Modulo 10. Gli apporti cognitivi dell’intelligenza del cuore. L’intelletto “rischia di non sapere e di non vedere se elimina le emozioni che illuminano la ragione di interiorità... " |
1. Gli apporti dell’intelligenza del cuore ai processi cognitivi e comportamentali
2. Intervenire alla fonte: la rilevanza degli atti più semplici del vivere quotidiano
3. Vivere il proprio importante presente
1. Gli apporti dell’intelligenza del cuore ai processi cognitivi e comportamentali.
“Se diciamo che una persona è «sensibile» … intendiamo che è più di altri capace di discriminazione e quindi di verità nell'esercizio del sentire”
Abbiamo
accennato precedentemente (modulo
IX) al fatto che le funzioni razionali non sono completamente separate
o separabili da quelle emotive: “i sentimenti e le emozioni non sono degli
intrusi nelle mura della ragione” (1). A ben vedere non c'è attività razionale
che non contenga una qualche componente affettiva e non c'è componente
affettiva che non contenga qualche elemento conoscitivo e perfino logico
(2). In altri termini non si può congetturare su una purezza della ragione
posto che ciò “nei termini della ricerca neurofisiologica coinciderebbe
con una rigida separazione fra le basi cerebrali delle funzioni cognitive
e quelle delle funzioni emotive“ (3).
Ma a noi preme sottolineare non tanto l’infondatezza di una rigida separazione
tra le due funzioni, quanto l’importanza dei sentimenti sul piano cognitivo,
già menzionata. Nella direzione tesa a rivalutare il ruolo dell’esperienza
affettiva anche sul piano cognitivo, De
Monticelli ci invita a superare due impostazioni tradizionali che
si sono rivelate erronee o insoddisfacenti. Queste impostazioni tendono
a contrapporre la ragione agli affetti, la mente al corpo. Entrambe riconoscono
agli affetti un qualche valore di orientamento, una utilità ma non un
valore cognitivo: ”La prima teoria, chiamata «classica», relega l'esperienza
affettiva nella sfera della «soggettività» pura e semplice, privandola
di ogni apertura al vero, fosse pure quello morale o più generalmente
assiologico, cioè delle qualità di valore […]. La seconda teoria caratteristica
del modello freudiano o forse della sua vulgata […] sembra condividere
questa tesi di inanità cognitiva degli affetti […] anche se accoglie una
parte dei dati che la teoria precedente sembra ignorare” (4). Invece,
osserva De Monticelli, “il linguaggio comune è assai più sensibile alle
differenze nei fenomeni. Se diciamo appunto che una persona è «sensibile»
non intendiamo affatto dire che è eccitabile, e neppure che manca di obiettività,
al contrario intendiamo che è più di altri capace di discriminazione e
quindi di verità nell'esercizio del sentire” (5).
Infatti, l’intelletto “rischia di non sapere e di non vedere se elimina
le emozioni che illuminano la ragione di interiorità […]. Gioie, ricordi,
conoscenze arricchiscono la vita e acuiscono la sensibilità” (6). Sostiene
Damasio
che l’eventuale assenza in un individuo di emozioni e sentimenti è molto
dannosa per la stessa attività razionale (7).
In effetti, la comprensione cerebrale esprime una comprensione parziale
se non è arricchita dal sapere del cuore. La cultura generata dalla sola
visione intellettuale, essendo espressione di una parte dell’organismo,
cioè di una limitata fonte di conoscenza del reale, è parziale.
A causa della emarginazione del cuore nei processi cognitivi e comportamentali,
per molto tempo, abbiamo praticato una sorta di connubio tra l’intelletto
e il sé egocentrico, dal quale sono scaturite le principali interpretazioni
della nostra vita individuale e sociale. Evidentemente, le criticità in
questione non si situano nell’intelletto in se, che è uno strumento indispensabile,
ma nel suo impiego al servizio esclusivo del nostro “sé egocentrico” portatore
delle nostre ambizioni egocentriche. La nostra identità per troppo tempo
si è adagiata su questa sinergia. In questa prospettiva, si spiegano numerose
scelte: l’istruzione diventa uno strumento per ricoprire le migliori posizioni
sociali ed economiche; la natura e la società diventano per il nostro
“Io” come un quid di separato ed esterno, suscettibili entrambe di possibile
sfruttamento impietoso, sia che si tratti di risorse umane o naturali;
il nostro “Io” non riconosce e valorizza la voce del cuore da cui pure
traiamo forza e vita; nessuna considerazione, nessuna gratitudine per
il lavoro delle nostre cellule e dei nostri organi del corpo che ci permettono
di vivere; gli atti della vita quotidiana possono essere vissuti in modo
automatico e prosaico, in quanto non dànno gloria, prestigio o vantaggi
sociali; mangiare, respirare... tutto è scontato, privo di sacralità.
La visione del solo intelletto, declassando il cuore a istinto emozionale,
non è intelligente e ci sta conducendo fuori strada. La visione della
globalizzazione economica incarna bene questa parzialità egocentrica:
il profitto di alcuni è più importante della stessa sostenibilità ambientale
e sociale della Natura e della Umanità. Ma dare vita a un nuovo connubio
tra “intelletto e cuore “cooperatore” (Sé superiore o fraterno) non è
facile. L’intelletto al servizio del sé inferiore si oppone al cambiamento
interiore, a una possibile civiltà empatica in quanto in essa non avrebbe
modo di alimentarsi. L’esatto opposto vale per la nostra natura superiore:
di qui il duro travaglio che stiamo vivendo.
Se l’analisi è esatta, si spiega perché l’alfa del cambiamento risieda,
come già più volte segnalato, nell’assumere quale proprio punto di vista
non il sé inferiore, profittatore, ma quello superiore, cooperatore, da
subito, cioè già nei momenti sorgivi della nostra intersoggettività e
della nostra quotidianità.
La generazione attuale, afferma Aïvanhov, “ha dato grande peso al ruolo
dell'intelletto perché esso ha offerto grandi opportunità materiali, tecniche,
economiche. I nostri contemporanei hanno attribuito il predominio all'intelletto
senza conoscere bene la vera natura di questa facoltà. L'intelletto non
ha in sé alcuna moralità: cerca, trova, inventa, archivia, combina, senza
preoccuparsi dei modi in cui le sue invenzioni saranno utilizzate. Se,
a fronte dell'intelletto, il cuore non riprende il posto che deve essere
suo, sarà la fine dell'umanità […] perché l'intelletto spinge sempre gli
uomini sulla via dell'egoismo, del dominio, dell'ingiustizia, dell'asservimento
degli esseri e di tutta la natura” (8).
Le conoscenze intellettuali, come la volontà, sono fondamentali, imprescindibili,
ma non hanno una intrinseca direzione morale. La direzione dobbiamo imprimerla
noi integrando nelle nostre scelte il cuore. Precisamente, dobbiamo far
partecipare alle nostre scelte il cuore “spiritualizzato”, cioè animato
da desideri elevati al fine di orientare l'intelligenza e la volontà verso
il lato costruttivo dell’esistenza. E questo lo sanno bene coloro che
si impegnano con disinteresse per aiutare la collettività nei vari settori
della vita. Il cuore è profondamente intelligente e non può essere considerato
quale fonte emozionale legata alla ricerca dei piaceri.
Vi è una generale condivisione sul fatto che la deviazione dal modello
ottimale di umanità, possibile ed esperibile concretamente, è, soprattutto,
provocata dal fatto di aver estromesso il cuore dalla partecipazione ai
processi cognitivi e comportamentali. Ciò ha comportato lo sviluppo eccessivo
dell’attività intellettuale, il nostro allontanamento interiore dalla
Natura, la messa in secondo piano dei valori di collettività, l’accentuarsi
dell’isolamento, delle divisioni e delle separatività tra gli uomini.
Non si tratta qui di richiamare un approccio sentimentale, romantico o
una semplice valorizzazione dell’intelligenza emotiva. Vi è di più. Il
cuore, come ha ben messo in luce Aïvanhov, ci parla realmente di collettività,
di fraternità e di Unità. Il cuore apporta una energia morale che gli
è propria, poiché egli pulsa per tutto l’organismo e non per se stesso.
Infatti, molti convengono sul fatto che se vogliamo decidere di porre
l’intelletto al servizio del “Sé superiore” dobbiamo far ricorso al cuore
riabilitato nelle sue nobili funzioni. Come ricorda Fiotr Capra il cuore
non è mai stato considerato nella storia soltanto come un organo del corpo,
in quanto è stato ritenuto sede di “funzioni” diverse da quelle notorie:
“In tutte le epoche il cuore è stato, oltre che un organo del corpo, un
simbolo della vita e dell'emotività umane. Esso è idealmente associato
a molti sentimenti, tra i quali l'amore occupa probabilmente il primo
posto; «avere a cuore» qualcuno o qualcosa significa dargli grande importanza;
una persona «di cuore» è sensibile e generosa; dire che qualcosa «viene
dal cuore» equivale a dire che è vera e spontanea; «non avere la coscienza
e i sentimenti era molto più che un espediente retorico. Dall'antichità
al Medioevo il cuore fu considerato un organo a parte […]. Per Aristotele
il cuore era non solo il centro della vita dell'organismo ma anche
la sede dell'anima, quindi dell'intelligenza, del movimento e della sensibilità.
Galeno,
la suprema autorità medica dell'antichità, metteva in risalto la «nobiltà»
del cuore aggiungendo che pur potendo sembrare un semplice muscolo, in
realtà era qualcosa di affatto diverso. Secondo Galeno […] la sua espansione
e contrazione erano indicative del suo ruolo di organo dell'intelligenza.
Avicenna,
che tentò una sintesi dell'anatomia di Aristotele e della fisiologia di
Galeno, fece del cuore l'organo centrale e più importante, ma asserì che
essendo intelligente poteva delegare alcune sue funzioni agli altri organi
- in particolare al cervello” (9).
Lo stesso Platone
che non era un sostenitore della tesi cardiocentrica (seconda la quale
il cuore è la sede del pensiero) riconosceva comunque al cuore un ruolo
pedagogico, se così possiamo dire: “Il cuore nodo delle vene e sorgente
del sangue circolante con impeto per tutte le membra, lo stabilirono nel
posto di guardia, affinché, quando la forza dell’ira ribollisse, avvertita
dalla ragione che qualche opera ingiusta si compie dal di fuori rispetto
alle membra o anche per gli appetiti di dentro, subito mediante tutti
i canali tutte le parti sensibili del corpo, sentendo le ammonizioni e
le minacce, divenissero docili e le seguissero pienamente e così lasciassero
dominare la parte migliore di tutte” (10). D’altronde, si è detto, non
a caso, che la sensibilità è la sentinella delle facoltà morali, in quanto
fornisce con immediatezza un senso del giusto, agendo come una sorta di
riflesso acquisito per il bene morale (11).
Ci ricorda ancora Aïvanhov che il cuore “lavora giorno e notte, non riposa
mai, si sacrifica per tutto il corpo, nutre il cervello e anche l’intelletto…
Il cuore non è egoista, è il più generoso, altruista, il più fedele. Esso
fornisce instancabilmente energie per mantenere tutte le cellule, ed è
per questo è stato scelto come simbolo di altruismo, amore e sacrificio”
(12).
Anche Boff
ritiene necessario ricorrere a una “ragione cordiale” (13) e attribuire
al cuore un ruolo importante nella conoscenza del reale: “Chi ha colto
in maniera geniale questa dimensione del pathos è stato Blaise Pascal,
uno dei fondatori del calcolo delle probabilità e costruttore di calcolatrici,
il quale ha affermato che i primi assiomi del pensiero nascono da un’intuizione
del cuore e che spetta al cuore porre le premesse di tutta la conoscenza
possibile del reale. L’analisi empirica di David
Goleman, con la sua Intelligenza emotiva, è venuta a confermare ciò
che affermava una certa tradizione filosofica, Agostino,
Bonaventura,
Pascal,
Heidegger
[…]. La mente è incorporata nelle emozioni, cioè l’intelligenza è satura
di emozioni. È in esse che si elabora l’universo dei significati e del
senso esistenziale. La conoscenza attraverso il pathos avviene in un processo
di sim-pathia, cioè di comunione con il reale, soffrendo e gioendo con
esso e partecipando del suo destino. Tale comprensione compensa il vasto
razionalismo della cultura contemporanea, egemonizzata dalla ragione strumentale-analitica.
È importante riscattare il cuore, sede dei sentimenti profondi e dei valori,
e la ragione cordiale che lo articola con le altre forme di esercizio
della ragione” (14).
Anche Serres ha colto questo bisogno di rinnovamento quando ha scritto
che occorre una “Riforma dell’intelletto”: “L’homo detiene l'intelligenza.
Non ha cessato di utilizzarne la potenza, ma più spesso per dominare,
diventare il più forte, annientare tutte le cose e tutti gli umani al
suo passaggio […] armato della sua intelligenza, ha vinto la natura e
i suoi pari miserabili, nel corso di un'evoluzione guerriera che termina
su questa vittoria, trionfo tuttavia così paradossale, che potrebbe, in
cambio, trascinare la specie allo sradicamento”. E Serres si chiede: ”come
evitare questa disfatta? Cambiando l'arma minacciosa: l'intelligenza.
Tuttora orientata dal lato del veleno e della zanna, essa deve mutare,
il più presto possibile, e sotto rischio gravissimo, dalla volontà di
potenza alla condivisione, dalla guerra alla pace, dall'Odio all’Amore”.
Questa parola, aggiunge Serres,
può sembrare “utopica e fiacca. Anche femminile, forse! E tuttavia, oggi,
la dolcezza che essa implica non significa soltanto tenerezza, mansuetudine
e pace, ma definisce anche un insieme di saperi, di tecnologie e di pratiche”
(15).
Ma se noi continueremo ad identificarci con la realtà dei desideri egocentrici
(espressivi del “sé inferiore”), non risuciremo a cambiare la direzione
delle nostre facoltà intellettuali e la nostra coscienza continuerà a
non percepire la visione del cuore: il cuore ci parlerà di disinteresse
e di unità e noi, invece, parleremo di attaccamento al nostro interesse
e di separatività, pensando di difendere, in tal modo, ancora meglio il
nostro interesse. Ed ecco perché non riusciamo ad affrontare la famosa
questione morale in quanto pensiamo di poterla risolvere solo intellettualmente
cioè con le sole misure formali, mentre dovremmo coinvolgere il cuore
e la sua intelligenza fin dalla prima educazione. Senza la partecipazione
interiore, le misure correttive sono votate all’insuccesso (cfr. modulo
XI).
Ma adesso che una parte crescente dell’umanità sta perdendo l’accesso
alle risorse materiali, ci si accorge che tutta la vita economica e sociale
è organizzata intellettualmente, ma non con intelligenza. Una parte della
classe dirigente, purtroppo, non dà spazio, sul piano cognitivo, agli
ideali e al cuore. Molti ritengono, effettivamente, che sia affetto da
stupidità l’agire per il bene della collettività, senza avere un tornaconto
personale. Questa affermazione è diventata quasi un luogo comune e ciò
attesta in che misura ci siamo allontanati dalla nostra naturale umanità.
Tutto sommato, si tratta di una sorta di patologia, per certi versi, pure
“infettiva”, nel senso che i cattivi comportamenti, se amplificati, si
diffondono vertiginosamente nei comportamenti sociali. Ma se arriviamo
a riequilibrare il processo cognitivo, la coscienza si risveglia e ritorniamo
sensibili alle nozioni di collettività: anche se fisicamente siamo esseri
separati, sul piano psichico percepiamo gli altri come una sorta di ulteriore
manifestazione di noi stessi (16). Quando ciò accade, non ci lasciamo
divorare da desideri di potere e di vanità e siamo ben disposti ad agire
per il bene della collettività. Concordiamo, quindi, anche con Morin quando
afferma che occorre una capacità cognitiva allargata e che servono approcci
sistemici per ricomporre e ritrovare l’unità della vita.
2. Intervenire alla fonte: la rilevanza
degli atti più semplici del vivere quotidiano.
“La visione intellettualistica, a causa della sua parzialità ‘cognitiva’, non coglie la rilevanza degli atti quotidiani”
Sulla
base delle precedenti riflessioni possiamo affermare in modo netto che
la nostra coscienza, riflesso della vita del nostro organismo, può espandersi
e illuminarsi se riusciamo a migliorare la vita del nostro organismo fisico,
psichico e mentale, cioè il modo di vivere quotidiano che è effettivamente
la chiave di volta del cambiamento in quanto esprime la summa del nostro
essere. Non esiste un’altra modalità reale.
La qualità impressa agli atti della nostra vita quotidiana costituisce,
dunque, l’unica strada per percorrere l’espansione della coscienza dal
sé egocentrico al Sé superiore, cioè alla coscienza fraterna ed empatica.
Identificarsi con la natura superiore nel compimento degli atti della
vita di tutti i giorni è la soluzione prioritaria per agire beneficamente
sulla coscienza. L’esperienza vissuta in modo consapevole è, infatti,
“un tipo particolare di processo cognitivo“ (17). Se la nostra coscienza
è in una cantina, noi prenderemo consapevolezza delle cose che vivono
in quell’ambiente e quella sarà la nostra verità. Se la coscienza sale
sul terrazzo, simbolicamente, il raggio di azione della visuale cambierà
e così pure la nostra verità relativa (18). Come è stato affermato: “la
volta appiattita del cielo e il centinaio di cose che vediamo sotto di
essa, e fra esse il cervello, in sintesi il mondo intero, esistono per
ciascuno di noi solo perché fanno parte della nostra coscienza” (19).
Se la coscienza riflette la qualità del nostro modo di vivere, migliorando
la qualità delle esperienze, automaticamente, miglioriamo la nostra coscienza
e influenziamo beneficamente la società. La parola “esperienza” ingloba
anche gli atti semplici della vita di tutti i giorni, quegli atti che
per noi hanno perduto significato in quanto sono divenuti automatici.
Alcuni pensatori hanno osservato giustamente che per ampliare il senso
del Sé dobbiamo migliorare la capacità di provare empatia e compassione
(20). Secondo questi autori, la prospettiva verso l’empatia e la compassione
si può concretizzare, tenendo presente che la “nozione della profonda
connessione con la Terra e i suoi processi evolutivi è già presente in
noi grazie all’inconscio ecologico. Non deve essere creata ex nihilo;
piuttosto va risvegliata attraverso un processo che ne riporti alla coscienza,
la memoria profonda. Questo risveglio deve essere alimentato dall’amore,
dalla bellezza e dalla maraviglia: forze che ci aprono alla parte migliore
di noi” (21). Ma va detto che questa importante capacità può essere acquisita
solo concretamente cioè integrando questi valori nel proprio organismo
quando vive e agisce anche negli atti più piccoli del vivere quotidiano:
“C'est pourquoi vous devez améliorer votre façon de vivre, de penser,
de sentir, de vous nourrir, d'aimer…” (22).
La forza del cambiamento non può prescindere dagli atti quotidiani ritenuti
“piccoli” soltanto a causa di una nostra visione abitudinaria della vita.
In effetti, la visione intellettualistica, a causa della sua parzialità
“cognitiva”, non coglie la rilevanza degli atti quotidiani. Il metro valutativo
implicito nella visione intellettualistica valorizza nella vita ciò che
procura vantaggi personali. Infatti, i comportamenti umani, essendo sempre
più focalizzati sul particolare, sono diventati sempre più pericolosi
per la sostenibilità umana e sociale.
Eppure, nelle piccole cose vi è la forza per poter fare cose più grandi.
Sono proprio gli atti quotidiani ritenuti “piccoli” quelli che imprimono
le qualità alla nostra giornata, sui quali possiamo radicare atti più
complessi. Infatti, Madre
Teresa di Calcutta affermava, prendendo spunto dai Vangeli,:
“Siate fedeli nelle piccole cose, perché è in esse che sta la vostra forza”
(23). Questa non è una affermazione retorica o una frase ad effetto. Spiega,
infatti, Aïvanhov che se vogliamo controllare le energie occorre risalire
alla loro fonte, così se vogliamo orientare i nostri sentimenti e pensieri,
dobbiamo agire fin dai piccoli atti quotidiani: ”la padronanza di sentimenti
e pensieri la si raggiunge più facilmente cominciando a sorvegliare i
gesti che si fanno nella vita quotidiana […] è così che a poco a poco
si acquisiscono maggiori possibilità psichiche […]. Dite di non vederne
il rapporto? Eppure esiste: finché non avrete imparato a dominarvi in
ogni minimo dettaglio della vita quotidiana, non potrete dominare la collera,
la cupidigia, il disgusto, la sensualità, il desiderio di vendetta” (24).
Anche nell’antichità questi esercizi venivano praticati, come ha evidenziato
Hadot:
“esercizi pratici che specialmente Plutarco
ha descritto con notevole precisione: controllare la collera […] le proprie
parole, il proprio amore della ricchezza, cominciando a esercitarsi nelle
cose facili per acquistare a poco a poco un'abitudine stabile e solida”
(25).
Dobbiamo auspicarci che questo straordinario sapere elaborato da una umanità
evoluta non venga più messo da parte o cloroformizzato dai dibattiti “intellettuali”,
ma venga riportato nella vita, reso accessibile e apprendibile dal maggior
numero di persone. Il progresso spirituale del quale parla la nostra Costituzione
non può prescindere dalla condivisione della cultura che promuove una
autentica crescita e libertà.
Riprendendo la riflessione precedente, dobbiamo aggiungere che intervenire
alla fonte per rinnovare le nostre energie, vuole dire intervenire sui
momenti sorgivi (ma non solo, evidentemente) del nostro essere relazionale
per rendere possibile il cambiamento. Occorre vivere l’energia di vita
che ci attraversa con gratitudine e impegno costruttivo. La corrente fraterna,
cooperativa può sgorgare dalla nostra fonte ed esprimersi nella socialità
umana se essa è tale nel nostro modo di essere e di vivere; se non lo
è in tali momenti, non potrà esserlo successivamente. Potrà soltanto essere
oggetto di parole e di riflessioni, ma non sarà vissuta e non potrà essere
autentica. Le remore interiori al cambiamento possono essere gradualmente
vinte da una nuova percezione della vita che scorre dentro di noi e grazie
alla quale cominciamo ad assaporare i piccoli atti quotidiani.
Certamente non è un percorso breve, ma una scelta di vita la quale esige
dapprima una nuova comprensione del significato, della sacralità degli
atti della vita quotidiana da inverare, poi, tramite i propri sentimenti
e comportamenti. La parola sacralità non rinvia ad una dottrina religiosa,
ma al significato originario, intimo, arricchente e benefico.
Aïvanhov dimostra, ad esempio, efficacemente come mediante un nuovo approccio
alla nutrizione (26) che valorizzi la nostra natura altruistica, possiamo
avviare un processo di cambiamento nella nostra coscienza e introdurre
un importante tassello di cambiamento. Lo stesso ragionamento può essere
esteso agli altri atti della vita quotidiana. A mano a mano che avanza
la nostra consapevolezza si riduce l’area istintuale ed egocentrica. A
mano a mano che esprimiamo concretamente nei piccoli atti della vita quotidiana
il nostro Sé superiore (pensieri e sentimenti elevati), la nostra coscienza
comincia a cambiare e lo stesso Sé guadagna sempre più terreno.
Anche Rifkin
esprime lo stesso concetto ponendo l’accento sull’esigenza di cambiare
il modo quotidiano di vivere, cioè “l’esperienza incarnata” in quanto
la coscienza non è legata al solo sapere intellettuale, pena la rinuncia
alla autenticità: “finché l'esperienza incarnata sarà considerata irrilevante
e in contrasto con la legge morale, ci sarà sempre un divario fra l'essere
e il dover essere dell'agire umano. Invece, la nuova coscienza supera
questo divario: il comportamento empatico è incarnato, fondato tanto sul
sentimento quanto sulla ragione […] la coscienza empatica è allo stesso
tempo descrittiva e prescrittiva […] si vive autenticamente e pienamente”
(27).
Si tratta di un percorso da affrontare nella consapevolezza che l’applicazione
effettiva di qualsivoglia valore diventa utopico se non vi è il coinvolgimento
contestuale del pensiero, del cuore e della volontà applicativa (cfr.
modulo XII in merito ad alcune attitudini coerenti con il percorso
in esame).
3. Vivere il proprio importante presente.
“Concentrarsi, esclusivamente, sul passato e sul futuro vuole dire rinunciare a modificare spiritualmente la propria vita, poiché vuole dire che ‘oggi’ non abbiamo seminato i germi di nuove possibilità espressive”
L’applicazione
a partire dagli atti più piccoli della nostra vita quotidiana è la base
irrinunciabile per creare un radicamento graduale progressivo e ragionevole,
al fine di non ricadere nuovamente nell’intellettualismo. La messa in
pratica non è solo una opzione etica ma una necessità biologica per comprendere
correttamente. Non a caso si legge nel Vangelo
di Matteo: ”Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica,
è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia” 28.
Limitarsi al discorrere, al riflettere, allo scrivere, è dunque segno
di stoltezza effettiva; eppure, lo abbiamo dimenticato completamente nei
sistemi formativi di qualsivoglia livello. La sapienza, in effetti, è
“coinvolgimento dell’aspetto intellettivo, affettivo, volitivo dell’essere
umano” (29).
Ammoniva, giustamente, Rousseau:
“diffidate di quei cosmopoliti che vanno cercando lontano […] doveri che
disdegnano di rispettare presso di loro. Questi filosofi amano i Tartari
per essere dispensati dall’amare i propri vicini” (30). Anche Aïvanhov
invita a non cercare altrove e lontano ciò che è presso di noi, “non troverete
la soluzione ai vostri problemi al di fuori delle attività della vita
quotidiana“ (31).
Quale che sia la prospettiva scelta, in effetti, “la fraternità esige
di essere provata, cioè sperimentata, non soltanto nei momenti eccezionali
dove si impone il fraternizzare, ma nel quotidiano, nei lavori e la vita
di tutti i giorni. È questa fraternità che permetterà di costruire un
linguaggio sufficientemente comune per fondare finalmente il «legame sociale
umano»“ (32).
Grazie alla sperimentazione condotta nella vita di tutti i giorni, i primi
effetti benefici derivanti dall’avvio del cambiamento, a livello individuale,
potrebbero essere avvertiti da subito: come accade quando ascoltiamo una
musica che ci rianima o quando proviamo un sentimento che ci fa sentire
leggeri e appagati. Eppure, forse stiamo solo respirando o ci stiamo nutrendo,
oppure stiamo solo osservando la natura. Cioè percepiamo effetti di benessere
e disponibilità verso la vita, eppure non abbiamo ricevuto notizie positive
per la carriera o per il patrimonio. Possiamo sentire di far parte di
questa Comunità, della Rete della Vita, mentre mangiamo, camminiamo, lavoriamo,
etc. La sperimentazione di questi valori ha anche il pregio di diminuire,
conseguentemente, la quantità dei nostri bisogni materiali e le nostre
dipendenze e di aumentare, conseguentemente, gli spazi effettivi di libertà
esteriore ed interiore. Questo è il nostro presente che non dobbiamo farci
sottrarre da una diversa e mortificante visione della vita. Chiunque di
noi, quale che sia lo status socio-culturale, ha un peso importante in
questa Rete che ci unisce e può vivere il suo importante presente, se
non si lascia persuadere da fittizi obiettivi imposti da altri. La cultura
ufficiale, se contenesse tracce di “sapienza”, illuminerebbe queste aree
del nostro agire umano sulle quali si radica la nostra dignità e il nostro
benessere. Per valorizzare il presente e le sue opportunità benefiche,
occorre evidentemente essere “presenti”. Ma per essere “presenti” dobbiamo
focalizzare la nostra esistenza soprattutto sull’essere. In questa prospettiva,
il presente diventa ricco in quanto incorpora da subito la saggezza del
passato e le speranze del futuro (33). L’ideologia dell’avere, invece,
ci porta lontano dal nostro presente per collocarci in un continuo stato
di bisogno da colmare con continue azioni future, congeniali alle altrui
esigenze.
Ma solo nell’oggi, nel presente, l’uomo può progettare il suo futuro e
può procedere a una nuova semina. Se non ci fosse questa possibilità,
l’uomo sarebbe perennemente condizionato dal suo passato e non avrebbe
la possibilità di evolvere. D’altronde, per queste ragioni, le filosofie
spirituali hanno sempre invitato l’uomo a vivere il presente. Concentrarsi,
esclusivamente, sul passato e sul futuro vuole dire rinunciare a modificare
spiritualmente la propria vita, poiché vuole dire che “oggi” non abbiamo
seminato i germi di un nuovo futuro. In queste situazioni, il futuro tende
a riprodurre le problematiche del passato. Se si vuole un futuro diverso
e migliore, occorre seminare obbligatoriamente nell’oggi.
In qualsiasi situazione si trovi e quale che sia il suo passato morale,
l’uomo può sempre gettare le basi per una trasformazione radicale della
propria esistenza futura, partendo dall’oggi che non è mai completamente
condizionato dal passato. Questa grande possibilità di riscatto o di redenzione
permette a tutti di ritrovare le espressioni del proprio Sé superiore.
L’idea del tempo ove “il presente è redenzione e riscatto”, come ha osservato
Galimberti,
è stata introdotta nella cultura occidentale dalla tradizione giudaico-cristiana
(34). Ma se non siamo “presenti” nel “nostro presente”, come potremo sperare
in un cambiamento?
1.
A. Damasio, L’errore di Cartesio cit., p. 18
2. E. Boncinelli, op.cit., p. 6.
3. R. de Monticelli, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti,
2003, p. 19. Per Maslow “la vecchia opposizione tra cuore e mente, tra
ragione ed istinto, tra cognizione e conazione scompaiono nelle persone
sane, nelle quali questi termini, invece di essere antagonisti, diventano
sinergici, i conflitti scompaiono e quei termini che prima sembrano dire
qualcosa di contrastante finiscono per indirizzare verso la stessa conclusione.
In queste persone, per dirla in breve, i desideri sono in eccellente accordo
con la ragione” A. Maslow, Motivazione e Personalità, Armando editore,
2010, p. 290.
4. R. De Monticelli, L’ordine del cuore cit., p. 26.
5. Ibidem.
6. M. Santerini, op.cit., p. 23.
7. A. Damasio, L’errore di Cartesio cit., p. 19.
8. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 27 luglio 2000, Prosveta. Cfr.
Idem, Vita psichica cit.
9. F. Capra, L’Anima di Leonardo, Rizzoli, 2013, pp. 327-338.
10. Platone, Timeo, ivi, 70 b-c.
11. Cfr. H. Lynn, La forza dell'empatia, Laterza, 2010, p. 84.
12. O.M. Aïvanhov, Vita psichica cit.; Idem, La verità frutto dell’amore
della saggezza, Prosveta, 2005. Sulle relazioni intercorrenti tra l’intelligenza
del cuore e il plesso solare, cfr. Idem, Verso una civiltà solare, Prosveta,
1987, p. 80 e segg.
13. “Francesco di Assisi è, secondo il filosofo Scheler, il prototipo
occidentale della ragione cordiale ed emozionale”, L. Boff, Francesco
di Assisi e Francesco di Roma, leonardoboff.wordpress.com. Cfr. A. Cortina,
Ética de la razón cordial. Educar en la ciudadanía en el siglo XXI, Oviedo,
2007.
14. L. Boff, In cerca di un ethos planetario cit.
15. M. Serres, Tempi di crisi, Bollati Boringhieri, 2010, p. 85.
16. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 10 febbraio 2014, Prosveta.
17. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 326.
18. Cfr. O.M. Aïvanhov, Conférence ”Elargissez votre conscience”, 11 juin
1947, Prosveta; Idem, Conférence “La vérité et la vie”, 7 septembre 1954,
Prosveta.
19. G. Tononi, G. Edelman, Un universo di coscienza, Einaudi, 2000, p.
4.
20. L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 208.
21. Ibidem.
22. O.M. Aïvanhov, Pensée 1 novembre 2010, Prosveta.
23. Vangelo di Matteo, 6,10: “Chi è fedele in cose di poco conto è fedele
anche nelle cose importanti. Al contrario, chi è disonesto nelle piccole
cose è disonesto anche nelle cose importanti”.
24. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 3 febbraio 2014, Prosveta.
25. P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, 1987, p.
15.
26. O.M. Aïvanhov, Lo yoga della nutrizione, Prosveta, 1988.
27. J. Rifkin, op.cit., p.159.
28. Vangelo di Matteo 7, 26.
29. G. Ravasi, Intervento, Basilica di San Giovanni, 13 marzo 2010, www.focolare.org.
30. Precisamente: “Méfiez-vous de ces cosmopolites qui vont chercher loin
de leur pays des devoirs qu'ils dédaignent accomplir chez eux. Tel philosophe
aime les Tartares pour être dispensé d'aimer ses voisins”, Rousseau, L’Emile,
I, 2.
31. O.M. Aïvanhov, Pensée 21 novembre 1999, Prosveta. Precisamente: “Ne
cherchez pas ailleurs et loin ce qui est là tout près. Jamais vous ne
trouverez la solution de vos problèmes en dehors des activités de la vie
quotidienne“.
32. B. Mattei, La fraternité: une valeur d’avenir?, Revue de Psychologie
de la Motivation (Idées-forces pour le XXIème Siècle), dicembre 2008.
33. “Il presente deve essere il tempo dell’azione cosciente e illuminata,
che trae la sua saggezza dalle lezioni del passato, ma che al tempo stesso
è stimolata da tutte le possibilità dell’avvenire. Ecco qual è la perfezione:
le lezioni del passato e l’avvenire con le sue infinite promesse. Se sapeste
come vivere nel presente valorizzando le esperienze del passato e gli
splendori dell’avvenire, vi avvicinereste al Divino” O.M. Aïvanhov, Regole
d’oro per la vita quotidiana, Prosveta, 2007.
34. U. Galimberti, Disegnare il tempo cit.
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Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità. |
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Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale |
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Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza. |
La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività. |
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Modulo 4. Il nuovo senso civico dello stare insieme in collettività, nella Rete della Vita. Il contributo della scienza .... Modulo 5. L’atto di cooperazione fraterna non è atto di impoverimento o di accettazione passiva dell’altrui egocentrismo Modulo 6. Perché il nostro “Io” si oppone alla cooperazione? Modulo 7. La nostra scelta avanti al bivio: Modulo 8. Il ruolo della coscienza e del modo di vivere per il cambiamento. Modulo 9. La moralità della vita vissuta condiziona i processi cognitivi.... Modulo 10. Gli apporti cognitivi dell’intelligenza del cuore. Modulo 11. Occorre superare il distacco tra cultura e modo di vivere... |
Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale... |
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Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche |