostra stessa vita (50).
Questo nuovo stadio evolutivo verso una unione psicologica tra i popoli,
verso comunità sostenibili, verso la natura fraterna dell’uomo, malgrado
le apparenze, ad avviso di molti, è in corso di elaborazione. Non a caso,
una parte dell’umanità vive in questa direzione cooperativa. Anche la
Lubich
osserva che “le forti contraddizioni che segnano la nostra epoca necessitano
di un punto di orientamento altrettanto penetrante ed incisivo, di categorie
di pensiero e di azione capaci di coinvolgere ogni singola persona, così
come i popoli con i loro ordinamenti economici, sociali e politici. C'è
un'idea universale che è già un'esperienza in atto, e che si sta rivelando
in grado di reggere il peso di questa sfida epocale: la fraternità universale”
(51). Certamente, parliamo di una realtà “emergente” per significare che
essa sta solo germogliando (52).
5. Cercheremo nei moduli successivi di enucleare dalla realtà viva della società nella quale viviamo alcune linee di forza che comprovino queste tendenze. Cercheremo di dare voce a un pensiero autorevole che abita già il nostro presente. Ci soffermeremo su un percorso di cambiamento già avviato da una parte della società, supportato da una cultura orientata non solo allo studio ma anche alla realizzazione dei valori. Daremo atto di come e perché si sia levato fin dalla metà dello scorso secolo un intenso e rinnovato appello a una società animata da cooperazione fraterna (modulo 3), analizzeremo i fondamenti e i contenuti della cooperazione fraterna (moduli 4 e 5) e cercheremo di porre in luce le reali motivazioni oppositive all’accoglimento dei valori di fraternità (modulo 6). Analizzeremo le tappe del percorso di cambiamento, tenendo conto delle nuove evidenze scientifiche in tema di coscienza e processo cognitivo (modulo 7 -11). Cercheremo di riflettere sulle basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza, indagando sul processo interiore di adeguamento alle regole civiche (modulo 11 bis). Nell’ultimo modulo enunceremo linee di sviluppo di alcune attitudini civiche significative, per meglio esplicitare il senso concreto di queste possibilità di cambiamento che fanno parte delle corde intime e autentiche del nostro essere.
1. E. Morin, Ripensare la politica, www.indire.it.
2. R. Zoll, Solidarietà cit.
3. Ibidem.
4. M. Salvati, Solidarietà: una scheda storica, www.fondazionebasso.it;
A. Lay, Un'etica per la classe: dalla fraternità universale alla solidarietà
operaia, Rivista di storia contemporanea, n. 3/1989, p. 320.
5. A. Colombo, Etica e società di giustizia, a cura di L. Tundo, Dedalo,
2001, p. 26 e segg. Cfr. Idem, L'utopia: rifondazione di un'idea e di
una storia, Dedalo, 1997, p. 166 e segg.
6. R. Zoll, Solidarietà cit.
7. Il termine millenarismo “è stato coniato per designare la credenza,
diffusasi fra le prime comunità cristiane, nell'imminente avvento del
Regno di Cristo in terra, riservato ai giusti e, secondo una tradizione
consolidata, destinato a durare mille anni. Progressivamente l'area semantica
del termine millenarismo si è dilatata fino a comprendere ogni movimento
di protesta che sia animato dalla fede in una età futura... nella quale
regnerà sovrana la giustizia e tutti i mali inerenti alla condizione umana
saranno eliminati” L. Pellicani, Millenarismo, Enciclopedia delle scienze
sociali, Treccani, 1996. Le diverse interpretazioni relative al significato
del periodo dei “mille anni” si appuntano sul testo dell’Apocalisse di
San Giovanni.
8. K. Mannheim, Ideologia e utopia, il Mulino, 1970.
9. La Chiesa prese le distanze sia in termini dottrinari che di azione
concreta “nei confronti del millenarismo, presentando il Regno di Dio
come una rivoluzione puramente spirituale, una renovatio in interiore
homine” L. Pellicani, Millenarismo cit.
10. Ibidem. Cfr. F. Engels, La guerra dei contadini in Germania",
Edizioni Rinascita, 1949.
11. Oeuvres de Mirabeau, Tome I, Paris, 1834, p. 196.
12. M. Proudhon, Qu’est-ce que la propriété?, Paris, 1841, pp. 312-313.
13. Si legge nel sito istituzionale dell’Unione europea: ”L'inno simbolizza
non solo l'Unione europea, ma anche l'Europa in generale. L'Inno alla
gioia esprime la visione idealistica di Schiller sullo sviluppo di un
legame di fratellanza fra gli uomini, visione condivisa da Beethoven.
Nel 1972 il Consiglio d'Europa ha adottato il tema dell'Inno alla gioia
di Beethoven come proprio inno. Nel 1985 è stato adottato dai capi di
Stato e di governo dei paesi membri come inno ufficiale dell'Unione europea.
Senza parole, con il linguaggio universale della musica, questo inno esprime
gli ideali di libertà, pace e solidarietà perseguiti dall'Europa” www
europa.eu.
14. L. Pellicani, Millenarismo cit.
15. F. Schlegel, Frammenti critici e scritti di estetica, citato da U.
Galimberti, Psiche e Techne, Feltrinelli, 2004, p. 290.
16. L. Pellicani, Millenarismo cit. Nello stesso senso, Millenarismo,
Dizionario di storia, 2010, Treccani; N. Cohn, I fanatici dell’Apocalisse,
Comunità, 1965, p. 342 e segg.
17. Il puritanesimo si sviluppò dapprima in Inghilterra tra il 1500 e
il 1600, e poi in America. I puritani propugnavano una visione rigorista
della Chiesa Anglicana.
18. J. Maritain, Cristianesimo e Democrazia, Vita e Pensiero, 1977, p.
31 e segg. Osserva Baggio che a ben vedere il trittico rivoluzionario,
“nella sua espressione politica, è piuttosto la creazione collettiva di
un’epoca, troviamo i tre principi nelle opere di alcuni autori cattolici
a partire dal Seicento... sono dunque i cristiani ad immettere nel circuito
della cultura europea i principi del trittico. La successiva operazione
degli illuministi è molto semplice: recepiscono tali principi, ma li strappano
dal cristianesimo” A.M. Baggio, L'idea di "fraternità" tra due
Rivoluzioni cit. Baggio segnala tra i contributi rilevanti anche quello
offerto “da François Fénelon, nelle sue Avventure di Telemaco, che ebbero
grande diffusione nel Settecento... Così Fénelon descriveva gli abitanti
della mitica Bétique: “Vivono tutti insieme senza dividere le terre, ogni
famiglia è governata dal proprio capo, che ne è l’autentico re… tutti
i beni sono in comune... così, non hanno affatto interessi da sostenere
gli uni contro gli altri, e si amano tutti di un amore fraterno che niente
offusca. È la soppressione delle vane ricchezze e dei piaceri fallaci,
che conserva loro questa pace, questa unione e questa libertà. Essi sono
tutti liberi e tutti uguali”. Il prestigio di Fénelon trasmette lungo
il Settecento questa combinazione di principi che costituisce una vera
e propria bomba ad orologeria, destinata a scoppiare nell’epoca successiva:
è infatti una formula che fa intravedere la possibilità di un diverso
ordine sociale, organizzato dal basso” ibidem. Nella stessa direzione
si è affermato che ”les notions de liberté, d’égalité et de fraternité
sont associées par Fénelon vers la fin du XVIIe siècle, elles se répandent
largement au siècle des Lumières pour finalement devenir une devise de
la Révolution française” O. Inkova, Justice, Liberté, Egalité, Fraternité
cit., p. 3.
19. E. Bloch, Thomas Münzer teologo della rivoluzione, Feltrinelli, 1980,
p. 6. La citazione è tratta da G. Lettieri, Un dispositivo cristiano nell’idea
di democrazia? Materiali per una metodologia della storia del cristianesimo
in A. Zambarbieri e G. Otranto, Cristianesimo e democrazia, Edipuglia,
2011.
20. J. Maritain, Cristianesimo e Democrazia cit., p. 31 e segg.
21. A. Colombo, Il processo cosmopolitico, le sue radici stoiche e religiose,
in Cosmopolitismo contemporaneo: moralità, politica, economia, a cura
di L. Tundo Ferente, Morlacchi, 2009, p. 29.
22. Ibidem. La storia del cosmopolitismo genericamente inteso “ha origini
antiche. Una storia che parte fin dagli albori della filosofia e della
civiltà occidentale: la Grecia del VI secolo prima di Cristo. Quando il
termine kosmos indicava un tutto ordinato universale e per tutti, come
voleva già Eraclito, senza arrivare ad attribuirgli però alcun significato
etico-politico” Cosmopolitismo, Enciclopedia Treccani.
23. G. Mazzini, I sistemi e la democrazia. Pensieri. Citazione da M. Viroli,
La dimensione religiosa del risorgimento cit.
24. M. Viroli, La dimensione religiosa del risorgimento cit. “Per quanto
possa sembrare inverosimile, lo spirito più religioso del Risorgimento
fu forse Garibaldi, l’acerrimo nemico del papato e del clero [...] accolse
il contenuto morale del cristianesimo rifiutandone però completamente
dogmi, riti e politica della Chiesa cattolica. Quando andò per la prima
volta a Roma, nel 1825, scrisse: «capitale del mondo [...] culla di quella
santa religione di cui i primi apostoli furono i maestri delle nazioni,
gli emancipatori dei popoli, ma i cui successori degeneri, imbastarditi,
mercanti, veri flagelli dell’Italia hanno venduto allo straniero». Distingueva
benissimo fra preti e preti, tant’è vero che di don Giovanni Verità, parroco
di Modigliana, che lo aiutò a salvarsi in Toscana dopo la caduta dalla
Repubblica Romana e il fallito tentativo di raggiungere Venezia, scrisse
che era «un vero sacerdote di Cristo e qui per Cristo intendo l’uomo virtuoso
e legislatore, non quel Cristo fatto Dio dai preti, e che se ne servono
per coprire la fallacia della loro esistenza»”, ibidem.
25. U. Galimberti, Idee: il Catalogo è questo, Feltrinelli, 1999, p. 221
e segg.
26. Idem, Disegnare il tempo. Storia occidentale di un enigma, Repubblica,
4 Luglio 2010.
27. Ne prende atto con rilievi critici C. Lasch, Il paradiso in terra.
Il progresso e la sua critica, Feltrinelli, 1992, p. 35.
28. E. Morin, Ripensare la politica cit.
29. A.M. Baggio, La fraternità: una sfida politica cit.
30. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., pp. 350-351.
31. E. Morin, Elogio della metamorfosi, La Stampa, 14 gennaio 2010.
32. J. Rifkin, op.cit., p. 159. Questo autore osserva che “nell'era dell'empatia
è inevitabile che la spiritualità sostituisca la religiosità. La spiritualità
è un viaggio di scoperta strettamente personale, nel quale l'esperienza
incarnata, come regola generale, diventa la guida per creare connessioni,
e l'empatia lo strumento per promuovere la trascendenza” ibidem.
33. E. Laszlo, Tu puoi cambiare il mondo, Riza, 2002.
34. L. Boff - M. Hathaway, op. cit., pp. 559-560.
35. J. Le Goff, La fraternité, une contre-culture? Le droit à la fraternité
n’existe pas, Revue Projet n. 329/2012, www.ceras-projet.org.
36. Questa ultima prospettiva si attaglia, ad esempio, al popolo latino
americano: “il principio di fraternità quasi assente dall’ampio corpus
dei testi che compongono il cosiddetto pensiero latinoamericano... ha
avuto un ruolo nel processo che ha condotto alla costituzione di un «soggetto
storico collettivo», che può essere definito come «popolo» o «i popoli»:
la fraternità agisce dunque nella promozione dell’identità storica latinoamericana.
Questo processo attinge le sue radici intellettuali nella Scuola di Salamanca,
ma si forma accogliendo anche l’influsso dell’illuminismo” D. Ighina,
Spunti per una ricerca sul principio di fraternità nel pensiero latinoamericano,
in Nuova Umanità XXIX (2007/3) 171, pp. 399-409.
37. A. Martinelli, Progetto 89 cit., p. 44.
38. Ci ricorda Viroli che Simonde de Sismondi nella sua Histoire des républiques
italiennes du moyen âge scriveva: “«Seroit-il impossibile de dire à quel
degré une fausse instruction religieuse a été funeste à la morale en Italie.
Il n’y a pas en Europe un peuple qui soit plus constamment occupé de ses
pratiques religieuses [...]. Il n’y en a pas un qui observe moins les
devoirs et les vertus que prescrit ce christianisme auquel il paroît si
attaché». Cioè… gli italiani sono diventati maestri nell’arte di mettere
a tacere la voce della coscienza e di coprire con una superficiale devozione
la mancanza di vero senso morale: «chacun y a appris, non point à obéir
à sa conscience, mais à ruser avec elle; chacun met ses passions à leur
aise, par le bénéfice des indulgences, par les restrictions mentales,
par le projet d’une pénitence, et l’espérance d’une prochaine absolution;
et loin que la plus grande ferveur religieuse y soit une garantie de la
probité, plus on y voit un homme scrupuleux dans ses pratiques de dévotion,
plus on peut à bon droit concevoir contre lui de défiance»” M. Viroli,
La dimensione religiosa del risorgimento cit.
39. S. Zamagni, Relazione annuale per il terzo settore cit. Cfr. L. Bruni,
S. Zamagni, Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Il
Mulino, 2004.
40. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 474.
41. Ricorda Viroli, La dimensione religiosa del risorgimento cit., che
“nelle repubbliche che fiorirono in Italia fra il 1796 e il 1799, all’ombra
delle armate napoleoniche, nacque e fece adepti una nuova religione che
si proclamava civile repubblicana o democratica. Profeta della nuova fede
era Jean-Jacques Rousseau; la nuova bibbia il Contrat social. Come Machiavelli,
Rousseau riteneva che le repubbliche avessero bisogno della religione
per nascere e per conservarsi”.
42. N.A. Berdjaev, Nuovo medioevo, Fazi, 2004, p. 189.
43. F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Einaudi, p. 251 e segg.
44. E. Morin, Ripensare la Politica cit. Cfr., infra, modulo
12/14.
45. O.M. Aïvanhov, Il lavoro per la fratellanza in La chiave essenziale
per risolvere i problemi dell’esistenza, Prosveta, 2003; Idem, Pensieri
Quotidiani, 24 ottobre 2008, Prosveta.
46. F. Capra, Introduzione a L. Boff - M. Hathaway, op.cit, p. 13 e segg.
47. Cfr. ivi, p. 16 e segg. ove sono indicati esempi di progettazione
ecologica.
48. E. Morin, Ripensare la Politica cit.
49. S. Manghi, Educarci alla Società mondo, in G. Chiosso, a cura di,
Sperare nell’uomo. Giussani, Morin, McIntyre e la questione educativa,
SEI, 2009, p.112 e segg.
50. Cfr. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 27 ottobre 2006, Prosveta.
51. C. Lubich, Messaggio al Convegno "Ciudades por la unidad",
Rosario, Argentina, 2 giugno 2005.
52 E. Cheli, L'Età del Risveglio Interiore, Franco Angeli, 2001, p. 177.
Mappa cliccabile degli argomenti |
Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità. |
||
Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale |
|
Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza. |
La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività. |
|
Modulo 4. Il nuovo senso civico dello stare insieme in collettività, nella Rete della Vita. Il contributo della scienza .... Modulo 5. L’atto di cooperazione fraterna non è atto di impoverimento o di accettazione passiva dell’altrui egocentrismo Modulo 6. Perché il nostro “Io” si oppone alla cooperazione? Modulo 7. La nostra scelta avanti al bivio: Modulo 8. Il ruolo della coscienza e del modo di vivere per il cambiamento. Modulo 9. La moralità della vita vissuta condiziona i processi cognitivi.... Modulo 10. Gli apporti cognitivi dell’intelligenza del cuore. Modulo 11. Occorre superare il distacco tra cultura e modo di vivere... |
Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale... |
|
Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche |