Modulo 8. Il ruolo della coscienza e del modo di vivere per il cambiamento. Per poter essere comunicate, e spesso anche per poter essere perfezionate, le idee devono passare per la coscienza ... |
1.
Il ruolo della coscienza ai fini del cambiamento comportamentale e civico
2. Identificarsi con il proprio Sé cooperatore nell’interpretare la Vita
3. Perché ampliare la propria coscienza: dalla coscienza di se stessi
alla coscienza fraterna
4. Come ampliare la coscienza: la rilevanza cognitiva del modo di vivere,
del modo di pensare, di sentire, di nutrirsi, di amare
1. Il ruolo della coscienza ai fini del cambiamento comportamentale e civico.
“Se gli stati empatici e fraterni sono da noi conoscibili tramite la nostra coscienza non può esservi un cambiamento comportamentale senza l’intermediazione della coscienza”
Il
cambiamento auspicato potrebbe arrivare, se volgiamo lo sguardo al passato,
tramite una nuova impostazione della vita collettiva da parte di una élite
illuminata, oppure, tramite eventi drammatici a causa dei quali le società
subiscono una forte spinta verso una maggiore unione interiore. All’interno
dei possibili percorsi di cambiamento, vi è pure una via “intellettuale”
la quale contempla la creazione di nuovi organismi internazionali, l’elaborazione
di riforme istituzionali, la creazione di un diritto cosmopolita, etc.
Questo percorso non coinvolge però la società ma soprattutto qualche studioso
e qualche politico sensibile al tema. L’avvicinamento delle coscienze
è, in verità, avvenuto anche grazie all’azione di grandi personaggi apparsi
nella scena della storia. Ma il cambiamento potrebbe maturare anche tramite
una presa di coscienza che si diffonde, a poco a poco, nel cuore della
società in modo sempre più intenso, toccando gli individui e le “comunità
informali” più sensibili.
In relazione a queste ultime possibilità di cambiamento emerge la necessità
di una strada pedagogica “ordinaria” che aiuti a cambiare la nostra coscienza
individuale in una prospettiva empatica-fraterna.
Ma il cuore di questo percorso formatore attenendo all’uomo nella sua
autenticità e non alle sole abilità intellettuali non può che investire
la “coscienza” dell’uomo in vista di suoi comportamenti spontanei ed evoluti.
Il fatto che occorra coinvolgere la coscienza ben si spiega anche scientificamente.
Osserva lo scienziato Damasio:
“anche attenendosi alla semplice definizione ordinaria del vocabolario
(la coscienza come consapevolezza che un organismo ha di se stesso e di
ciò che lo circonda) appare più che probabile che nell'evoluzione umana
la coscienza abbia potuto aprire la via verso un nuovo ordine di creazioni,
che altrimenti non sarebbe stato possibile: la coscienza morale, la religione,
le organizzazioni sociali e politiche, le arti, le scienze e la tecnologia
[…]. La coscienza è la funzione biologica critica che ci permette di conoscere
il dolore o la gioia, di conoscere la sofferenza o il piacere, di sentire
imbarazzo o orgoglio, di essere addolorati per un amore perduto o per
una vita perduta. Che lo si provi personalmente o lo si osservi, il pathos
è un sottoprodotto della coscienza, come pure il desiderio. Non conosceremmo
mai alcuno di questi stati personali senza la coscienza” (1).
Ci ricorda Boncinelli
che “per poter essere comunicate, e spesso anche per poter essere perfezionate,
le idee devono passare per la coscienza” (2). Quindi se gli stati empatici
e fraterni sono da noi conoscibili tramite la nostra coscienza, non può
esservi un cambiamento comportamentale civico, implicante nuovi pensieri
e sentimenti, senza l’intermediazione della coscienza. Questa semplice
osservazione ci aiuta a comprendere le ragioni della diffusione delle
espressioni “coscienza empatica”, “coscienza fraterna”, “coscienza universale”.
Non esiste una via coattiva per la società fraterna, ma una via spontanea
e quella spontanea passa per la coscienza individuale che può diventare,
con il tempo, coscienza sociale. Anche perché se le cause ostative alla
fraternità, come abbiamo osservato (modulo
VI),
sono state e sono tuttora di ordine interiore, allora, è su questo fronte
che occorre intervenire: ma ciascuno può intervenire direttamente solo
sul proprio mondo interiore e indirettamente su quello altrui, mediante
il proprio esempio e un’opera di sensibilizzazione a livello individuale
ma anche collettivo. Il fatto che si tratti di un impegno interiore non
impedisce che possa essere sostenuto, condiviso e promosso anche a livello
pubblico. Gli effetti antisociali dei comportamenti egocentrici sono tangibili
e impattano sulla vita collettiva. Peraltro, come ha ben rilevato Varela,
la coscienza è un fatto pubblico. La nostra coscienza, ci ricorda Capra,
non è solo un fatto biologico: “Il mondo interno della nostra coscienza
riflessiva si è sviluppato durante il processo evolutivo insieme a quello
del linguaggio e all'organizzazione delle relazioni sociali. Ciò significa
che la coscienza umana è inestricabilmente legata al linguaggio e al nostro
mondo sociale, delle relazioni interpersonali e della cultura. In altre
parole, la nostra coscienza non è solo biologica, ma è anche un fenomeno
sociale” (3).
Il cambiamento deve nascere nella coscienza e toccare il cuore delle nostre
motivazioni similmente a quanto può accadere ai comportamenti dei cittadini
nella sfera economica: “Se gli agenti economici non accolgono già nella
loro struttura di preferenze quei valori che si vuole vengano affermati
nella società non ci sarà molto da fare. Per l’etica delle virtù, infatti,
l’esecutorietà delle norme dipende, in primo luogo, dalla costituzione
morale delle persone; cioè dalla loro struttura motivazionale interna,
prima ancora che da sistemi di enforcement esogeno, come possono essere
gli schemi di incentivo o le norme di legge” (4). Il cambiamento una volta
affiorato come esigenza nella coscienza, diventa intenzione e motivazione
nel fare cose e poi comportamento concreto. I comportamenti umani, è bene
ricordarlo, differiscono, soprattutto, a causa dei diversi valori percepiti
nella coscienza (5).
Anche Laszlo ricorda che il cambiamento “non dipende dalla tecnologia, poiché la tecnologia è solo uno strumento… se vogliamo cambiare veramente il nostro comportamento, sia come economia sia come società e cultura: è necessario un cambiamento culturale. Dobbiamo dunque cambiare la nostra coscienza, perché quando cambia la nostra visione cambiano i valori ed i comportamenti. La visione preponderante oggi è quella della separazione uno dall’altro… non più supportata dalla scienza… Questo deve cambiare, oggi è importante avere una visione più vasta che vede noi stessi come elementi di un processo più grande, di un processo co-evolutivo. Questo cambiamento è necessario e io penso sarà decisivo nei prossimi anni. Oggi è essenziale il ruolo dell’educazione e della scuola perché la società capisca l’importanza di questo cambiamento” (6).
Non abbiamo, dunque, alternative: la nostra coscienza deve ampliarsi al fine di integrare e accogliere i nuovi valori di empatia e cooperazione fraterna. Non vi è dubbio che in assenza di questo percorso, il divario tra ideali e la vita concretamente vissuta resterà enorme e in questo vuoto opereranno le cattive abitudini alle quali si correla il declino attuale.
2. Identificarsi con il proprio Sé cooperatore nell’interpretare la Vita.
“Se valutiamo il “dare” dal punto di vista del sé egocentrico ci appare come una perdita irrimediabile, al contrario, dal punto di vista del Sé superiore, il “dare” potrebbe apparirci come arricchimento”
Preso
atto che occorre coinvolgere la coscienza nel percorso di cambiamento,
è fondamentale, afferma Aïvanhov, introdurre nella nostra coscienza un
mutato punto di vista e cioè iniziare a identificarsi non più con la natura
egocentrica, ma con quella superiore, fraterna e cooperativa. Noi non
siamo spettatori passivi tra queste due nature in quanto abbiamo un “Io”
che può decidere la direzione.
Nella nostra mente, come spiegano gli scienziati, alberga un “Io” agente,
una identità tendenzialmente stabile, malgrado il flusso continuo di esperienze
vissute dalla nostra coscienza (7), soprattutto, in una epoca quale la
nostra, definita di identità liquida. Si è acutamente osservato, in termini
critici, che “nel mondo postmoderno si assiste ad un pullulare di vissuti,
a un flusso di esperienze frammentarie prive di quello che un tempo avremmo
chiamato IO. Viene meno l’io... come polo di identità che trascende le
singole esperienze e le organizza spontaneamente in un tutto significativo.
La funzione sintetica della coscienza non è più data ma diviene compito…
da svolgere istante per istante rifuggendo da qualunque definizione solida
del proprio Sé. Non viviamo per caso in una epoca di identità liquida?”
(8)
Ma
fortunatamente la nostra esperienza soggettiva comprova che la nostra
identità non si riduce a “un insieme non continuo di componenti, qualcosa
deve tenere insieme tutti questi pezzi, altrimenti non potremmo percepirci
come persona unica; qualcosa ci tiene insieme dal punto di vista psicologico,
integra tutte le informazioni che provengono dall'interno del corpo e
dal mondo esterno, oltre che dalla nostra storia personale […]. È questo
«qualcosa», che «tiene insieme», a costituire ciò che chiamiamo il Sé,
l'identità, che è anche l'agente che pensa i nostri pensieri e compie
le nostre azioni” (9).
La nostra esperienza comprova che la nostra identità, il nostro “Io” può
tendere a identificarsi con la natura fraterna e cooperativa oppure con
la natura egocentrica. L’identità che noi scegliamo, il punto di vista
che noi accogliamo per guardare il mondo e interpretare i fatti della
vita, riveste un ruolo fondamentale, come ha ben illustrato anche Zygmunt
Bauman.
Egli osserva che ciascuno di noi fa della ricerca della felicità la propria
strategia di vita, a proprio modo.
Nel ricercare di soddisfare questo desiderio di felicità, osserva Bauman,
mettiamo in moto, a seconda dei casi, un'energia finalizzata a dare (forza
centrifuga) o a prendere (forza centripeta). Nel primo caso, questa energia
si allontana da noi, dal nostro centro e può riassumersi nel concetto
di “dare". Già Aïvanhov
aveva osservato che “la qualità fondamentale della natura superiore è
quella di donare... tutte le virtù in realtà altro non sono che un'irradiazione,
una proiezione dal centro verso la periferia, un bisogno di elargire,
di sacrificare qualcosa di sé” (10).
Nel secondo caso, questa energia tende verso il nostro centro e può riassumersi
nel concetto di “prendere” (11). Vi sono, dunque, persone che ricercano
la felicità, soprattutto, nell’azione del “prendere”, altre nell’azione
del “dare”. Questo chiarimento è fondamentale, ancorché appaia pacifico,
in quanto mette in luce che il “dare” appare come una perdita irrimediabile
se è valutato dal punto di vista del sé egocentrico. Al contrario, il
dare diventa un arricchimento se è valutato dal punto di vista del Sé
fraterno. Un esempio concreto può illustrare il ragionamento. Osserva
Bauman che “prendersi cura del benessere di un altro, essere buono con
un altro accresce la sensazione di benessere… In questo caso la contrapposizione
tra egoismo e altruismo si scioglie e scompare. I due atteggiamenti sembrano
inconciliabili solo se considerati dal punto di vista della forza centripeta
(“prendere”). Solo in prospettiva della forza centripeta ci porremmo domande
del tipo: perché dovrei essere buono con lui (o lei), che cosa ci guadagno,
che cosa ha fatto per me, per cui mi debba prendere cura di lui (o di
lei). E solo allora inizia il calcolo del guadagno, dei costi e benefici.
Il punto di vista centripeto pone in dubbio la sensatezza e i benefici
dello slancio centrifugo, lo sminuisce e lo ritiene controproducente”
(12). Questo esempio rende evidente che le valutazioni che noi compiamo
durante la nostra vita, comprese quelle sulla valenza dell’atto di “prendere”
e dell’atto di “dare”, dipendono dal Sé con il quale ci identifichiamo.
Tutti noi possiamo verificare l’esperienza in questione e trarne le dovute
conclusioni sul piano della autovalutazione individuale, al fine di comprendere
cosa accade dentro di noi, quando doniamo e prendiamo, e verificare se
ci muoviamo nella nostra vita in una prospettiva esclusivamente “del prendere”
(egocentrica) o del “dare disinteressato” (cooperativa). Fermo restando
che alcune persone, beninteso, riescono a dare molto perché ricevono molto,
quanto meno sul piano delle energie interiori. Giacché il dare genera
anche un ricevere. L’esempio di Bauman, sopra riferito, comprova che le
persone possono cambiare, come già sottolineava Aïvanhov, se cambiano
il loro punto di vista, cioè se espandono la coscienza dal piccolo “sé”,
ovvero, dal sistema egocentrico focalizzato sul prendere, al grande “Sé”
dentro il quale vi sono tutti gli “altri”. Infatti, solo quest’ultimo
punto di vista, cioè quello del “Sé” cooperatore, può apportare nella
coscienza una costellazione di valori generatori di nuovi comportamenti
sui quali ci soffermeremo in seguito (cfr.
modulo XII).
Affinché la vita fraterna non resti una utopia occorre prendere, dunque,
consapevolezza del fatto che abbiamo la possibilità di scegliere una delle
due prospettive prima accennate. Il nostro “Io” deve, dunque, avviare
questo cambiamento, anche se non è facile, in quanto la ingombrante cultura
informativa generata dai mezzi di comunicazione ci stimola a identificare
il nostro “Io” con la parte meno evoluta, consumistica e materialistica
(13). A parte la considerazione che una certa cultura cloroformizza e
trasforma qualsiasi discorso sulla interiorità in dibattiti puramente
intellettualistici, snaturando completamente il senso possibile della
esperienza di vita e sottraendo occasioni di sviluppo alle persone potenzialmente
interessate.
Per accogliere il punto di vista del Sé, cooperatore o fraterno, nella
nostra coscienza dobbiamo, però, essere in grado di riconoscere l’ampia
gamma di pensieri e sentimenti riconducibili a tale natura. Voler accogliere
questa nuova prospettiva nel vivere e fare le cose vuole dire, necessariamente,
saper selezionare i pensieri e i sentimenti afferenti alla natura altruistica.
Questa capacità di selezione e di discernimento fa parte della “coscienza
di Sé”.
3. Perché ampliare la propria coscienza: dalla coscienza di se stessi alla coscienza fraterna.
Ai fini del cambiamento di prospettiva, ai fini della nostra scelta di identificarci con il Sé fraterno, è fondamentale avere dunque la coscienza di Sé, cioè la consapevolezza dei propri pensieri e sentimenti e della loro riconducibilità alla barbarie o al sublime che sono in noi. È questa la condizione di partenza per arrivare alla coscienza fraterna. Questa consapevolezza è essenziale in quanto ci consente di poter fare una cernita e di sviluppare una coscienza più ampia grazie alla quale possiamo riuscire gradualmente a incarnare il mondo dei pensieri elevati e dei sentimenti più evoluti nei nostri comportamenti concreti. Un eventuale percorso formativo dovrà, necessariamente, comportare l’aumento e l’irrobustimento della funzione unificante del proprio “Io” relativamente alle manifestazioni della nostra natura superiore, nonché la riduzione dei comportamenti inconsapevoli e dei comportamenti riconducibili palesemente al sé “egocentrico”. Ma questa graduale revisione può avvenire, come vedremo, tramite una revisione contestuale del modo di vivere la vita quotidiana.
A questo punto dobbiamo chiederci: se la coscienza di Sé è la condizione
di partenza, come possiamo identificare l’obiettivo desiderato ovvero
la coscienza fraterna? Come possiamo definire la coscienza fraterna nella
sua essenza? Ci appare completa ed efficace questa definizione fornita
da Aïvanhov: "L'essere umano si definisce tale per il fatto che possiede
una coscienza, ma questa coscienza compare veramente solo quando si risveglia
in lui la sensibilità ai concetti di collettività e di universalità. Questa
facoltà gli permette di entrare nell'anima e nel cuore degli altri a tal
punto che quando gli capita di farli soffrire, prova egli stesso il dolore
che infligge loro. Egli comprende che tutto ciò che fa agli altri, sia
il bene che il male, è a se stesso che lo fa. Certo, apparentemente ogni
essere è isolato, separato dagli altri; ma la realtà è che una parte di
noi stessi è legata alla collettività e vive in tutte le creature, in
tutto il cosmo. Se in voi questa coscienza collettiva è risvegliata, sentirete,
nelle relazioni con gli altri, che i vostri pensieri, i vostri sentimenti,
le vostre parole, i vostri atti tutto ritorna a voi come un'eco, poiché
il vostro essere, che si estende in tutto l'Universo, è divenuto un'entità
collettiva. Ed è questa, veramente, la fratellanza" 14. Se accettiamo
questa definizione, già anticipata nelle pagine introduttive, abbiamo,
grosso modo, presente lo stato interiore verso cui tendere.
Il cittadino di una società cooperativa dovrebbe avere una sua peculiare
sensibilità che lo induce naturalmente a non compiere determinati atti
antisociali anche in assenza di divieti giuridici. Egli percepisce la
rilevanza collettiva delle cose che vive e compie in quanto si sente parte
di una immensa catena vivente che lega le creature, o, come si dice oggi
col linguaggio scientifico, si sente parte della Rete della Vita. Il “sentirsi
parte” costituisce proprio una possibilità offertaci dalla nostra coscienza
come spiega Damasio. Per questo scienziato, la coscienza si manifesta
non solo come ‘sensazione’ (cioè come esperienza mentale dell’emozione
di ciò che accade grazie alle nostre percezioni allorché udiamo, vediamo,
tocchiamo, etc.) ma anche come ‘sapere’ di avere quella data sensazione.
La coscienza è, dunque, un processo cognitivo all’interno del quale può
esprimersi, ad esempio, il senso di appartenenza all’Universo. Per tali
ragioni, l’espansione della coscienza è espansione della nostra sensibilità
e della nostra intelligenza. Infatti, non a caso l’invito di Aïvanhov
è quello di impegnarsi a transitare dalla coscienza di “se stessi” alla
coscienza “universale”o “fraterna” grazie alla quale, come abbiamo evidenziato,
si acquisisce la percezione di appartenere realmente all’Universo come
a una grande Famiglia (15).
Nella stessa direzione, Deunov
affermava già nella prima metà del secolo scorso: “Oggi, l'uomo vive in
condizioni che sono paragonabili a un inverno interiore. Il suo cuore
è freddo, il suo intelletto è personale e limitato, è chiuso in se stesso.
Un grande cambiamento in fondo all'intelletto umano deve avvenire. Una
trasformazione radicale del pensiero dei genitori, bambini, insegnanti
ed educatori, si rende necessaria. Non è sufficiente riconoscere i nostri
errori e le nostre debolezze, dobbiamo lavorare per migliorare, ampliare
ed elevare la nostra coscienza [...] è arrivata l’epoca in cui l'uomo
si prepara con tutti i mezzi a trascendere lo stato di coscienza di sé
al fine di avvicinarsi alla coscienza cosmica o coscienza divina [...]
quando la vita della coscienza cosmica entrerà in noi, avremo una nuova
filosofia e un nuovo modo di pensare, ci sentiremo tutt'uno con il nostro
prossimo" (16).
Anche per Rifkin
l’espansione della coscienza è indispensabile: ”il sé si espande, accedendo
a un livello più ampio e comprensivo di impegno compassionevole. Il processo
dell'essere empatico estende il dominio della morale” (17).
Boff ha recentemente ribadito l’importanza di “ampliare il senso del sé...
il primo passo è provare ad allontanarsi da questo senso del sé così limitato.
Il moderno pensiero occidentale ha circoscritto il “sé” a quello che risiede
entro i limiti della carne: tutto ciò che è al di fuori è il mondo esterno.
Sin da piccoli impariamo a reprimere quella che si potrebbe definire “empatia
cosmica... attraverso un processo di progressivo torpore psichico ci isoliamo
sempre più dalla comunità vivente... [dobbiamo] approfondire la nostra
interiorità attraverso la partecipazione consapevole alla stessa creatività
del cosmo” (18).
Anche
Naess
sostiene la necessità di ampliare la propria consapevolezza e di collocarla
in un “Sé ecologico”: “allargare il proprio senso di identificazione verso
un senso più ampio del Sé. Tutti gli uomini hanno questa capacità insita
nella propria natura, come altri hanno osservato comparando le diverse
culture. Noi tutti abbiamo la capacità di metterci in relazione con un
senso molto più vasto del sé, che trascende l’ego, estendendo il nostro
senso di identificazione oltre il solito punto focale dell’ego e andando
verso una sfera più ampia di interrelazioni. Non è difficile, per noi,
identificarci con gli altri esseri viventi. Possiamo veramente praticare
e coltivare questa capacità. Un modo è quello di agire estendendo la nostra
cura e il nostro senso” (19). Naess osserva che il “volersi bene viene
naturale se il sé viene ampliato […] come non occorre una morale per respirare
così non occorre una esortazione morale per voler bene” (20).
Questo ampliamento della coscienza è presentato da K. Wilber come nuova
esperienza del Sé “Eco-noetico” grazie al quale accogliamo in noi la prospettiva
globale della Terra e del Cosmo e riusciamo ad agire in coerenza con essa
(21). L’universo deve essere vissuto come un grande Sé, sostiene Berry
(22).
Il passaggio dalla coscienza di se stessi (cioè dalla consapevolezza di
sé, dei propri stati mentali, sensazioni, delle proprie azioni) alla consapevolezza
del “Sé” integrato nel mondo, nella rete della Vita, ricade, effettivamente,
nelle nostre potenzialità. Questo passaggio espansivo è fisiologico anche
perché la coscienza, che non è statica, è suscettibile di variazioni come
ben sanno coloro che vivono con una certa consapevolezza. Anche gli studiosi
riconoscono ormai che la coscienza “ha una struttura dinamica e processuale”
(23).
L’espansione della coscienza verso il “noi”, verso la collettività, verso la percezione di una famiglia allargata è, dunque, possibile, come hanno dimostrato grandi individualità e come è stato comprovato da coloro che si sono cimentati su questo percorso, constatandone i progressivi miglioramenti individuali. Ciò che conta è compiere la scelta di identificarsi con la parte superiore, cooperativa che è in noi, nella consapevolezza che si tratta di un percorso graduale e progressivo, implicante una adeguata dose di tolleranza verso di sé e gli altri. Il desiderio di cambiamento, l’avvio concreto del cambiamento e i risultati del cambiamento non rappresentano, infatti, momenti di un processo con effetti istantanei. Modellare la materia interiore è un impegno di una intera vita. Ma se si persevera in un nuovo stile di vita, la nostra coscienza inizia ad ampliarsi e allora, come afferma Aïvanhov, sentiamo sempre più cose, appaiono sempre più evidenti i legami tra gli esseri e ci avviciniamo ad una rappresentazione della vita diversa da quella che avevamo immaginato quando la nostra coscienza era posizionata sui nostri bisogni egocentrici.
La coscienza via via che si amplia, genera in noi nuove immagini mentali
sulla base delle quali riprogettiamo, affiniamo e adattiamo continuamente
la nostra esistenza. Questo appare essere un punto capitale del quale
occorre tenere conto: come osservano anche gli scienziati Capra
e Luisi, “la nostra capacità di trattenere le immagini mentali e proiettarle
nel futuro non solo ci permette di identificare degli obiettivi, degli
scopi e di sviluppare delle strategie e dei progetti, ma anche di scegliere
tra diverse alternative e quindi ci permette di formulare dei valori e
delle norme di comportamento sociali” (24). E ciò ha un naturale impatto
sulla cultura e sulla società, posto che il significato antropologico
della parola “cultura” è proprio quello di "sistema integrato di
valori, credenze e regole di condotta acquisiti socialmente che delimitano
lo spettro dei comportamenti socialmente accettati in ogni data società"
(25). Evidenti appaiono allora i nessi tra coscienza, cultura, comportamento
e vita sociale.
Riepilogando il ragionamento precedente, possiamo osservare che se la
fraternità è, innanzitutto, uno stato di coscienza, in via preliminare,
dobbiamo intervenire proprio sulla nostra coscienza, accogliendo in essa
il punto di vista della natura cooperativa.
Ma come è possibile concretamente intervenire sulla coscienza? La coscienza
non è toccata, infatti, in modo apprezzabile dalle adesioni meramente
intellettuali (di qualsivoglia matrice, politica, religiosa, o accademica)
o emotive in quanto queste, essendo superficiali, non esprimono la nostra
vera vita vissuta di cui la coscienza ci dà, invece, senza artifizi, contezza
oggettiva. D’altronde, anche i tormenti e le angosce che talora possiamo
avvertire tramite la coscienza non nascono direttamente dalla coscienza
stessa in quanto essa funge da schermo, da specchio del nostro modo di
vivere. In ragione di ciò, se vogliamo cambiare stato di coscienza dobbiamo
cambiare il film che viene proiettato sul nostro schermo, cioè la nostra
vita vissuta (26). Possiamo, dunque, agire sulla coscienza per il tramite
dell’insieme dei sentimenti e dei pensieri che noi nutriamo effettivamente
nei comportamenti quotidiani.
4. Come ampliare la coscienza: la rilevanza cognitiva del modo di vivere, del modo di pensare, di sentire, di nutrirsi, di amare...
“A fini cognitivi rileva la vita di tutto il nostro organismo”
Una
volta riconosciuta la necessità di ampliare, di espandere la coscienza
per accogliere il punto di vista del Sé cooperatore, dobbiamo esaminare
i fattori che possono migliorare concretamente la coscienza e ampliarla
nel senso auspicato. Cosa vuole dire concretamente “prendere coscienza”?
Afferma Aïvanhov
che “la coscienza si manifesta a livello cerebrale ma è il risultato del
funzionamento di tutte le cellule del corpo” (27). La coscienza può essere
paragonata ad “uno schermo cinematografico su cui di volta in volta delle
comparse vengono a esprimere qualcosa della parte della natura inferiore,
oscura ed egoista oppure della natura superiore, luminosa, vasta e disinteressata.
Se l'uomo è lucido, può vedere a volte che, con il suo pensiero, la sua
volontà e i suoi desideri, smuove acque melmose. Se invece tocca il Cielo,
vede apparire cose splendide e si istruisce. In tal modo "prende
coscienza", come si suol dire, della realtà delle cose, si rende
conto che esistono delle leggi e decide di diventare sempre più saggio,
prudente e ragionevole" (28). Anche Damasio impiega la metafora cinematografica
quando afferma che “la neurobiologia della coscienza affronta quanto meno
due problemi: come si genera il «film nel cervello» e come il cervello
genera il senso che il film appartenga a chi lo osserva” (29).
Che la coscienza non sia legata, esclusivamente, al cervello è un dato,
ormai, acquisito dalla ricerca scientifica. L'esperienza cosciente non
è localizzata in una regione specifica del cervello (30). La coscienza
ha scritto recentemente il neuroscienziato Gandolfini,
va letta come un atto che scaturisce dalla relazione fra più componenti
quali i geni, reti neurali, ambiente di vita, esperienze, biografia del
soggetto, “non è il cervello a dirci che cosa è la coscienza, ma è la
coscienza a dirci che cosa è il cervello, il cervello è organo necessario
ma non sufficiente per spiegare la coscienza […] un rigido meccanicismo
che sostenga apoditticamente che la coscienza è il ‘prodotto’ del cervello
induce all’errore di confondere il mezzo con la causa vera” (31).
Ai nostri fini appare fondamentale evidenziare che la ricerca scientifica
negli ultimi anni ha avuto il merito di recuperare il ruolo del corpo
fisico, dei sentimenti e dell’azione nei processi cognitivi di cui la
coscienza ne è espressione. La vita di tutto il nostro organismo rileva
in effetti ai fini cognitivi. Il corpo e l’ambiente fisico e sociale sono
dunque rilevanti quanto le strutture neurali (32). Tutto ciò non può non
avere riflessi anche in campo educativo (33) in quanto comprova scientificamente
la rilevanza cognitiva della vita vissuta nel quotidiano a cui alcuni
Insegnamenti filosofici e pedagogici avevano dato grande importanza (cfr.
modulo I).
Secondo la teoria della conoscenza di Maturana
e Varela, cd. Scuola di Santiago (34), “la mente non è nella testa,
la mente non può essere separata dall’organismo inteso nella sua totalità
(35). Siamo portati a pensare che la mente sia nel cervello, nella testa,
ma il fatto è che l’ambiente comprende anche il resto dell’organismo;
implica che il cervello sia intimamente collegato a tutta la muscolatura,
all’apparato scheletrico, all’intestino, al sistema immunitario, agli
equilibri ormonali e così via. Questo rende il tutto un’unità estremamente
salda. In altre parole, l’organismo, in quanto reticolo di elementi completamente
co-determinantisi, fa sì che le nostre menti siano, letteralmente, inseparabili
non solo dall’ambiente esterno, ma anche da quello che Claude Bernard
già chiamava il milieu interieur, il fatto che noi non abbiamo solo un
cervello ma un intero corpo” (36). Peraltro, la stessa empatia ne è una
prova, posto che grazie ad essa “noi entriamo involontariamente nei corpi
di coloro che ci circondano, così che i loro movimenti e le loro emozioni
si riverberano dentro di noi come fossero i nostri” (37). Anche la scienziata
Candace
Pert osserva che la mente non è localizzata nel cervello bensì in
tutto il corpo in quanto ogni singola cellula è dotata degli stessi recettori
neurali delle cellule cerebrali (38).
Pensiamo alle teorie della mente estesa secondo le quali “i contenuti
della coscienza emergono non all’interno dei circuiti neuronali […]. Secondo
questa visione, i processi di elaborazione delle conoscenze non sarebbero
separati dalla realtà ma comprensivi della storia e delle esperienze che
viviamo nel mondo. Il mentale si estende ovunque. Senza interruzioni,
ciò che penso avviene anche all'esterno attraverso supporti a cui accedo
automaticamente (39). Mente estesa non significa che la mente si estende
nel mondo alla ricerca di cose e di eventi, ma che una parte dei meccanismi
della mente lavora non dentro, ma fuori «dal cranio e dalla pelle»“ (40).
Pensiamo alle teorie della mente incorporata secondo le quali non solo
la separazione tra mente e cervello, ma probabilmente anche la separazione
tra mente e corpo è fittizia. La mente è incorporata, nel senso più pieno
del termine, non solo intrisa nel cervello (41). Quando gli scienziati
affermano che la mente è incarnata, osserva Capra, “essi si spingono ben
oltre il semplice rilievo che, per poter pensare, abbiamo bisogno di un
cervello. Recenti studi nel campo della linguistica cognitiva indicano
con forza che la ragione umana non trascende il corpo - come ha sostenuto
gran parte della tradizione filosofica occidentale - bensì è strutturalmente
regolata dalla nostra natura fisica e dalla nostra esperienza corporea.
Ed è proprio in questo senso che possiamo dire che la mente umana è essenzialmente
incarnata. La struttura stessa della ragione sorge dal nostro corpo e
dal nostro cervello” (42). Tutto ciò che pensiamo, diciamo e facciamo
dipende dall'attività della nostra mente incarnata (43).
Damasio dimostra efficacemente che “la rappresentazione del mondo esterno
al nostro corpo, può entrare nel cervello solo attraverso il corpo stesso
[…] è sicuramente vero che la mente apprende le informazioni sul mondo
esterno attraverso il cervello ma è ugualmente vero che il cervello può
essere informato solo attraverso il corpo” (44). La mente dipende, dunque,
dalle interazioni corpo-cervello in quanto i circuiti neurali "rappresentano"
l'organismo mentre è in interazione con l'ambiente (45).
Dagli studi recenti neurologici emerge sempre più “l’importanza del corpo
e del movimento che invece di essere qualcosa di materiale è alla base
anche dei processi di astrazione […] l'azione fa evolvere il pensiero
e contribuisce ad arricchire i processi emozionali” (46). Dallo studio
di una classe di neuroni è emerso che le azioni ma anche la stessa osservazione
“sono delle vere e proprie estensioni della capacità di comprendere” (47).
Nondimeno, il sentimento ha un ruolo di primo piano nella cognizione e
quindi nella coscienza: si è detto che “le persone scoprono i valori attraverso
un processo di tipo ermeneutico che non è solo di tipo intellettuale”
(48) e che anche le emozioni sono una forma di conoscenza vera e propria
(cfr. modulo X). Osserva Santerini
“tutta l’attività cognitiva è tessuta di emozioni. Non esiste dicotomia
tra queste due sfere, in quanto le emozioni non sono un fattore di disturbo
del pensiero che invece di esse si alimenta. Le emozioni sono una via
per conoscere, complementare alla razionalità, una strategia per comprendere
(Nussbaum) e nella comprensione si realizza un autentico atto morale.
Le emozioni più alte sono quelle che alimentano l’immaginazione e l’immaginazione
è un mezzo con cui patiamo con l’altro, sentiamo con l’altro provando
le sue stesse angosce ed emozioni fino ad arrivare alla compassione che
suscita la condivisione in una forma d’identificazione che va oltre la
mera simpatia” (49).
Peraltro, appare arbitraria, sostiene Boncinelli,
la distinzione “netta fra una sfera emotiva e un'attività razionalizzante
e computativa: non esiste evento interiore di un tipo che non coinvolga
elementi dell'altro tipo. Tutto quello che si può dire è che esistono
momenti particolari della nostra vita nei quali un aspetto sembra prevalere
sull'altro […] il grosso delle attività di ragionamento e di calcolo avvengono
nel cervello vero e proprio, mentre molte sensazioni emotive si appoggiano
anche ad altri componenti del sistema nervoso, e non solo. Ci sono infatti
ghiandole nel nostro corpo e strutture a mezza via fra la ghiandola e
il componente del sistema nervoso centrale che contribuiscono potentemente
a generare e a elaborare l'affettività in generale e specifici stati emotivi
in particolare” (50). La vita di tutto il nostro organismo rileva, dunque,
ai fini cognitivi.
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1.A.
Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi, 2000, p.17.
2. E. Boncinelli, Mi ritorno in mente: il corpo, le emozioni, la coscienza,
Tea, 2012, p. 172. Rileva Boncinelli: “Quasi tutto posso osservare, almeno
in linea di principio, e studiare... Perché possa dire di conoscerlo,
tutto deve passare per la mia coscienza, perché quello è lo strumento
con il quale «registro» tutti gli eventi, esterni e interni”, ivi, p.1.
3. F. Capra - P.L. Luisi, op. cit., p. 342.
4. S. Zamagni, L’economia, come se la persona contasse cit.
5. Cfr. O.M. Aïvanhov, Vita psichica, elementi e strutture, 2004, Prosveta.
6. E. Laszlo, Intervento al Convegno: “La rete della Vita-verso una visione
integrata della realtà” cit.
7. “Il fatto che nessuno sia mai riuscito a individuare un luogo cerebrale
o una funzione mentale che possano corrispondere a un Sé agente centrale,
non vuole dire che questo non ci sia” E. Boncinelli, op.cit., p. 234.
Quella che noi chiamiamo coscienza è “una collezione di atomi di presente.
Ogni atomo di presente inizia, si mantiene per qualche istante e decade,
per lasciare spazio mentale a un altro atomo di presente. Noi non abbiamo
alcuna consapevolezza di tale frammentazione della nostra coscienza. Questa
ci appare come un continuo, anzi come un continuo presente. Ciò è dovuto
al fatto che una delle funzioni principali della nostra corteccia cerebrale
è quella di fornirci una visione sempre «ragionevole», unitaria e continua
dei contenuti della nostra vita mentale interiore“ ivi, p. 10.
8. G. Stanghellini, Coscienza, in F. Barale, V. Gallese, S. Mistura, A.
Zamperini, Psiche. Dizionario Storico di Psicologia, Psichiatria, Psicoanalisi,
Neuroscienze, Einaudi, I vol., 2006, p. 275.
9. M. Santerini, Educazione morale e neuroscienze: la coscienza dell'empatia,
La scuola, 2011, p. 37.
10. O. M. Aïvanhov, Natura umana e natura Divina cit.; Idem, la conferenza,
“Prendere e dare”, in Opera omnia n. 11, Prosveta.
11. Z. Bauman, L'arte della vita, Laterza, 2009, pp. 119-121.
12. Ibidem.
13. Sarebbe interessante studiare a quale natura si rivolge soprattutto
la comunicazione di massa: “La radio, la televisione, i giornali diffondono
sempre più dei punti di vista che presentano come grandi progressi. Gli
esseri umani, secondo loro, dovrebbero cercare di soddisfare i propri
desideri e le proprie voglie senza ritegno, perché sembra che faccia molto
male non seguire la voce della natura oppure opporsi ad essa. Evidentemente
è gradevole sentirsi spinti così verso le cose facili. Eppure, gli esseri
umani, se fossero lucidi e onesti, si renderebbero conto che la voce che
talvolta sentono in loro dice cose del tutto diverse. Essa consiglia loro
di essere più ragionevoli, più padroni di se stessi e qualche volta li
rimprovera anche. Indubbiamente, quella voce si esprime di rado e con
dolcezza, ma esiste, e nessuno può negarlo. Ebbene, certamente è anch'essa
la voce della natura, ma la voce della natura superiore, mentre l'altra
è la voce della natura inferiore. Queste due nature cercano di farsi sentire,
poiché entrambe esistono nell'uomo, e sta a lui discernere le loro voci"
O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 14 maggio 2005, Prosveta.
14. Idem, Pensieri Quotidiani, 27 ottobre 2006, Prosveta.
15. Ibidem.
16. P. Deunov, Le livre de l'éveil, Editions Ultima, 2006, p. 14. Traduzione
e corsivi sono nostri.
17. J. Rifkin, op.cit., p. 164.
18. L. Boff - M. Hathaway, op. cit., pp. 206-207. Secondo questi autori,
espandere la nostra percezione del sé aiuta a vincere l'impotenza interiorizzata
che può assumere la forma della dipendenza e dell'avidità, della negazione
e del torpore psichico.
19. A. Drengson, Ecophilosophy, Ecosophy and the Deep Ecology Movement:
An Overview”, wds.bologna.enea.it.
20. Citato da L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 211.
21. Cfr. ivi, p. 502. Il pensiero di K. Wilber è tratto da A Brief History
of Everything, 1996.
22. Ibidem.
23. M. Santerini, op.cit., p. 39. La nozione di coscienza come processo
è comparsa in ambito scientifico verso la fine del diciannovesimo secolo
negli scritti di W. James per il quale la coscienza non era una cosa ma
un flusso in perenne divenire, così F. Capra, La scienza della vita cit.,
p. 75.
24. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 393. Damasio ha ben evidenziato
che la coscienza è quel dispositivo che permette di progettare le azioni:
“Per sopravvivere, occorre trovare e incorporare fonti di energia e impedire
ogni genere di situazione che minacci l'integrità dei tessuti viventi.
Senza agire, organismi come i nostri certo non sopravvivrebbero, poiché
non troverebbero le fonti di energia necessarie per rinnovare la propria
struttura e mantenersi in vita […]. Ma di per sé le azioni, senza la guida
delle immagini, non ci porterebbero lontano […]. Le immagini ci consentono
di scegliere tra diversi repertori di schemi d'azione già disponibili
e di ottimizzare l'esecuzione dell'azione scelta […]. La coscienza genera
la conoscenza del fatto che esistono immagini all'interno dell'individuo
che le forma, colloca le immagini nella prospettiva dell'organismo rinviandole
a una sua rappresentazione integrata e in tal modo permette la manipolazione
delle immagini a vantaggio dell'organismo”, Emozioni e coscienza cit.,
p. 39.
25. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 393.
26. O.M. Aïvanhov, La vita psichica cit.
27. Ivi, p. 150.
28. Ibidem.
29. A. Damasio, Emozione e coscienza cit., pp. 24-25.
30. F. Capra, La scienza della Vita cit., p. 88.
31. M. Gandolfini, I Volti della coscienza, Cantagalli Edizioni, 2013.
32. M. di Francesco, G. Piredda, La mente estesa. Dove finisce la mente
e comincia il resto del mondo?, Mondadori Università Milano, 2012.
33. Il modello di mente “che per anni ha dominato nel campo psicologico
e neuroscientifico è stato il ‘modello cognitivo’. Secondo tale modello
la nostra mente è organizzata in moduli, gerarchicamente in relazione
tra di loro, ognuno adibito a svolgere un particolare tipo di compito.
Una specie di complesso computer che deve elaborare l'informazione sensoriale
(che) permette ad un individuo di creare una rappresentazione astratta
del mondo esterno... Tuttavia da alcuni decenni, sta emergendo una nuova
visione della mente in cui le distinzioni nette tra processi percettivi
e motori non sono da considerarsi più valide. Inoltre, viene capovolta
la prospettiva teorica cognitiva in cui il movimento non è coinvolto nei
processi di decodifica della percezione, ma è confinato a funzioni esclusivamente
di tipo esecutivo. Numerose ricerche dimostrano infatti che aree della
corteccia cerebrale che sono coinvolte nel controllo motorio della mano,
ad esempio per afferrare, sono anche attivate dalla sola percezione dell'oggetto
o, come nel caso dei neuroni specchio, durante l'osservazione di un altro
individuo che compie una simile azione” P.F. Ferrari, S. Rozzi, Neuroni
specchio, azione e relazione, Rivista di Feniatria, n.1/2012, p.15. “Il
corpo viene considerato nella maggior parte delle culture come un'entità
inferiore a quella mentale. In realtà il pensiero cosciente è strettamente
correlato con l'attività di aree della corteccia responsabili di movimenti
reali o "immaginati": in altre parole, la stessa area del cervello
entra in funzione quando immagino un movimento e quando questo viene pianificato.
Parlare, cioè articolare una sequenza di sillabe, rassomiglia, in termini
di eventi muscolari sequenziali, a scheggiare una selce o a scagliare
una lancia. In modo analogo, esperienze cinestetiche come in alto e in
basso, destra e sinistra, dentro e fuori, hanno man mano fornito la base
fisica e concreta per lo sviluppo di simboli e metafore utilizzate nel
linguaggio. Esiste insomma uno stretto intreccio tra motricità e pensiero,
sia dal punto di vista della storia naturale dell'uomo, sia dal punto
di vista ontogenetico, sia dal punto di vista del modo in cui la nostra
mente funziona oggi: ad esempio, concentrarsi su un problema, vale a dire
pensare, implica un aumento della tensione muscolare del collo come d'altronde
rilassare i muscoli facciali o atteggiare il volto a un sorriso può modificare
le nostre sensazioni ed emozioni” A. Oliverio Ferraris e A. Oliverio,
Corpo, cervello e linguaggio, relazione al X Congresso nazionale Giscel,
Università di Roma “La Sapienza”, Marzo 2000.
34. La teoria è detta di Santiago in quanto Maturana e Varela erano professori
dell’Università di Santiago in Cile: “il progresso decisivo della visione
sistemica della vita è stato quello di abbandonare la concezione cartesiana
della mente come "cosa", e di rendersi conto che la mente e
la coscienza invece sono processi. Nel campo della biologia, questa nuova
concezione della mente è stata sviluppata negli anni Sessanta da Gregory
Bateson, che ha introdotto l'espressione "processi mentali",
e da Humberto Maturana che si è concentrato sulla cognizione, il processo
della conoscenza. Nel corso degli anni settanta, Maturana e Francisco
Varela hanno poi ampliato le prime intuizioni dello stesso Maturana fino
a sviluppare una teoria completa, che è oggi indicata come la teoria di
Santiago della cognizione. Durante gli ultimi 30 anni, lo studio della
mente condotto secondo questa prospettiva sistemica è fiorito in un ricco
ambito interdisciplinare, quello della scienza cognitiva, che trascende
gli orizzonti tradizionali della biologia, della psicologia, e dell'epistemologia”
F. Capra - Luisi, op. cit., pp. 319- 320.
35. Osserva Damasio che “per i non addetti ai lavori, coscienza e mente
sono pressoché indistinguibili… ma la coscienza è la parte della mente
legata al senso di sé e del conoscere… La coscienza è un ingrediente indispensabile
della mente umana creativa, ma non è tutta la mente umana”, A. Damasio,
Emozione e coscienza cit., pp. 42-43. Chiamiamo «mente», scrive Boncinelli,
“tutto quanto accade nella nostra testa, ma anche quel che di ciò percepiamo.
I due processi non necessariamente coincidono: c'è il momento dell'accadere
e quello del percepire”, La vita della nostra mente, Laterza, 2011, p.VII.
36. F. Varela, Quattro pilastri per il futuro della scienza cognitiva
cit.
37. F. De Waal, op.cit., p. 85.
38. C. Pert, Molecole di emozioni, Corbaccio Editore, 2000.
39. M. Santerini, op.cit., p.24.
40. A. Benini, Il cervello creatore, Il Sole 24 Ore, 19 maggio 2013.
41. A. Damasio, L’errore di Cartesio, Adelphi, 1994, p. 308.
42. F. Capra, La scienza della Vita cit., p. 109. Osserva Capra che “le
prove del fatto che la mente sia incarnata, e le profonde implicazioni
filosofiche che scaturiscono da questa intuizione, vengono presentate
in modo lucido e chiaro da due studiosi di primo piano nel campo della
linguistica cognitiva, Lakoff e Johnson", ibidem.
43. Ivi, p. 110.
44. A. Damasio, Il sé viene alla mente, Adelphi, 2012, p.122. “Corpo e
cervello sono indissolubilmente integrati. D'altronde, è noto fin da tempi
remoti come il cervello e l'intestino siano collegati. Noi "sentiamo"
con la pancia, tanto che utilizziamo svariate metafore per spiegare il
legame tra le viscere (da cui il termine "viscerale" per indicare
qualcosa che viene dal profondo) e la mente. L'intestino viene così definito
"il secondo cervello". Le immagini formate dall'organismo vengono
manipolate dai pensiero e influenzano il comportamento”, M. Santerini,
op.cit., p. 21.
45. A. Damasio, L’errore di Cartesio cit., p. 308.
46. M. Santerini, op.cit., p.136.
47. C. Sinigaglia, relazione al convegno su “Psicologia del senso comune,
cuore, empatia e neuroni a specchio”, Firenze 11 giugno 2008.
48. M. Santerini, op.cit., p. 38.
49. Idem, L'educazione letteraria e giuridica per una cittadinanza mondiale,
Quaderni Focsiv 2008, p. 103 e segg.
50. E. Boncinelli, op.cit., p. 6.
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Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza. |
La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività. |
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Modulo 4. Il nuovo senso civico dello stare insieme in collettività, nella Rete della Vita. Il contributo della scienza .... Modulo 5. L’atto di cooperazione fraterna non è atto di impoverimento o di accettazione passiva dell’altrui egocentrismo Modulo 6. Perché il nostro “Io” si oppone alla cooperazione? Modulo 7. La nostra scelta avanti al bivio: Modulo 8. Il ruolo della coscienza e del modo di vivere per il cambiamento. Modulo 9. La moralità della vita vissuta condiziona i processi cognitivi.... Modulo 10. Gli apporti cognitivi dell’intelligenza del cuore. Modulo 11. Occorre superare il distacco tra cultura e modo di vivere... |
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Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche |