Modulo 4. Il nuovo senso dello stare insieme in collettività, nella Rete della Vita. Il contributo della scienza sulla idea di società quale sistema vivente, sui legami di unità che esistono tra gli esseri umani e la Natura. |
1.
La cooperazione: da opzione etica a necessità individuale e collettiva
2. La società è un sistema vivente
3. La conciliazione tra interesse individuale e interesse collettivo
4. L’uomo si realizza pienamente nella collettività. Il fondamento biologico
della socialità
5. Il dare è anche un ricevere in quanto facciamo parte dello stesso organismo
6. La nostra contraddizione: impieghiamo con egocentrismo le energie della
vita ottenute grazie al lavoro disinteressato dei nostri organi
1. La cooperazione fraterna: da opzione etica a necessità individuale e collettiva.
”Una fraternità è una collettività che possiede una coscienza estesa, i cui membri sono uniti fra di loro e lavorano non solo gli uni per gli altri, ma anche per il mondo intero”
Perché molti invocano la cooperazione fraterna quale extrema ratio, quale chiave risolutiva dei problemi che affliggono l’umanità? Ma cosa connota la società fraterna e perché malgrado le conquiste giuridiche recepite in convenzioni internazionali e in testi costituzionali, la vita sociale pare debba essere rifondata ex novo? Perché malgrado la costituzione di organismi internazionali, le guerre non si arrestano? Il bisogno di legami umani più intensi nelle relazioni sociali, da molti auspicato, in cosa può tradursi concretamente? Forse, la fraternità non si esaurisce in un precetto giuridico o morale o nella costituzione di un organismo internazionale. La fraternità è qualcosa di più di una semplice aggregazione umana o di una collettività quale quella attuale. Buber ha ben posto in luce il carattere precario e paradossale della nostra collettività quando ha rilevato che essa aggrega ma non unisce: “Il collettivismo moderno è l'ultima barriera che l'uomo abbia drizzato a danno dell'incontro con se stesso” (1). L’attuale collettività, aveva già affermato Aïvanhov, non è ancora una collettività fraterna in quanto essa è soprattutto “unione di persone che possono anche non avere alcun legame fra loro. Un paese, ad esempio, o una città è sicuramente una collettività, ma le persone che vivono al suo interno forse si conoscono, si vogliono bene, lavorano coscientemente gli uni per gli altri con amore? No, la maggior parte di essi vive senza conoscere la realtà dei legami che dovrebbero unirli agli altri, perciò non costituiscono ancora una fratellanza. Una fratellanza è una collettività che possiede una coscienza estesa, i cui membri sono uniti fra di loro e lavorano non solo gli uni per gli altri, ma anche per il mondo intero. Una vera fratellanza è una collettività che possiede una coscienza universale” (2).
Concretamente, questa affermazione vuole porre in evidenza che nella collettività fraterna, sul piano psichico o interiore, percepiamo gli altri non come antagonisti, ma come una sorta di prolungamento di noi stessi. In ragione di ciò, proviamo anche su di noi ciò che accade agli altri e ci sforziamo di fare solo del bene, poiché sentiamo e sappiamo che quel bene lo facciamo anche a noi stessi (3).
La fraternità, per molti pensatori, come abbiamo constatato nelle pagine
precedenti, non è una delle opzioni possibili del sistema vivente, ma
l’unica strada possibile invocata anche da coloro che non hanno convincimenti
spirituali. Ciò si spiega con il fatto che solo laddove vi è fraternità,
come sopra intesa, non cresce il germe della separatività cioè della coscienza
antagonista. La filosofia della separatività è stata portata ormai alle
estreme conseguenze in tutti campi della vita, minando le basi della nostra
stessa sopravvivenza.
La cooperazione fraterna esprime una attitudine risolutiva in quanto non
genera il germe del conflitto, dello sfruttamento o dell’odio, è l’unica
attitudine che consente soluzioni sistemiche, in quanto essa è sensibile
agli interessi collettivi e non a quelli di una sola parte. La cooperazione
fraterna può produrre questi benefici in quanto opera nella logica della
famiglia umana unica, nella logica cioè dell’Unità.
L’unico antivirus idoneo a sconfiggere la visione predatoria e antagonista
della esistenza è contenuto, dunque, nella coscienza della fraternità
in quanto ad essa è coessenziale il valore dell’unità relazionale, non
necessariamente presente in altre manifestazioni umane apparentemente
affini, quali la solidarietà e la filantropia.
I comportamenti solidali, evidentemente, sono necessari, ma non sono risolutivi.
Le guerre e le sofferenze sono sempre protagoniste nel pianeta. Spesso
l’appello alla fraternità, a ben vedere, è solo un richiamo alle mense,
ai contributi in denaro, etc. Ma in tal modo, si rischia di non percepire
il fatto che l’umanità può ambire ad essere migliore per ridurre a monte
le cause delle sofferenze, cioè può creare, ab origine, per tutti una
esistenza dignitosa. Se la fame nel mondo non è una condanna naturale,
ma la conseguenza dei nostri comportamenti collettivi, perché il valore
della fraternità deve essere invocato, soltanto, per sfamare i bisognosi?
Spesso l’appello alla fraternità è, purtroppo, un appello ad agire sugli
effetti, ma non sulle cause.
Ma se il principio di fraternità continuerà ad essere confinato nell’agire
delle istituzioni religiose e nella cultura dell’emergenza solidale, i
problemi saranno sempre presenti e non avremo, in seguito, nemmeno le
risorse per essere solidali. Il valore della fraternitas si è affacciato
nell’orizzonte della coscienza umana, non per compensare gli effetti di
una visione della vita, materialistica e approfittatrice, ma per diventare
essa stessa regola ordinante di vita individuale e collettiva, in armonia
con la logica che anima la vita del nostro stesso Universo.
Gli approcci relazionali che si sono manifestati in aiuti materiali o
materialistici si sono rivelati ormai insufficienti: essi sono di fatto
interventi di semplice manutenzione dell’esistente, inidonei a innovare
il cuore delle relazioni interiori tra gli uomini, inidonei ad arginare
i danni connessi all’impostazione attuale della vita sociale, inidonei
a veicolare crescita umana e dignità individuale. La fraternità non può,
dunque, essere confusa con la solidarietà materialistica o con la filantropia
(modulo 3).
2. La società è un sistema vivente.
La società, afferma lo scienziato Capra, non è una aggregazione meccanica, ma è oggettivamente un sistema vivente e come tale dovrebbe essere permeato, soprattutto, dalla cooperazione e associazione. Questo scienziato osserva che anche secondo la teoria sistemica, emersa negli anni Venti e Trenta del XX secolo, tutti i sistemi viventi (organismo, ecosistema o sistema sociale) condividono una serie di proprietà e di principi di organizzazione (4) e tra questi vi è l’esprit di cooperazione il quale ne garantisce la sostenibilità e la sopravvivenza. Fermo restando certamente che “i tre tipi di sistemi viventi multicellulari (organismi, ecosistemi e società) differiscono massimamente nei gradi di autonomia dei loro componenti: mentre negli organismi, i componenti cellulari hanno un minimo grado di indipendenza, i componenti delle società umane, gli individui, hanno un massimo grado di autonomia, godendo delle molte dimensioni di un'esistenza indipendente; infine, le società animali e gli ecosistemi occupano degli spazi variabili tra questi due estremi opposti” (5).
Il nostro universo che cresce ed evolve, afferma lo scienziato Sheldrake,
“è molto più simile a un organismo e lo stesso vale per la Terra [...]
e per noi stessi” (6).
In effetti, da secoli, come rileva Aïvanhov, sosteniamo che l'umanità
è un organismo, è come un corpo (pensiamo alla metafora organicista),
ma poi in realtà, non poniamo in luce le conseguenze pedagogiche e comportamentali
derivanti da questa affermazione in quanto "pochissime persone lavorano
affinché gli organi dell'umanità siano ispirati dalla stessa saggezza,
dallo stesso disinteresse degli organi del corpo fisico; ciascuno non
pensa che a sé, a detrimento degli altri. È dunque tempo di prendere come
esempio l'organismo umano che la natura ha costruito con tanta scienza,
studiare il suo funzionamento, vedere in quali casi si trova in buona
salute e in quali la salute manca, e comprendere che le stesse regole
valgono per l'insieme dell'umanità"(7).
Anche ad avviso della biologa
Sahtouris la grave situazione nella quale versiamo è dovuta al fatto
che non abbiamo voluto ammettere che noi esseri umani siamo un sistema
vivente allo stesso modo dei nostri corpi individuali e delle nostre famiglie:
“stiamo attraversando una profonda crisi perché l’aspetto centrale e fondamentale
della globalizzazione, la sua economia, è attualmente organizzato in maniera
tale da violare gravemente i principi fondamentali dei sistemi viventi
sani, minacciando di morte la nostra civiltà... Finora, nella nostra fase
adolescenziale (durata diecimila anni) abbiamo utilizzato grandi quantità
di risorse terrestri per costruire le nostre società, nazioni e imprese.
Ma adesso riconosciamo che questa distruzione deve finire, e dobbiamo
creare alleanze più cooperative. Questo è il nostro imperativo biologico,
e la nostra alternativa al suicidio in quanto specie. L’ostacolo principale
è il nostro sistema economico, perché la sua mentalità fondata sulla perdita
o il guadagno è appropriata solo per una specie infantile. Il capitalismo
competitivo è un sistema programmato per concentrare la ricchezza nelle
mani di pochi, impoverendo inevitabilmente la grande maggioranza. Un comportamento
così distruttivo è possibile solo perché non abbiamo riconosciuto che
noi, in quanto specie, siamo un sistema vivente, allo stesso modo dei
nostri corpi individuali e le nostre famiglie. Le famiglie non riducono
alla fame tre figli per sovralimentare il quarto, né abbelliscono un angolo
del giardino distruggendo gli altri tre… L’innovazione più grande di cui
abbiamo bisogno è una concezione scientifica del mondo completamente nuova,
basata sulla prospettiva degli esseri viventi” (8).
Eppure, come abbiamo sopra rilevato, la metafora organicista è stata impiegata
dai pensatori fin dall'antichità (si pensi al trattato
giuridico di Manu, alla dottrina platonica della Repubblica,
al pensiero di Aristotele esplicitato nel Trattato
dei governi, all’apologo di Menenio
Agrippa riportato da Tito Livio, alla dottrina spirituale del Corpo
mistico dell’apostolo Paolo, all’idea dello Stato come essere vivente
elaborata da Marsilio da Padova nel Defensor
Pacis, etc.) (9).
Ma nel pensiero di Aïvanhov, è bene precisare, l’analogia con l’organismo
umano non è finalizzata a esprimere valutazioni sugli assetti sociali
(10), ma è tesa a valorizzare una modalità comportamentale, ovvero, la
legge secondo la quale come la vita e la salute del corpo poggiano sul
lavoro cooperativo tra la cellule e gli organi, così la società umana
deve poggiare sui comportamenti umani improntati alla medesima qualità
dei loro organi, in primis, al lavorare per la collettività con disinteresse
(11), cioè senza la ricerca dell’interesse egocentrico: “il corpo fisico
obbedisce a una legge: tutti gli organi devono lavorare insieme e disinteressatamente
per il bene di tutta la persona. Come non vedere che l'essere umano è
vivo e sta bene soltanto grazie a questo lavoro disinteressato? La conclusione
da trarre è perciò che si riceve mille volte di più, essendo disinteressati
anziché egoisti. L'egoista crede che, pensando solo al proprio interesse,
trarrà necessariamente dei vantaggi; invece no, così facendo introdurrà
in sé la malattia. Gli esseri umani si danno costantemente da fare per
avere più degli altri, per dominarli e avere la meglio [...] e sono anche
fieri di questo atteggiamento. Questo dimostra che non hanno capito la
lezione dell'organismo: tutti i giorni il corpo mostra loro che quel tipo
di comportamento li mette a rischio, perché introducono in sé stessi i
germi della separazione. "Sì", direte voi, "ma con l'abnegazione
e il sacrificio si finisce per deperire." No, succede proprio il
contrario, perché soltanto così sarete in grado di introdurre in voi la
salute, l'armonia”(12).
La menzionata prospettiva concettuale valorizza non la semplice interdipendenza
tra gli esseri, ma le qualità potenziali della nostra coscienza, cioè
la vocazione alla collettività e alla fraternità, e del nostro modus agendi,
cioè il lavorare con disinteresse. La concezione “corrente di interesse
si è talmente allontanata dal suo significato originario (inter-esse,
essere in mezzo) che quando questo termine viene usato esso viene quasi
sempre inteso con connotazioni negative sotto il profilo morale” (13).
Pertanto, appare opportuno precisare che l’agire con disinteresse non
è dunque l’agire in assenza di interesse, ma è precisamente l’agire per
l’interesse collettivo e fraterno, senza attendersi ricompense.
Quindi lavorare con disinteresse per la collettività rappresenta, a ben
vedere, il nostro vero interesse: “Fintanto che gli esseri umani anteporranno
i propri interessi personali a quelli della collettività, non vi sarà
soluzione ai loro problemi. Quando dico "interessi della collettività"
non si tratta soltanto della collettività degli esseri umani, ma dell'universo
intero, di cui si servono sempre unicamente per soddisfare se stessi.
Guardate come sfruttano gli animali, gli alberi, le montagne, i fiumi,
il mare... E se poi un giorno dovessero avere i mezzi tecnici adatti,
vedreste che cosa non farebbero con il Sole, la Luna o gli altri pianeti!
Tutto ciò che esiste viene utilizzato, in vista di un solo scopo: la soddisfazione
dei bisogni materiali dell'uomo. È ora di sostituire il fine con i mezzi,
avere come scopo la fratellanza universale e utilizzare per questo fine
tutti i mezzi a nostra disposizione, tutte le nostre qualità, facoltà
ed energie. Solo a questa condizione saranno risolti i problemi dell’umanità“
(14).
Allo stesso modo, l’agire gratuitamente, cioè “il dono gratuito” non è
connotato dal “disinteresse totale”, in quanto ricomprende al suo interno
una dimensione dell’interesse finalizzato “a costruire la fraternità”(15).
Mentre il dare nello “scambio economico è sempre ‘in attesa di’ ed è come
finalizzato ad un ricevere, il donare invece è un dare che è ‘senza relazione’
con il ricevere”(16).
3. La conciliazione tra interesse individuale e interesse collettivo.
“La contrapposizione tra interesse personale e interesse collettivo non ci consente di afferrare ciò che costituisce il bene comune, e cioè “il bene dello stesso essere in comune”
Marco
Aurelio sosteneva: “Siamo nati per la
cooperazione, l’agire gli uni contro gli altri è dunque contro natura
e se la mente ci è comune, anche la ragione, per la quale siamo razionali,
ci è comune, siamo partecipi di una comunità organizzata. Tutti cooperiamo
per un unico risultato”(17).
Anche il funzionamento dell’organismo osservato nel suo stato normale
e in quello patologico comprova che occorre sì perseguire il proprio interesse
ma in armonia con la collettività nella quale si vive e dalla quale si
dipende. Non è concepibile, se non in termini illusori e contingenti,
il bene individuale in opposizione o prescindendo dal bene comune. Le
condotte egoistiche e individualistiche, non essendo coerenti con il bene
comune, sono autolesionistiche.
Come osservava acutamente Tocqueville,
“l'egoismo è un amore appassionato ed eccessivo di sé, che spinge l'uomo
a riferire tutto soltanto a se stesso e a preferire se stesso ad ogni
cosa. L'individualismo è un sentimento che porta ogni cittadino a isolarsi
dalla massa dei suoi simili e ritirarsi in disparte con la sua famiglia
e i suoi amici; cosicché, dopo essersi creato una piccola società per
il suo tornaconto, abbandona volentieri la grande società a se stessa.
L'egoismo nasce da un istinto cieco; l'individualismo deriva invece più
da un giudizio errato che non da un sentimento depravato. Trae origine
tanto dai limiti dell'intelletto, quanto dai vizi del cuore. L'egoismo
inaridisce il germe di tutte le virtù; l'individualismo in un primo tempo
si limita a prosciugare la sorgente delle virtù pubbliche, ma alla lunga
attacca e distrugge tutte le altre e alla fine confluisce nell'egoismo”(18).
La contrapposizione tra interesse personale e interesse collettivo si
rivela nella sua drammaticità se poniamo a raffronto le esigenze della
sostenibilità ecologica con il modo in cui è strutturata l’economia della
nostra società: “L'economia mette in evidenza competizione, espansione
e dominio; l'ecologia mette l'accento su cooperazione, conservazione e
collaborazione” (19). Si dimentica spesso che “la collaborazione è una
caratteristica essenziale delle comunità sostenibili. Gli scambi ciclici
di energia e di risorse in un ecosistema sono mantenuti da rapporti di
totale cooperazione. Effettivamente, fin dalla creazione delle prime cellule
nucleate più di due miliardi di anni fa, la vita sulla Terra procede attraverso
rapporti di cooperazione e coevoluzione sempre più intricati. La collaborazione
- la tendenza ad associarsi, a stabilire legami, e cooperare - è uno dei
segni di riconoscimento della vita. Nelle memorabili parole di Margulis
e Sagan: la vita non ha vinto sul globo combattendo, ma facendo rete”
(20).
La contrapposizione tra interesse personale e interesse collettivo non
ci consente di afferrare ciò che costituisce il bene comune, e cioè “il
bene dello stesso essere in comune” ove in realtà “il bene del singolo
non scompare, in modo indifferenziato all’interno di una grandezza” intesa
come semplice sommatoria dei beni dei singoli” (21).
Il bene comune non è dunque dissociabile dal bene individuale. Danneggiare
e depauperare il bene comune vuole dire arrecare lesioni anche a se stessi.
4. L’uomo si realizza pienamente nella collettività. Il fondamento biologico della socialità.
“La relazione sociale è inscritta nel nostro codice genetico, fa parte del nostro patrimonio biologico”
La
prospettiva di una visione armonica tra cura dello sviluppo individuale
e cura dello sviluppo della società è accolta, come potenzialità, anche
nella Costituzione se pensiamo che l’obiettivo di promuovere il pieno
sviluppo di ogni persona umana (art.3, comma secondo, Cost.) non è in
conflitto con l’obiettivo di favorire l’interesse generale (art.118, u.c.):
“creare le condizioni grazie alle quali ciascuno possa realizzare le proprie
capacità è solo apparentemente un obiettivo per così dire "egoistico",
che interessa unicamente il soggetto destinatario dell'intervento pubblico;
in realtà è un obiettivo che interessa l'intera collettività, esattamente
nello stesso senso in cui la Costituzione afferma all'art.32, 1°c. che
la salute è un fondamentale diritto dell'individuo ma anche un interesse
della collettività. Così come è evidentemente nell'interesse dell'intera
collettività che i suoi membri siano in buona salute, allo stesso modo
è interesse generale che a tutti i membri della collettività sia data
l'opportunità di realizzare se stessi esercitando le proprie capacità,
perché questo "arricchisce" l'intera collettività, non solo
i soggetti interessati”(22).
Oggi, sostiene il biologo molecolare Boncinelli,
le neuroscienze ci spiegano perché l’uomo si realizza pienamente solo
nella collettività: “l'uomo è caratterizzato soprattutto dalla sua dimensione
collettiva. Nel collettivo l'uomo trova la sua cifra più vera e letteralmente
unica. Nessuno da solo può raggiungere una qualsiasi conclusione che sia
diversa da quanto gli fanno credere i suoi sensi, ma un collettivo sì.
Le conclusioni dei singoli possono essere avallate, contraddette o corrette
da un collettivo di uomini operanti in un sufficiente lasso di tempo.
Da soli non avremmo una logica, che è una costruzione eminentemente collettiva,
visto che nessuno di noi è perfettamente logico. Da soli non avremmo una
scienza, prodotto di una continua interazione fra uomini e fra uomini
e cose. Da soli non avremmo una storia né la capacità di conoscere fatti
di terre lontane. Anche se ci impegnassimo allo spasimo, ciascuno di noi
non vive abbastanza per raggiungere da solo tali obiettivi. Aristotele
definì a suo tempo l'uomo un «animale politico» cogliendo così allo stesso
tempo l'aspetto della sua socialità e della sua interattività [...] l'uomo
deve assolutamente essere sociale per essere uomo. Non tanto e non solo
perché vivere in comunità è utile per condurre una vita migliore, ma perché
è il vivere in un collettivo, almeno per un lungo periodo iniziale, che
fa di un essere umano un essere umano” (23).
Uno dei personaggi del romanzo,“I
Fratelli Karamazov”, spiega con parole tuttora attuali come l'isolamento
umano si ponga in contrasto con la legge naturale di fraternità: “Per
rifare il mondo da capo, occorre che gli uomini stessi imbocchino psicologicamente
un'altra strada. Fintanto che ciascun uomo non sarà diventato veramente
fratello del suo prossimo, la fratellanza non avrà inizio. Nessuna scienza
e nessun interesse comune potrà indurre gli uomini a dividere equamente
proprietà e diritti. Qualunque cosa sarà sempre troppo poco per ognuno
e tutti si lamenteranno, si invidieranno e si ammazzeranno l'un l'altro.
Voi mi domandate quando avverrà tutto questo. Avverrà, ma prima deve compiersi
il periodo dell'isolamento umano [...]. Quello che domina attualmente
in ogni dove, soprattutto nel nostro secolo, ma che non è ancora concluso,
non è ancora giunto al termine. Giacché ognuno tenta di separare al massimo
la propria individualità, vuole sperimentare in se stesso la pienezza
della vita; ma, al contrario, tutti i suoi sforzi non raggiungono la pienezza
della vita, bensì l'autodistruzione, giacché, invece di realizzare pienamente
il proprio essere, l'uomo si chiude nell'isolamento più completo [...].
Dappertutto, oggigiorno, la mente umana ha preso ad ignorare, con aria
di scherno, che la vera sicurezza dell'individuo non risiede nello sforzo
isolato e individuale, ma nell'universale solidarietà umana. Ma sarà inevitabile
che venga la fine anche di questo terribile isolamento e che tutti insieme
capiscano di essersi separati in maniera innaturale l'uno dall'altro.
Sarà lo spirito del tempo e gli uomini si meraviglieranno di essere rimasti
così a lungo fra le tenebre senza vedere la luce. Allora nel cielo si
vedrà il segno del Figlio dell'Uomo [...]. Ma fino a quel giorno dobbiamo
proteggere il vessillo: l'uomo, anche da solo, deve dare l'esempio e innalzare
l'anima dall'isolamento a un gesto di comunione fraterna, anche se dovrà
passare per un folle stravagante. E tutto per non permettere che la grande
idea muoia" (24).
Lo stesso Einstein in un saggio del 1949 aveva così stigmatizzato la crisi
interiore dell’uomo prigioniero del proprio egoismo e isolamento: ”Ho
raggiunto oggi il punto in cui posso indicare brevemente in cosa consiste
per me l’essenza della crisi del nostro tempo. Riguarda la relazione dell’individuo
con la società. L’individuo è diventato più conscio che mai della sua
dipendenza dalla società. Ma non vive questa dipendenza come un valore
positivo, come un legame organico, come una forza proattiva, ma piuttosto
come una minaccia ai suoi diritti naturali, o persino alla sua esistenza
economica. In più, la sua posizione nella società è tale che gli impulsi
egoistici della sua formazione si accentuano costantemente, mentre i suoi
impulsi sociali, che sono per natura più deboli, si deteriorano progressivamente.
Tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro posizione nella società,
soffrono per questo processo di deterioramento. Prigionieri inconsapevoli
del loro stesso egoismo, si sentono insicuri, soli, e privati di quel
godimento naturale, semplice, e genuino della vita. L’uomo può trovare
il significato della vita, breve e problematica come è, solo dedicando
se stesso alla società” (25).
Anche il fondamento biologico del fenomeno sociale, per due autorevoli
scienziati quali Maturana
e Varela,
risiede nell’accettazione degli altri: “senza l’accettazione degli altri
che vivono accanto a noi, non c’è fenomeno sociale e quindi non v’è umanità.
L'emozione fondamentale che rende possibile l'ominazione è l'amore, non
sto parlando da un punto di vista cristiano [...] la parola amore è stata
snaturata, e a furia di ripetere che l'amore è qualcosa di speciale e
difficile, si è svigorita anche l'emozione che connota. L’amore è costitutivo
della vita umana, è il fondamento del sociale” (26).
Non a caso oggi si parla di cervello sociale, ponendo attenzione “su nuovi
modelli di intelligenza, tra cui quella denominata “intelligenza emotivo-sociale”.
Finora si considerava solo l’intelligenza logico-matematica, rappresentata
dal Q.I. tradizionale, ritenendola un dato genetico e perciò immodificabile
dall’esperienza. Ora si sta dimostrando invece come le capacità dell’intelligenza
sociale siano influenzate fortemente dalle relazioni interpersonali e
possano essere apprese e potenziate nel corso della vita. Tra queste abilità
sono comprese innanzitutto l’empatia (ossia la capacità di riconoscere
emozioni e sentimenti negli altri, riuscendo a comprenderne punti di vista,
interessi e difficoltà interiori), ma anche la conoscenza di sé, l’attenzione
(intesa come la capacità che consente l’ascolto attivo e permette il dialogo),
l’autocontrollo delle situazioni, la sollecitudine verso gli altri, etc.
Le tecniche di neuroimmagine funzionale del cervello stanno evidenziando
una sorta di mappa del nostro “cervello sociale”, cioè le reti di neuroni
che si attivano e cooperano durante l’interazione tra persone. Si è visto
che si crea in ogni interazione un legame funzionale, una sorta di adattamento
reciproco tra i cervelli che si connettono e che si influenzano a vicenda”
(27).
Gli esseri umani appaiono essere programmati per essere relazionali, osserva
Gallese: “La relazione sociale è inscritta nel nostro codice genetico,
fa parte del nostro patrimonio biologico. Ovviamente le modalità con cui
possiamo declinare questa relazione sono molteplici e sono in gran parte
influenzate dalla qualità e dalla quantità di relazioni che noi esperiamo
durante il nostro sviluppo, che non è solo somatico ma anche, se non soprattutto,
uno sviluppo di tipo psico-affettivo. Abbiamo questo meccanismo di risonanza,
che ci mette tutti, seppure in maniera diversa, automaticamente nella
posizione di “mappare” il sentire e l'agire altrui” (28).
Sulla base delle recenti scoperte nel campo della neurologia e delle scienze
dell'età evolutiva, afferma Rifkin, è da rivedere l'inveterata convinzione
che gli esseri umani siano per natura aggressivi, materialisti, utilitaristi
e dominati dall'interesse personale: vi è "la graduale presa di coscienza
del fatto che siamo membri di una specie profondamente empatica"
(29). Spesso si afferma che “noi siamo quelli che non riconoscono i bisogni
degli altri: siamo egocentrici, mercenari, narcisisti. Pensiamo prima
di tutto a noi stessi, e siamo motivati solo dal nostro interesse personale,
che abbraccia fino all'ultimo ossicino del nostro corpo. Si dice che persino
i nostri geni siano egoisti. Eppure la storia della biologia non si riduce
alla sola competizione: in questa visione manca qualcosa di più profondo
[...] in realtà lo studio della biologia, dovrebbe portarci ad affermare
che siamo supercooperatori e che l'altruismo e la collaborazione sono
meccanismi fondamentali nel processo evolutivo” (30).
Una delle cose fondamentali di cui sono convinto, ha affermato il Dalai
Lama, “è che la natura umana sostanzialmente sia incline alla compassione
e all'affetto. La fondamentale natura umana è gentile, non è aggressiva
né violenta [...] tutti gli esseri umani condividono la natura divina.
Aggiungerei inoltre che quando esaminiamo il rapporto fra la mente, o
coscienza, e il corpo, ci accorgiamo di come gli atteggiamenti, le attitudini
e gli stati mentali positivi, come la compassione, la tolleranza e il
perdono, sono strettamente collegati con la salute e il benessere fisico
e accrescono il benessere, mentre gli atteggiamenti e i sentimenti negativi,
l'ira, l'odio, gli stati di grande turbamento mentale, minano la salute.
Si potrebbe affermare che questo nesso dimostra come la nostra fondamentale
natura umana sia sostanzialmente incline ad atteggiamenti e a sentimenti
positivi” (31).
In effetti, le evidenze scientifiche comprovano sempre più come il benessere
fisiologico e psicologico sia collegato ad attitudini cooperative e altruistiche.
Ci ricorda Veronesi
che “da alcuni decenni, soprattutto dopo la scoperta del Dna, la scienza
della moderna genetica molecolare e l'antropologia delle più avanzate
teorie evoluzionistiche cercano di dare una risposta ad alcune domande
fondamentali: dove nasce il nostro senso della bontà? perché siamo buoni?...
Gregory Berns, professore di psichiatria alla Emory University di Atlanta,
utilizzando tecniche di imaging cerebrale ha scoperto che quando le persone
mettono in atto comportamenti altruistici nel loro cervello aumenta il
flusso di sangue proprio nelle aree che vengono attivate dalla vista di
cose piacevoli... Come dire che un gesto generoso, il semplice fare la
carità, è già sufficiente a farci sentire felici” (32).
Anche l'intero processo di evoluzione può essere riguardato in termini
diversi da quelli tradizionali. Ad esempio, l’astrofisico Jantsch,
teorico della co-evoluzione, basandosi sulle teorie di Prigogine,
osserva che detto processo non è un “sistema casuale di crescita ma un
sistema intelligente e ordinato di individui che crescono grazie alla
auto-trascendenza, intesa come capacità di trasformare se stessi oltre
i propri limiti attuali, e alla co-evoluzione. La co-evoluzione si pone
in modo polare rispetto al concetto di competizione individuale evolutiva,
come lotta per la sopravvivenza di ogni singolo essere contro tutto e
tutti. Nella co-evoluzione si pone in risalto l’elevatissima coerenza
e cooperazione che si instaura tra individui della stessa specie e anche
di specie diverse come logica di migliore evoluzione collettiva” (33).
Quanto detto fin qui, illustra bene perché l’egoista è infelice non appena
cessa l’euforia momentanea del “prendere”. In effetti l’egoista non può
provare felicità: "L'egoista non può essere felice, poiché nel suo
cuore, nella sua anima, tutto è ristretto. Per essere felici bisogna allargarsi
fino ad abbracciare il mondo intero, e soltanto l'amore permette tale
dilatazione. Colui che possiede molto amore si estende, si dilata, abbraccia
l'universo [...] tutto si apre a lui” (34). L’egoismo comprime in noi
l’aspetto collettivo, comprime cioè una parte di noi, una parte profonda
del nostro essere uomini, rendendoci inevitabilmente insoddisfatti.
L’avaro si rifiuta di legarsi all’altro, osserva Zamagni, “per la semplice
ragione che non ama se stesso, ma solamente “la roba” che accumula. Secondo
la celebre espressione di Kierkegaard,
la porta della felicità si apre verso l’esterno, sicché può essere dischiusa
solo andando “fuori di sé”. Il che è proprio quanto l’avaro non riesce
a fare” (35).
Andando verso l’esterno in realtà ritroviamo una parte di noi stessi:
è questa la grande esperienza anche cognitiva della fraternità, non sufficientemente
valorizzata dalla cultura ufficiale. Negare l’apertura alla fraternità
vuole dire accettare di mappare su se stessi la parzialità. Se non regoliamo
i conti correttamente con la fraternità cioè con la vita universale, deformiamo
i nostri processi cognitivi, emotivi e comportamentali, cioè viviamo una
esperienza umana dimidiata, fortemente incompleta.
5. Il dare è nel contempo anche un ricevere in quanto facciamo
parte dello stesso organismo.
“Il cuore non pulsa per se stesso, ma per tutto l'organismo; lo stomaco non digerisce per se stesso ma per tutto l’organismo”
Riusciamo
dunque a essere in vita e a vivere in salute, come puntualizza Aïvanhov,
grazie alla cooperazione fraterna, al lavoro svolto per l’interesse collettivo
dal nostro organismo. Appare opportuno soffermarci nuovamente su questo
concetto per sottolineare ulteriormente questa semplice ma fondativa riflessione:
“il cuore non pulsa per se stesso, ma per tutto l'organismo; lo stomaco
non digerisce per se stesso ma per tutto l’organismo, etc. Ma se le cellule
iniziano a lavorare solo per se stesse, arrivano le malattie. La stessa
legge vale per l’umanità e la società, perché anche esse sono un organismo.
Se le nazioni, come gli organi, vivono con spirito di separatività ne
seguono ostilità, guerre, miserie. L’umanità si ammala allo stesso modo
di come accade al singolo uomo” (36). La scienza, infatti, conferma che
“l'essenza della vita è l'integrazione, vale a dire la mutua relazione
tra organi specifici, cuore e reni, cervello e polmoni, etc. Quando questo
legame reciproco scompare, il sistema smette di essere un'unità integrata
e incorre nella morte” (37).
Il dare per gli interessi della collettività, dunque, è un elemento costitutivo
del nostro essere in vita e in salute, ed è, nel contempo, anche un ricevere
in quanto facciamo parte dello stesso organismo. Questo purtroppo oggi
ci sfugge in quanto non percepiamo questa dipendenza, questa comunione
di vita, soggiogati dalla visione oculare della separatezza fisica degli
esseri dalla quale facciamo discendere la separatezza delle nostre vite
psichiche, dei nostri comuni destini e dei nostri comuni interessi.
Anche l’endocrinologo Chopra,
corroborando implicitamente l’impostazione di Aïvanhov,
mette in evidenza alcune caratteristiche del comportamento delle nostre
cellule
le quali possono, a ben vedere, costituire in piccolo un modello dell’intero
cosmo, fonte di insegnamento per la nostra vita relazionale: “La saggezza
delle cellule è più antica di quella della corteccia cerebrale, e può
rappresentare il modello ideale dell'unica cosa più vecchia di loro, cioè
del cosmo. Ovunque mi capiti di volgere lo sguardo, vedo ciò che la saggezza
cosmica cerca di ottenere, e che corrisponde a quello che io stesso tento
di realizzare: crescere, espandere, creare. La differenza principale è
data dal fatto che il mio organismo collabora con l'universo meglio di
quanto potrei fare io in maniera consapevole. Ogni cellula del nostro
corpo lavora in maniera spontanea per proteggere l'intero organismo, ponendo
al secondo posto il suo benessere soggettivo […] per le cellule l'egoismo
non è un'opzione accettabile. Le cellule comunicano tra loro. Le molecole
che svolgono il ruolo di messaggeri corrono in tutte le direzioni per
informare gli avamposti del corpo in merito alle intenzioni e ai desideri
formulati. Nessuna di loro può scegliere di rifiutarsi di trasmettere
le informazioni o di passarle solo in parte. Ogni singola cellula riconosce
l'importanza delle altre. Tutte le funzioni corporee sono interdipendenti
tra loro. Agire in perfetta solitudine è impensabile. Donare è la capacità
primaria della cellula, che le consente di mantenere l'integrità delle
sue compagne. La completa disponibilità a dare rende automatico il gesto
di ricevere, che corrisponde all'altra metà di un ciclo naturale” (38).
Laitman,
esperto di Ontologia
e Teoria della Conoscenza, osserva nella stessa direzione che “le cellule
dell’organismo sono unite da un vincolo di donazione reciproca e tutte
concorrono al mantenimento del corpo. Ogni cellula usa ciò che è necessario
al suo sostentamento e dona la restante energia a beneficio dell’organismo.
In ogni livello della Natura, l’individuo lavora per il bene di un tutto,
del quale è parte integrante e nel farlo trova la pienezza. Senza il funzionamento
altruista, il corpo non potrebbe sussistere e la vita stessa non sarebbe
possibile. Oggi, dopo numerose ricerche in diversi campi, la scienza è
arrivata alla conclusione che anche l’umanità, è parte di un unico organismo,
ma purtroppo non sembra ancora rendersene conto. Dobbiamo capire che tutti
i problemi attuali non sono una semplice coincidenza e non potremo risolverli
con le formule usate in passato, ma continueranno a crescere fino ad obbligarci
ad adempiere alla legge della Natura, la legge dell’altruismo. Quando
indaghiamo la Natura in profondità troviamo sempre più esempi di reciproca
connessione. La Natura ha progettato la vita in maniera tale che ogni
cellula deve diventare altruistica nei confronti delle altre, in modo
tale da costruire un corpo vivente. Lo scopo generale di tutto l’universo,
è che l’umanità raggiunga lo stato nel quale tutti i suoi componenti siano
come una famiglia. Tutti prenderanno in considerazione gli altri e diventeranno
garanti di tutti ed ognuno” (39).
Recentemente, anche il biologo cellulare Lipton
ha posto in luce che abbiamo molto da apprendere dalle nostre cellule,
per impostare la nostra vita sociale: ”la civiltà umana (“soltanto” sette
miliardi di esseri umani) sta attualmente lottando per sopravvivere. Contemporaneamente,
i cinquanta trilioni di cittadini cellulari sotto alla nostra pelle vivono
in armonia e gioia. La tecnologia cellulare è ben più sofisticata di qualunque
cosa gli esseri umani siano mai riusciti a concepire”. Riguardo al governo,
osserva Lipton, “il sistema cellulare incarna il motto “e pluribus unum”,
cioè “da molti, uno”. Ogni cellula è “libera” di prosperare, a patto che
contribuisca al benessere dell’intero sistema. La politica che divide,
dualistica, nel corpo è sconosciuta. Polarità diverse (come proteine e
lipidi) cooperano per creare un tutto integrato” (40).
Il biochimico Carlo
Remigio Rossi ci invita a riflettere sul fatto che “non pensiamo mai
alle nostre cellule: sono esseri microscopici, ad una analisi superficiale
sembrano tutti uguali, in realtà si diversificano da organo a organo,
da tessuto a tessuto, perché hanno compiti diversi, ma vivono e lavorano
in perfetta armonia per farci correre, gioire, piangere, amare, pensare”
(41).
Certamente, tra gli altri, anche Bourgeois,
premio Nobel per la pace nell’anno 1920, traeva il fondamento della famosa
“doctrine de la solidarité des êtres” proprio dal funzionamento della
vita (42) e, ancor prima, Louis
Blanc, nella prima metà dell’Ottocento, sosteneva la rilevanza paradigmatica
del modello del corpo umano ai fini di una ottimale organizzazione della
società: ”le principe de la fraternité est celui qui, regardant comme
solidaires les membres de la grande famille, tend à organiser un jour
les sociétés, œuvre de l'homme, sur le modèle du corps humain, œuvre de
Dieu” (43).
Ma a tutt’oggi, non siamo andati oltre alla semplice constatazione dell’esistenza
della legge di interdipendenza e all’adozione di misure socio-economiche
di solidarietà, in quanto abbiamo estromesso dai nostri paradigmi le relazioni
interiori, le relazioni psichiche tra le parti, cioè tra gli esseri viventi.
Abbiamo affidato da tempo, lo sviluppo della nostra cittadinanza e il
nostro benessere a due grandi istituzioni, allo Stato e al Mercato: ma
”se tutto ciò che sta fuori dal binomio Stato-mercato diventa irrilevante
agli effetti della cittadinanza, la cittadinanza deperisce […] enormi
problemi sociali derivano dalla rimozione e dalla distorsione delle relazioni
intersoggettive, come è evidente nelle cosiddette patologie della modernità
[…] la cittadinanza non si può reggere sull’assistenzialismo (lo Stato),
né può essere fondata sull’individualismo (il Mercato)” (44).
È giunto il momento di considerare la legge di cooperazione fraterna quale
nuova linfa vitale per il pactum societatis, quale “modello di ogni organizzazione
che deve riflettersi dapprima nella nostra famiglia, ma anche nella società,
nella nazione ed ancora oltre, nell'intero pianeta" (45).
In effetti, la singola famiglia dovrebbe essere la prima scuola di fraternità.
Anche per Bergoglio
“la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia,
soprattutto grazie ai ruoli responsabili e complementari di tutti i suoi
membri, in particolare del padre e della madre. La famiglia è la sorgente
di ogni fraternità” (46). La fraternità può prendere l’abbrivio dalla
famiglia ma non può esaurirsi in essa (47). Come osservava Tolstoi,
lo stesso “matrimonio cristiano non è possibile se un uomo non ha amore
che per sua moglie e niente per tutti i suoi simili; la persona ch'egli
sposa dev'essere la base del suo affetto fraterno per tutti gli uomini.
Com'è fuori dubbio che non si può costruire una casa senza le fondamenta,
o dipingere un quadro senza che la tela sia stata preparata, così l'amore
coniugale non può essere legittimo, ragionevole o durevole, se non riposa
sull'amore dell'uomo per l'uomo in generale. È il solo modo di stabilire
una vita di famiglia veramente cristiana” (48).
6. La nostra contraddizione: impieghiamo
con “egocentrismo” le energie della vita ottenute grazie al lavoro disinteressato
dei nostri organi.
“La
fraternità è un valore che esprime il legame di se stessi con l'interesse
generale, è un valore che esprime un profondo civismo”
Noi
viviamo effettivamente in una grande contraddizione: riceviamo la salute
e la vita grazie al lavoro disinteressato dei nostri organi e delle nostre
cellule, ma ne impieghiamo il frutto in una logica molto “interessata”,
tradendone l’essenza oblativa e diventando, in tal modo, profittatori
di risorse e infelici.
Se la cooperazione fraterna è espressione della vita e della salute del
nostro organismo, perché essa non dovrebbe costituire una modalità naturale
della nostra vita relazionale?
Il trattenere per sé la vita che si riceve è un grande errore compiuto
nell’illusione di potere avere di più. Certamente, “è normale desiderare
sempre più soldi, titoli, posizioni, possedimenti. Quando tutto questo
comincia a diventare anormale? Il nostro organismo ce lo spiega così chiaramente
che nessuno lo può contraddire. Che cosa fa lo stomaco quando gli date
il cibo? Prende ciò di cui ha bisogno. Ed anche ciò che prende, non lo
utilizza soltanto per sé, ma lo lavora impregnandolo di differenti succhi
per distribuirlo poi a tutto il corpo. Lo stomaco trattiene soltanto ciò
che gli necessita per alcune ore, passate le quali, se reclama nuovamente
un po' di cibo, è solo in funzione dei suoi bisogni. Grazie alla saggezza
dello stomaco l'uomo si mantiene in buona salute. Supponiamo ora che lo
stomaco dica: "Adesso tengo tutto per me! A che serve continuare
a dare qualcosa a tutti questi sciocchi? E poi non si sa mai che cosa
ci riserva il futuro, ho tutta una progenie a cui debbo assicurare la
sopravvivenza". Così incomincia ad accumulare il cibo, ed ecco sopraggiungere
la malattia. Se gli uomini riflettessero, si accorgerebbero che si stanno
comportando come uno stomaco avido ed egoista, mettendo a repentaglio
la buona salute di quell'immenso organismo che è l'umanità" (49).
In natura, “non esistono disoccupati e rifiuti, se l’economia si ispirasse
alla natura, in dieci anni si potrebbero creare milioni di posti di lavoro”
(50).
D’altronde, tutti noi constatiamo come la società tenda a disgregarsi,
a impoverirsi laddove nei suoi componenti difetti il solo sentire comune,
il solo senso civico dello stare insieme. Congiuntamente alla disgregazione
si manifesta inevitabilmente l’accesa conflittualità tra le parti. Shakespeare,
in
Troilo e Cressida, fa dire a Ulisse, in relazione alla crisi della
sua città natale,: «se la comunità non è l’alveare al quale prestan tutte
il lor concorso le api operaie, qual miele mai ci si potrà aspettare?».
Se una società versa in una situazione di disgregazione, ciò vuole dire
che non predomina in essa una coscienza di vita “disinteressata” in quanto
i suoi componenti lavorano solo per se stessi, contrariamente a quanto
accade in un corpo sano ove gli organi lavorano in modo cooperativo al
fine di mantenerci in vita e in salute.
Quando scema “l’interesse per l’altro (e non già all’altro) che nasce
dal desiderio del legame”, la società entra in crisi: “un’idea questa
che venne magistralmente compresa e illustrata da G.
B. Vico quando previde che il declino di una società inizia nel momento
in cui gli uomini non trovano più dentro di sé la motivazione per legare
il proprio destino a quello degli altri” (51).
Il principio di fraternità è, infatti, l’unico principio che può apportare
la guarigione sociale. Morin ha ben messo in luce che la fraternità contiene
un profondo civismo in quanto esprime il legame di se stessi con l'interesse
generale. Dove deperisce lo spirito civico, dove non si sente di essere
responsabile degli altri e solidale con gli altri, la fraternità scompare
(52).
A questo proposito, la corruzione è emblematica in quanto costituisce
un esempio di vita predatoria in antitesi con la fraternità, esempio di
vita cooperativa.
Recentemente anche Bergoglio
ha esplicitato il nesso tra fraternità e civismo: “L’orizzonte della fraternità
rimanda alla crescita in pienezza di ogni uomo e donna. Le giuste ambizioni
di una persona, soprattutto se giovane, non vanno frustrate e offese,
non va rubata la speranza di poterle realizzare… La fraternità genera
pace sociale perché crea un equilibrio fra libertà e giustizia, fra responsabilità
personale e solidarietà, fra bene dei singoli e bene comune. Una comunità
politica deve, allora, agire in modo trasparente e responsabile per favorire
tutto ciò… Un autentico spirito di fraternità vince l’egoismo individuale
che contrasta la possibilità delle persone di vivere in libertà e in armonia
tra di loro. Tale egoismo si sviluppa socialmente sia nelle molte forme
di corruzione, oggi così capillarmente diffuse, sia nella formazione delle
organizzazioni criminali, dai piccoli gruppi a quelli organizzati su scala
globale, che, logorando in profondità la legalità e la giustizia, colpiscono
al cuore la dignità della persona. Queste organizzazioni offendono gravemente
Dio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il creato, tanto più quando hanno
connotazioni religiose” (53).
1. M. Buber, Il problema dell'uomo, Marietti,
1972, p. 203.
2. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 29 aprile 2001; Idem, La filosofia
dell’universalità, 1996, Prosveta.
3. Idem, Pensieri Quotidiani, 10 febbraio 2014, Prosveta.
4. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 389. Capra estende al campo delle
scienze sociali la nuova concezione della vita emersa dalla teoria della
complessità, cfr. Idem, La scienza della vita, Bur, 2001, p. 17.
5. Ibidem.
6. R. Sheldrake, Le illusioni della scienza. 10 dogmi della scienza moderna
posti sotto esame, Apogeo, 2013, p. 26. La metafora meccanicista, sostiene
Sheldrake “ha perso da molto tempo la propria utilità e ostacola il pensiero
scientifico in fisica, biologia e medicina” ibidem.
7. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 12 maggio 2003, Prosveta; Idem,
Conferenza 8 Agosto 1975, in Opera omnia n. 26, Prosveta.
8. E. Sahtouris, La danza della vita: Gaia, dal caos al cosmo, 1991. Ricordiamo
che già la famosa biologa Margulis aveva ipotizzato, con riferimento alle
cellule batteriche, che la nozione darwiniana di una evoluzione fondata
sulla competizione, fosse incompleta in quanto l'evoluzione appariva basata
piuttosto sulla cooperazione, interazione, e dipendenza mutuale tra organismi,
cfr. L. Margulis - D. Sagan, Microcosmo. Dagli organismi primordiali all’uomo:
un’evoluzione di quattro miliardi di anni, Mondadori, 1989. Anche in Darwin
si trova, comunque, il riconoscimento del fatto che l’uomo è spinto dal
desiderio di aiutare i suoi compagni, C. Darwin, Descent of Man, and Selection
in Relation to Sex, London 1871, p. 392.
9. Le dottrine filosofiche, politiche o sociologiche che interpretano
il mondo, la natura o la società in analogia all’organismo vivente sono
definite “organiciste”, cfr. N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, Utet
1971, pp. 640-641. Le dottrine organiciste “partendo da una posizione
bioanalogica raffigurano genericamente lo Stato o la Società ad un organismo,
in senso più stretto, ad un essere umano [...] si avvalgono del ragionamento
analogico per ricavarne la conoscenza della struttura e le leggi del funzionamento
dell'organismo sociale. Siffatta concezione, nessun organo avendo in sé
lo scopo della propria esistenza, implica la cooperazione tra le parti
al fine di garantire la conservazione dell’insieme” M. Marotta, Organicismo,
Giuffrè, 1959, p. 2 e segg. Un nuovo approccio organicistico è stato proposto
a partire dagli anni Venti del secolo scorso: ”fra i suoi proponenti c'erano
il filosofo Alfred North Whitehead e Jan Smuts il cui libro Holism and
Evolution (1926) concentrava l'attenzione sulla tendenza della natura
a formare interi che sono maggiori della somma delle parti, attraverso
l'evoluzione creativa" R. Sheldrake, Le illusioni della scienza cit.,
p. 11.
10. La metafora organicista è stata impiegata nella storia del pensiero
per molteplici fini: per analizzare le forme di governo ritenute ottimali,
per legittimare l'idea dell’evoluzione spontanea della società, per giustificare
l’assegnazione dei ruoli nella società e difendere lo status quo, per
giustificare la necessità di strutture autoritarie nella società, per
affermare la supremazia del potere religioso su quello temporale, per
affermare la prevalenza della società sul singolo individuo, per spiegare
il funzionamento delle leggi dell’economia, etc. Non sono mancate interpretazioni
calate nell’agone della lotta politica: cfr. l’enciclica Quod apostolici
muneris del 1878 di Leone XIII e gli strali polemici dei rivoluzionari
russi sulla dottrina organicista ritenuta giustificatrice della società
borghese, AA.VV., Rivoluzione russa, Opere complete, vol. 10, Edizioni
Rinascita, pp. 252-263.
11. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 13 marzo 2001, Prosveta.
12. Idem, Pensieri Quotidiani, 9 agosto 2004. Idem, La felicità si trova
nell’espansione della coscienza, in Opera omnia n. 23, Prosveta.
13. S. Zamagni, L’economia come se la persona contasse cit.
14. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 13 marzo 2001, Prosveta.
15. S. Zamagni, L’economia come se la persona contasse cit.
16. P. Gilbert, Dono, simbolo e reciprocità, www.rivista.ssef.it.
17. Marco Aurelio, Pensieri, VI, 42,1.
18. A. De Tocqueville, La democrazia in America, Rizzoli, 1996, p. 515
e segg.
19. F. Capra - P. L. Luisi, op.cit., p. 452.
20. Ibidem.
21. S. Zamagni, Gratuità e agire economico: il senso del volontariato,
Facoltà di Economia, Università di Bologna, Paper n.9, 2005, www.aiccon.it.
22. G. Arena, Il Principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118,
ultimo comma della Costituzione, www.astrid-online.it.
23. E. Boncinelli, Così la società cambia la struttura del cervello, Corriere
della sera, 28 settembre 2008.
24. F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov cit., p. 421.
25. A. Einstein, Perché il socialismo?, Monthly Review, 1949.
26. H. Maturana, Emozioni e linguaggio in educazione e politica, Euletera,
2006, p. 26; H. Maturana, F. Varela, L’albero della conoscenza, Garzanti,
1992, p. 204.
27. F. Caretta, Plausibilità scientifica della fraternità cit.
28. V. Gallese, Le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività, in La
società degli individui, n.37/2010, Franco Angeli.
29. J. Rifkin, op.cit., p. 3.
30. M. Novak, Supercooperatori, Altruismo ed Evoluzione, Codice edizione,
2012.
31. Dalai Lama, Una lettura buddista del Vangelo, Mondadori, 1996, p.
14.
32. U. Veronesi, Predestinati alla bontà dai nostri geni. Generosità e
altruismo sono sentimenti innati nella specie umana, Corriere della Sera,
20 luglio 2009.
33. Cfr. www.enciclopediaolistica.com.
34. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 16 dicembre 2002, Prosveta.
35. S. Zamagni, Il dono come buona pratica della gratuità, Rivista Dialoghi
n. 3/2009.
36. O.M. Aïvanhov, Conferenza 11 luglio 1968 in Opera omnia n.25, Prosveta.
37. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 181.
38. D. Chopra, Le coincidenze cit., p.35.
39. M. Laitman, Sulla Natura, www.laitman.it.
40. Cfr. www.bruce-lipton.it.
41. C. Remigio Rossi, La vita delle cellule, www.biosferanoosfera.it.
42. L. Bourgeois, Solidarité, Armand Colin et Cie éditeurs, Paris, 1896.
La solidarietà, aveva ancor prima affermato Charles Gide, teorico dell’economia
sociale, “est un fait, d'une importance capitale dans les sciences naturelles,
puisqu’il caractérise la vie. Si l’on cherche, en effet, à définir l’être
vivant, l’individu, on ne saurait le faire que par la solidarité des fonctions
qui lient des parties distinctes“ Coopération économique et sociale 1886-1904,
Les œuvres de Charles Gide, Vol. IV, p. 174. La solidarietà verso tutta
l’umanità è presente anche nel socialismo utopico di Charles Fourier:
“H. Renaud, référant à la théorie de Fourier dans son oeuvre de 1842,
résume la théorie sous le nom de solidarité: «c’est qu’il ne nous est
pas donné d’être heureux les uns sans les autres, c’est que tous les membres
de la grande famille sont liés en un seul faisceau, par la loi divine,
la solidarité. la solidarite est une chose juste et sainte [...] nous
aurons a faire comprendre que les interets des hommes sont en tous points
rigoureusement identiques». Ce qui veut dire: la solidarité, qualifié
une «loi divine», établit un rapport secret entre tous les hommes»” così
K. Röttgers, Théorie et pratique politique de la fraternité et de la solidarité
dans la tradition européenne, Fernuniversitat in Hagen, www.fernuni-hagen.de.
La definizione di solidarietà quale mera dipendenza reciproca di tutte
le parti di un medesimo corpo, “si incontra nel Discours sur l'esprit
positif (1844) di A. Comte, che usa il concetto nel senso di vincolo sociale
senza ulteriori specificazioni, come sinonimo di coesione o integrazione
sociale” R. Zoll, Solidarietà cit.
43. Riportato da F. Bastiat, Journal des Économistes, 15 juin 1848.
44. P. Donati, Il welfare in una società post-hobbesiana, www.sussidiarieta.net.
45. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 10 marzo 2005, Prosveta.
46. J.M. Bergoglio, Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale
della Pace cit.
47. Aïvanhov osserva: “Ognuno deve fare il possibile per preservare i
legami che lo uniscono a tutti gli altri membri della sua famiglia. La
famiglia però non è fine a sé stessa ma, è solo un punto di partenza,
una base destinata ad assicurare una forma di stabilità. Coloro che si
concentrano sulla loro famiglia e lavorano soltanto a suo beneficio, dimenticando
gli altri o perfino contrastandoli, per proteggere meglio i loro genitori
o i loro figli, non si rendono conto che stanno creando le condizioni
migliori per l'incomprensione e l'ostilità fra tutte le famiglie e questo
finisce per assomigliare ad una lotta di clan, di tribù. La cosa peggiore
è che questo stato d'animo non contribuisce nemmeno alla felicità della
loro famiglia, e ne è prova il fatto che oggi un numero sempre crescente
di famiglie si disgrega”, Pensieri Quotidiani, 5 marzo 2004, Prosveta.
48. L. Tolstoi, Amore e dovere, Libreria editrice moderna, 1921, p. 36.
49. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 6 luglio 2001, Prosveta.
50. G. Pauli, Blue Economy, Edizioni Ambiente, 2010.
51. S. Zamagni, Gratuità e socialità cit.
52. E. Morin, Intervista pubblicata su Label France cit.
53. J.M. Bergoglio, Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale
della Pace cit.
Mappa cliccabile degli argomenti |
Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità. |
||
Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale |
|
Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza. |
La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività. |
|
Modulo 4. Il nuovo senso civico dello stare insieme in collettività, nella Rete della Vita. Il contributo della scienza .... Modulo 5. L’atto di cooperazione fraterna non è atto di impoverimento o di accettazione passiva dell’altrui egocentrismo Modulo 6. Perché il nostro “Io” si oppone alla cooperazione? Modulo 7. La nostra scelta avanti al bivio: Modulo 8. Il ruolo della coscienza e del modo di vivere per il cambiamento. Modulo 9. La moralità della vita vissuta condiziona i processi cognitivi.... Modulo 10. Gli apporti cognitivi dell’intelligenza del cuore. Modulo 11. Occorre superare il distacco tra cultura e modo di vivere... |
Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale... |
|
Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche |