Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di fraternità, indispensabile per realizzare la libertà e l'uguaglianza. |
1. La cooperazione fraterna, principio fondamentale
per garantire libertà e uguaglianza.
”Riscoprire e ridefinire sul piano pratico la fraternità non tanto come esigenza del cuore spontaneista e volontarista, ma come scelta civile di essere umani è la sfida attualissima della democrazia nel nuovo contesto del mondo”
1.1.
Numerosi eventi di varia natura spingono l’umanità ad adottare modelli
di gestione concordata degli equilibri del Pianeta: pensiamo alla globalizzazione,
alla accresciuta interdipendenza tra i paesi e alla grave vulnerabilità
delle risorse del Pianeta. Nel contempo, numerosi eventi acuiscono le
conflittualità sociali in vari Paesi: pensiamo ai flussi migratori incontrollabili,
alla sproporzione inarrestabile tra povertà e ricchezza, ai conflitti
armati avviati in alcune aree del pianeta, alla crisi delle ideologie,
delle democrazie e delle sovranità.
Il cosiddetto mercato globale osserva Capra
“non è in realtà un vero e proprio mercato, ma una rete di macchine programmate
a partire da un valore unico, il denaro, che esclude tutti gli altri valori
[…] il principio su cui si basa, ossia che fare denaro debba avere la
precedenza sui diritti umani, sulle democrazie, sulla tutela dell’ambiente
e su qualsiasi altro valore, è garanzia di catastrofe. Tale principio
può essere modificato non è una legge di natura […] le reti elettroniche
di flussi finanziari e informativi possono incorporare altri valori” (1).
L’avanzata globalizzante del capitale, della finanza e del commercio,
cioè di forze che mirano dal loro punto di vista al solo lucro avaloriale,
non è stata accompagnata, ha osservato Bauman,
“da un'adeguata progressione nelle risorse con cui l'umanità controlla
tali forze. In particolare, questa globalità non è stata accompagnata
da un'ascesa altrettanto veloce del controllo democratico” (2). Ma la
cosa ancora più grave è che a fronte dell’espansione di queste forze materialistiche,
non sono state messe in campo altre forze di natura morale in grado di
vigilare su di esse.
Molti ritengono che se si vuole sopravvivere, occorre cooperare, ricercare
una nuova sintesi non meramente quantitativa tra democrazia e uguaglianza,
tra capitalismo e socialismo, tra mercato e Stato. Ma non possiamo pensare
di rifondare “la democrazia continuando ad avere in mente gli schemi del
passato: sono cambiati i protagonisti della contesa pubblico/privato,
sociale/individuale, e nuovi ruoli e simboli sono apparsi sulla scena
della comunità umana […] a tale risultato giungono quasi simultaneamente
le ricerche più recenti delle discipline umano-sociali” (3).
Il processo di globalizzazione sospinge indirettamente alla rivalutazione
delle proposte di fraternità universale in quanto “crea un'interdipendenza
così stretta fra tutte le parti del mondo che obbliga necessariamente
a trovare una soluzione collettiva o una caduta collettiva. L'idea di
fraternità universale e solidarietà in questo contesto possono giocare
un ruolo politico e trovare un ampio consenso in un'epoca di globalizzazione
caratterizzata come società di rischio e constatato che è in gioco la
stessa sopravvivenza dell'umanità” (4).
Scrive Rifkin che “la civiltà dell'empatia è alle porte. Stiamo rapidamente estendendo il nostro abbraccio empatico all'intera umanità e a tutte le forme di vita che abitano il pianeta. Ma la nostra corsa verso una connessione empatica universale è anche una corsa contro un rullo compressore entropico in progressiva accelerazione, sotto forma di cambiamento climatico e proliferazione delle armi di distruzione di massa. Riusciremo ad acquisire una coscienza biosferica e un'empatia globale in tempo utile per evitare il collasso planetario?” (5)
Già nella prima metà del secolo scorso, Deunov in Bulgaria e Aïvanhov
in Francia, sostenevano che la fraternità avrebbe ottenuto un ruolo di
primo piano per l’umanità futura e che il posto attribuito all'intelletto,
cioè alla sola capacità di acquisire conoscenze per agire sulla materia,
si sarebbe ridimensionato a vantaggio dei valori di fraternità, collettività
e universalità (6). Aïvanhov avvertiva che "col tempo, gli esseri
umani saranno obbligati a comprendere il ruolo benefico dell'idea di una
famiglia universale, ed essi la auspicheranno. Già da alcuni anni certi
dirigenti politici cominciano a riprendere questa idea, perché si accorgono
che soltanto una fratellanza universale può salvare l'umanità dall'abisso
verso il quale essa sta precipitando. Sì, nel timore di una distruzione
mondiale, tutti saranno ben presto obbligati a muoversi nel senso della
fratellanza” (7).
Infatti, il principio di fraternità è invocato oggi da molti pensatori
quale unico e possibile baluardo per superare i conflitti, tutelare l’umanità
e il pianeta, anche se la comunicazione di massa non lascia ancora percepire
questa nuova sensibilità. La fraternità può garantire, si afferma, “la
sopravvivenza e la qualità di una società politica” (8).
Osserva Bauman che “la domanda «sono forse io il custode di mio fratello?»
alla quale fino a non molto tempo fa si credeva di avere risposto una
volta per tutte e che quindi non veniva più ripetuta, comincia a risuonare
in maniera sempre più fragorosa e battagliera” (9).
Abbiamo bisogno, si sostiene, “di costruire un nuovo dovere ma per farlo
dobbiamo arrivare a stabilire dei principi. Ma come si può fondare il
pensiero etico del nostro tempo? Riscoprire e ridefinire sul piano pratico
la fraternità non tanto come esigenza del cuore spontaneista e volontarista,
come carità, ma come scelta civile di essere umani… è la sfida attualissima
della democrazia nel nuovo contesto del mondo” (10).
Afferma Mattei
che “è giunta l’ora di riabilitare la fraternità e di darle il suo pieno
e completo significato. I periodi di crisi come quello che stiamo attraversando
sono propizi per cercare di contribuire all’evoluzione delle mentalità.
Difatti le crisi mettono in risalto i nostri limiti i quali, nella situazione
di oggi, non sono unicamente e primariamente dei limiti economici, finanziari
e sociali bensì dei limiti etici e spirituali. In merito alla fraternità,
credo si debba ora affermare ovunque con forza e vigore che essa è il
valore e lo strumento più idoneo per aiutarci a giungere alla completezza
della nostra umanità tentennante ed incerta di se stessa. E proprio questo
la società mondiale aveva proclamato nel 1948 quando promulgò la Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani di fronte alla barbarie di cui era stata
teatro la Seconda Guerra Mondiale, rivelandoci il lato più oscuro della
nostra umanità. Su che cosa si basa la Dichiarazione Universale dei Diritti
Umani? […] gli uomini devono agire gli uni verso gli altri in uno spirito
di fratellanza. Ciò significa che la fraternità è una cosa che deve imporsi
agli uomini” (11).
La fraternità, dunque, “ha titolo per possedere un rilievo politico, e
la si può considerare un criterio che sollecita la completa trasformazione
della politica come tale” (12).
Ciò è vero, a maggior ragione, nella situazione attuale nella quale “l’avventura
dello Stato moderno ha raggiunto il suo capolinea, questo è il punto […].
Oggi, il problema delle istituzioni di fraternità è un problema nuovo.
A quale senso di fraternità noi possiamo fare appello per costruire nuove
istituzioni, anche politiche? Perché a questo punto il problema è proprio
questo, cosa verrà al posto dello Stato moderno nel panorama internazionale
dal punto di vista delle strutture politiche? Queste strutture politiche
su quale senso di fraternità si baseranno? Certamente è improbabile che
si basino sul senso religioso cristiano […] ed è improbabile anche che
si basino su quel senso di cittadinanza che è tipico dello Stato moderno.
Quindi la situazione di oggi è proprio quella della ricerca di una fraternità
[…]. Le istituzioni dei Monasteri sono sorte perché già c’era uno spirito
cristiano, quelle dello Stato perché già cominciava a serpeggiare lo spirito
della cittadinanza, ma le istituzioni della globalizzazione quale forma
di fraternità porteranno dentro di sé?” (13)
Inoltre, si chiede Donati:
”verso quale assetto è possibile/probabile che la società attuale si incammini
qualora voglia stare alla larga sia da Scilla (le patologie del socialismo
marxista) sia da Cariddi (le patologie del liberalismo)?” (14)
Abbiamo preso coscienza nel corso della nostra storia che la fraternità
come valore politico si è eclissata ma che, nella sostanza, gli altri
due principi vittoriosi del trittico rivoluzionario hanno avuto un consenso,
soprattutto, quantitativo. Abbiamo compreso di aver trascurato il fatto
che il principio di fraternità avrebbe potuto esercitare una funzione
regolativa degli altri due principi, nel senso che essa avrebbe potuto
fornire una risposta adeguata alla domanda sul “come” essere liberi e
sul “come” essere uguali: “una libertà fraterna, infatti, non arriverà
mai ad imporre la legge del più forte; una uguaglianza fraterna, dal canto
suo, non imporrà mai un impersonale appiattimento” (15).
Anche Galimberti ha posto in luce l’insufficienza della libertà e dell’uguaglianza e il misterioso silenzio che ha avvolto la fraternità nella cultura ufficiale: “ora che il mondo è divenuto villaggio globale le differenze esplodono e grande si fa l'incomunicabilità tra il bianco e il nero, tra l'occidentale e l'orientale, tra il popolo del Nord e il popolo del Sud che la ragione unificante dell'Occidente fatica a conciliare. Ma il mancato riconoscimento delle differenze non crea solo steccati di incomunicabilità tra i popoli, ma, all'interno della stessa città, sempre più cosmopolita, tra le differenti comunità. Qui l'Occidente è assolutamente impreparato, perché la differenza, che un tempo incominciava ai confini della città e si risolveva con il trattato o con la guerra, ora è all'interno della città, di ogni città divenuta un concentrato di mondo. La Rivoluzione francese aveva trovato uno strumento teorico per affrontare questo problema, ma la storia successiva l'ha smarrito. Infatti, delle tre parole inaugurate dalla rivoluzione: libertà, uguaglianza, fraternità, le prime due hanno avuto successo perché, essendo compatibili con la natura quantitativa della democrazia, hanno generato rispettivamente la liberaldemocrazia e la socialdemocrazia. E della fraternità che ne è stato? E che cosa davvero significa? Non c'è dizionario che ne renda ragione” (16).
I tre principi sono importanti allo stesso modo, osserva Amartya
Sen, premio Nobel nel 1998: “La libertà consente all’uomo di agire
alla luce della ragione che a ciascuno è data. L’uguaglianza, se siamo
esseri umani, è garantire a tutti le medesime opportunità. La fraternità
permette di stabilire di continuare relazioni reciproche che non siano
fondate sull’ostilità, che ci consentano quindi di sentirci vicendevolmente
a nostro agio, di vivere vicini senza danneggiarci, di essere rispettati
dai propri simili, di partecipare alla vita della comunità. Cercare di
stabilire tra questi principi una classifica, mi sembra come tentare di
dire che cosa sia preferibile tra i sensi, l’udito, la vista, il gusto.
Valgono tutti e tre allo stesso modo e di nessuno dei tre vorrei privarmi“
(17).
I tre principi, libertà, uguaglianza e fraternità devono necessariamente
inverarsi insieme: la libertà e l’uguaglianza senza la fraternità degenerano
come ”è accaduto nella storia dei due secoli successivi, quando la libertà
e l’uguaglianza si sono separate e contrapposte, dando vita a sistemi
socio-economici conflittuali. Non è strano allora che oggi si voglia riprendere
la riflessione sulla fraternità: è, in realtà, una riflessione sull’intero
trittico, è l’esigenza di riprendere in mano, con diversa consapevolezza
ed esperienza, il progetto politico che voleva mettere insieme la libertà
e l’uguaglianza attraverso la fraternità […]. Che la fraternità abbia
questo ruolo di “generatore” degli altri due principi lo si vede lungo
tutta la storia del Novecento: quando sono venute a mancare la libertà
e l’uguaglianza, i popoli sono sempre ripartiti dalla fraternità […] la
fraternità ha continuato ad ispirare il pensiero della democrazia […]
è con quello che siamo usciti dalla guerra e dall’oppressione nazifascista.
Viceversa, la fraternità non può agire come principio pubblico senza libertà
e uguaglianza: ricadrebbe nelle sue possibili degenerazioni settarie,
privatistiche, fondamentaliste” (18).
Si è osservato che “sull’abuso del concetto di libertà si sviluppò la
psiche del capitalismo. La libertà venne adoperata prevalentemente come
strumento di allargamento del potere economico e delle autonomie individuali
[…] a scapito dei più poveri. Il capitalismo, praticando libertà senza
fraternità, rivela la sua natura selvaggia, di homo homini lupus. Sull’abuso
del concetto di uguaglianza si resse il socialismo scientifico che adoperò
la libertà intesa quasi esclusivamente sul piano economico a scapito della
libertà più interiore e profonda; la psiche del comunismo, praticando
l’uguaglianza senza fraternità, divenne egualitarismo e propalò una tetra
uguaglianza più formale che reale. Di qui la necessità attualissima di
fare della fraternità strumento di cultura, e della cultura strumento
di fraternità” (19).
La fraternità, ricorda Le Goff, “in quanto pensiero del legame con l’altro,
che le sue sorelle maggiori, libertà e uguaglianza, trascurano, può offrire
oggi un contributo attivo alla costruzione del diritto sociale su due
versanti: quello dell’assistenza e della protezione sociale e quello del
lavoro. Non si può, infatti, non prendere coscienza delle insufficienze
della libertà e dell’uguaglianza, che restano confinate al registro individualista
dei diritti soggettivi. Se l’uguaglianza esprime una domanda di “sociale”
in termini di correzione-redistribuzione, lo fa secondo una modalità comparativa
tra individui che restano esterni, o estranei, gli uni agli altri. Una
volta visti garantiti i propri diritti, ognuno torna a pensare per sé.
Solo la fraternità permette di dar conto della dinamica morale e politica
dell’attenzione all’altro, dell’aiuto che gli è offerto e di un’azione
comune in vista della giustizia. Essendo radicata nella relazione, essa
è l’anima del legame sociale che viene declinato in chiave giuridica”
(20).
Mostra tutta la sua attualità, si è detto, “una convinzione che fu di
Henri Bergson
(e cara a Maritain),
secondo cui la democrazia per mettere d’accordo libertà ed eguaglianza
ha bisogno della fratellanza. Questo è “il principio dimenticato”, che
è stato dimenticato in quanto considerato poco politico, e invece la politica,
almeno la politica democratica, non ne può fare a meno” (21).
Anche Bobbio,
a ben vedere, quando “elencava i principi fondamentali della democrazia,
dopo quello di tolleranza, di nonviolenza, di rinnovamento graduale della
società attraverso il libero dibattito, poneva per ultimo, a conclusione
e a riassunto di tutti, quello di fraternità. È il più radicale, il più
fondativo: «in nessun paese del mondo il metodo democratico può perdurare
senza diventare un costume. Ma può diventare un costume senza il riconoscimento
della fratellanza che unisce tutti gli uomini in un comune destino?».
La domanda di Bobbio
è retorica: prenotava una risposta negativa, cioè non c’è democrazia senza
fraternità. Oggi questo principio ideale riesce a rivitalizzare il pensiero
democratico attraverso i principi dell’interdipendenza e del comune destino,
i quali conducono al più ampio margine le prossimità delle relazioni umane.
Introducono tale prossimità nel progetto politico, come elemento necessario
e non opzionale, e sospingono verso nuovi obiettivi lo sviluppo del pensiero
e della forma reale delle democrazie” (22).
Osserva Aïvanhov sul punto: “Libertà, uguaglianza, fraternità è il motto
delle Repubblica Francese. Diciamo ora qualche parola a proposito dell’uguaglianza.
Non si tratta, evidentemente, dell’uguaglianza naturale: alcuni vengono
al mondo con una costituzione robusta, con facoltà intellettuali o doni
artistici, mentre altri sono ammalati, o limitati da tutti i punti di
vista. Questa parola ‘uguaglianza’, presente su tanti edifici pubblici,
rappresenta certamente la legalità nei confronti della legge. Ma, anche
in questo caso, è realizzabile l’uguaglianza? Davanti alla legge, i cittadini
sono tutti ugualmente provvisti di mezzi e di possibilità uguali? No.
Per esempio, una grossa multa da pagare non rappresenta lo stesso problema
per un miliardario o per colui che ha solo ciò che gli serve per vivere.
La legalità esatta di fronte alla legge è irrealizzabile. Per questa ragione
la legalità deve sempre essere accompagnata dalla fraternità che fa pure
parte del motto della Repubblica” (23). Anche in una stessa famiglia,
si è obbligati a constatare che “les facultés physiques, intellectuelles,
morales, spirituelles ne sont pas également réparties entre tous les frères
et sœurs, mais le lien qui les unit doit compenser ces inégalités. Et
il en est de même dans la société. Le seul moyen de remédier aux inégalités
est la conscience du lien fraternel qui unit tous les humains entre eux“
(24).
Il nesso indissolubile fra i tre principi è posto in evidenza anche da
Morin: “oggi nel trittico libertà, uguaglianza, fraternità, il più significativo
ed urgente è la fraternità. La virtù della fraternità favorisce la libertà
e l'uguaglianza, e ci permette di lottare contro la disuguaglianza, almeno
la più palese, per aiutare coloro che soffrono di più dalla disuguaglianza.
Noi abbiamo nella fraternità la parola-chiave, la plaque tournante de
notre trinité“ (25).
In effetti, “se è vero che la fraternità non potrebbe esistere che tra
uomini liberi ed uguali, non è meno vero che la libertà e l'eguaglianza
non possono esistere in una società dove la fraternità non trova il suo
posto. Il riconoscimento di questa interdipendenza e l’integrazione dei
valori essenziali per la fraternità nell'ordinamento giuridico degli Stati
restano essenziali per il mantenimento della pace e della democrazia”
(26). Nello stesso senso, Canivet
osserva che l’idea di fraternità è più che mai attuale e indispensabile
per ricreare il legame sociale, rispettare la dignità della persona, rendere
più umane le relazioni tra l'amministrazione e la persona che viene aiutata
(27).
La fraternità riconosce ”in ogni persona uno che è insieme diverso da
me e uguale a me. Diverso perché ognuno è unico. Uguale perché in ognuno
c’è la chiamata ad essermi fratello in umanità, fratello in quanto appartenente
ad un’unica famiglia umana. D’altronde la fraternità arricchisce la libertà
e l’uguaglianza. Effettivamente, al contrario della libertà liberale,
la libertà fraterna si sente responsabile della libertà dell’altro [...].
Senza la fraternità, la libertà diventa il diritto di sfruttare gli altri
e di dominarli. Nello stesso modo, l’uguaglianza senza la fratellanza
prepara le vie alla burocrazia se non addirittura al dispotismo e alla
dittatura. Senza la fraternità, anche la libertà e l’uguaglianza finiranno
col morire o con lo screditarsi” (28).
Abbiamo sperimentato nella nostra storia ordini sociali e giuridici privi
di fraternità e abbiamo provocato sofferenze e danni tangibili anche alla
sostenibilità della nostra vita. Il valore della fraternità, ad avviso
di molti, non può più essere estromesso dalla vita istituzionale e sociale.
1.2. Il principio di fraternità è invocato dagli economisti più avveduti
sub specie di “principio di reciprocità” per superare la crisi dell’economia
di mercato. Si afferma a questo proposito: “Non è capace di futuro la
società in cui si dissolve il principio di fraternità; non è cioè capace
di progredire quella società in cui esiste solamente il «dare per avere»
oppure il «dare per dovere». Ecco perché né la visione liberal-individualista
del mondo, in cui tutto (o quasi) è scambio, né la visione statocentrica
della società, in cui tutto (o quasi) è doverosità, sono guide sicure
per farci uscire dalle secche in cui le nostre società sono oggi impantanate.
Il welfare state è quel particolare modello di ordine sociale i cui pilastri
sono, da un lato, lo scambio di equivalenti (identificato con il mercato)
e, dall'altro, la redistribuzione (identificata con lo Stato). Di qui
la logica di tipo dicotomico Stato-mercato: il mercato si occupa esclusivamente
dell'efficienza; lo Stato si occupa invece dell'equità, da ottenersi attraverso
la redistribuzione. Al mercato viene chiesto come unico metro di giudizio,
anche morale, di essere efficiente. L'agire economico di mercato non sopporta
altri canoni di valutazione, pena la sua perdita di senso. Ciò ha importanti
implicazioni. Se l'imprenditore può ottenere risultati efficienti eludendo
le norme vigenti o non rispettando pienamente diritti umani fondamentali,
poco male: l'importante è che sia efficiente […]. Bisogna che il mercato
torni a essere civile, luogo di incontro e di relazione fra le persone
e non di sole merci […]. A cosa mira il principio di reciprocità? Mira
a mettere in pratica la fraternità. Anche questa parola, come direbbero
gli psicologi, è stata rimossa” (29).
Per molti, ricordano Boff-Hathaway,
“l'economia è la scienza (o l'arte) di produrre, distribuire e consumare
la ricchezza. In parole povere, l'economia sarebbe l'arte di fare denaro.
Ma in greco "economia” si dice oikonomia, ossia l'arte di curare
e gestire la casa, sia essa la comunità, la società o la Terra. La radice
di "economia” infatti è la stessa del termine "ecologia":
lo studio della casa. Aristotele fece una distinzione netta tra economia
e "crematistica",
ossia le attività speculative che non producono nulla di valore e che
tuttavia generano profitto. La crematistica
è «la branca dell'economia politica relativa all'uso della proprietà e
della ricchezza in vista della massimizzazione del valore di scambio monetario
per il proprietario nel breve periodo» (H. Daly-Cobb) […] gran parte della
nostra prassi "economica" non è altro che una forma sofisticata
di crematistica” (30).
1.3. Anche la gestione dei beni comuni non può prescindere dal valore
della fraternità. Osserva
Zamagni che ӏ ancora scarsa la letteratura sulla soluzione comunitaria
e ancora più scarse sono state, finora, le realizzazioni pratiche. Ma
di chi è la responsabilità di tale ritardo? C’è forse da meravigliarsi
se dopo oltre due secoli di cultura economica durante i quali si è insegnato
e raccomandato che il comportamento razionale è quello dell’individuo
che pensa solo a se stesso e che rispetta le regole, è oggi così difficile
far comprendere che contratto e comando non bastano a risolvere i crescenti
casi di dilemmi sociali? La responsabilità, allora, è di tutti coloro,
studiosi, intellettuali, politici, che si ostinano pervicacemente a pensare
(e dunque ad agire) l’ordine sociale nei termini della dicotomia pubblico/privato
[...] cosa presuppone la messa in cantiere della soluzione comunitaria?
Un patto di fraternità [...]. Liberté e egalité dicono individuo; fraternità
dice invece legame tra le persone” (31).
Rileva Bruni che “pochi associano la fraternità a discorsi di carattere
economico, ma senza di lei non c’è modello che regga. Come sta accadendo
oggi: la logica individuale che massimizza il vantaggio a spese dell’interesse
di tutti ci sta portando in un vicolo cieco [...]. Per i beni comuni occorrono
virtù di reciprocità che esprimano da subito un legame tra le persone.
Quali? La prima virtù che oggi va assolutamente eretta a principio fondativo
della post modernità, della società globalizzata e dell’economia dei beni
comuni, è la fraternità [...]. Oggi la qualità dello sviluppo dei popoli
e della terra dipende certamente dai classici beni privati, ma molto più
da beni (o mali) comuni come i gas serra, l’acqua, o lo stock di fiducia
dei mercati finanziari (la crisi finanziaria può anche essere letta come
una tragedia del bene comune fiducia) [...]. La storia dei popoli ha conosciuto
molti momenti dove siamo stati posti di fronte al bivio fraternità-fratricidio,
due strade sempre confinanti, dai tempi di Caino. A volte abbiamo scelto
il senso della fraternità, altre, più numerose, quello del fratricidio.
Oggi il bivio è ancora di fronte a noi” (32).
1.4. Al valore della fraternità si fa appello anche al fine di tutelare
l’ambiente, la biosfera
e le generazioni future. Sulla fraternità degli uomini su scala mondiale
e nella sua dimensione intergenerazionale, riposa l’imperativo della protezione
dell’ambiente: ”il diritto ambientale impone all'uomo di superare il suo
egoismo e di volgersi allo spirito di condivisione. Non inquinare lo spazio
di altri paesi, rispettare la biosfera come bene comune degli uomini e
lasciare un ambiente sostenibile per le generazioni future è un dovere
di fraternità" (33).
1.5. Il principio di fraternità è invocato, per certi aspetti, da autorevoli
filosofi del diritto come Rawls sub specie di “principio
di differenza”, nel senso che le diseguaglianze sociali ed economiche
sono ammesse in uno Stato ispirato alla giustizia a condizione che siano
correlate a vantaggi per tutti e derivino da cariche sociali aperte a
tutti: “il principio di differenza sembra corrispondere al significato
naturale della fraternità: cioè, all'idea di non desiderare maggiori vantaggi,
a meno che ciò non vada a beneficio di quelli che stanno meno bene. La
famiglia, in termini ideali, ma spesso anche in pratica, è uno dei luoghi
in cui il principio di massimizzare la somma dei vantaggi è rifiutato.
In generale, i membri di una famiglia non desiderano avere dei vantaggi,
a meno che ciò non promuova gli interessi dei membri restanti. Il voler
agire secondo il principio di differenza ha esattamente le stesse conseguenze.
Coloro che si trovano nelle condizioni migliori desiderano ottenere maggiori
benefici soltanto all'interno di uno schema in cui ciò va a vantaggio
dei meno fortunati [...] l'ordine sociale non deve determinare e garantire
le prospettive più attraenti di quelli che stanno meglio, a meno che ciò
non vada a vantaggio dei meno fortunati” (34). Secondo Rawls “solo in
tal modo la nozione di fraternità può essere eretta a nozione politica
fondamentale accanto alla libertà e all'eguaglianza e cosi riscattata
dall'oblio in cui è caduta” (35). La fraternità, anche se non definisce
di per sé alcuno dei diritti democratici, include attitudini mentali e
linee di condotta senza le quali perderemmo di vista i valori espressi
da questi diritti (36).
1.6. I valori connessi alla fraternità, si è detto, affiorano anche “in
quella che si potrebbe definire la dura sperimentazione scientifica...
Nello scenario attuale della medicina predomina il rapido sviluppo della
tecnologia, l’affermarsi di una medicina basata sull’evidenza, che pone
l’attenzione su prove di efficacia, su trial clinici randomizzati condotti
su grandi casistiche di pazienti, sul contenimento dei costi. È pensabile
che vi sia posto per la dimensione della fraternità? Si potrebbero ipotizzare
evidenze scientifiche per questa categoria applicata alla medicina?...
Soprattutto negli ultimi anni si sta ponendo l’attenzione anche su aspetti
non strettamente tecnici, come ad esempio la relazione e la comunicazione
con il paziente, la risposta soggettiva alle terapie rispetto alla casistica
anonima, la dimensione spirituale, il “clima terapeutico” all’interno
dell’équipe di cura, gli stili di vita, il ruolo che rivestono la comunità
e la società per la salute, etc.” (37).
Anche sul piano della indagine psicologica si osserva che “la sfida esaltante
che la psicologia oggi dovrebbe raccogliere è quella di lavorare sulle
molte varietà del «noi», sulla psicologia della fraternità, sul come imparare
a collaborare nei gruppi, sull'amore fraterno, sulle relazioni d'amore
con gli altri... ritengo importante focalizzare l'attenzione sul fatto
che essere altruisti fa bene al cervello: c'è davvero più gioia nel dare
che nel ricevere” (38). Anche Maslow
già nella metà del secolo scorso evidenziava la necessità della psicologia
sociale di studiare la fraternità, la cooperazione, le comunità utopistiche
e quindi anche le persone più sane e più forti della società. Questo autorevole
psicologo sosteneva la necessità di non limitarsi a studiare il pregiudizio,
l’odio e l’ostilità in quanto nelle persone sane queste forze sono di
importanza piuttosto secondaria (39).
1.7. Si è pure osservato che il principio di fraternità potrebbe essere
recepito espressamente negli ordinamenti giuridici e potrebbe essere posto
alle radici dello stare insieme. Da secoli si indaga, infatti, sul principio
in forza del quale gli uomini si trovano reciprocamente legati: se per
inclinazione naturale oppure per sforzo razionale (40). Il principio di
fraternità potrebbe offrire così la soluzione, sul piano del diritto costituzionale,
al problema tradizionale relativo al come “integrare il pluralismo sociale
in unità politica”, ovvero al come “mantenere l’unità del corpo politico”
(41).
1.8. L’idea di fraternità, ad avviso di molti, può, dunque, prendere il
posto delle vecchie ideologie dalle quali per secoli abbiamo tratto le
nostre ispirazioni per progettare azioni di riforma della società e sulla
base delle quali abbiamo interpretato la storia umana e il nostro ruolo
nel mondo. L’idea di fraternità universale possiede il carburante per
dare linfa alla nuova progettualità umana, un carburante che le ideologie
a noi note non possiedono più. È l’unica idea che può permetterci di risolvere
gravi problemi collettivi in quanto se è autentica, rende tra l’altro
possibili soluzioni sistemiche. È l’unica idea che può conciliare l’esigenza
di creazione individuale della ricchezza lecita a seconda delle proprie
capacità (libertà individuale) e l’esigenza della distribuzione e condivisione
delle stesse con l’umanità (uguaglianza) (42). È l’unica idea che può
rendere possibile, se è autentica, il pluralismo religioso.
Ma questa Idea deve essere sostenuta a livello pedagogico. Dobbiamo riconoscere con onestà che le ragioni del sangue non sempre hanno reso le famiglie un modello di fraternità e che le ragioni prettamente religiose non hanno fermato guerre od ostilità. Anche i movimenti spirituali oggi molto diffusi intendono, talvolta, la fraternità come espansione delle loro strutture organizzative e della loro auctoritas umana: mentre i mistici parlano di universalità, i discepoli praticano, talvolta, la particolarità. D’altronde, a causa di questi egocentrismi, i movimenti spirituali faticano ad avere una voce unitaria sul piano della comunicazione sociale. Parimenti, dobbiamo riconoscere che le ragioni umanitarie prettamente laiche non hanno dato ingresso a ceti politici in grado di orientare la collettività sui valori della fraternità. Eppure, molti invocano la fraternità per trovare con essa il superamento delle contraddizioni nelle quali ci troviamo. In attesa che laici e spiritualisti uniscano gli sforzi, le diverse sensibilità e capacità per un lavoro comune, l’unica strada per avviarci verso una società migliore è quella di far ricorso a un approccio pedagogico. Non appare più sufficiente fare appelli ai valori di cooperazione fraterna, senza cercare di evidenziare, nel contempo, come concretamente sia possibile avvicinarsi a detti valori (cfr. modulo IV, 9 e 12). Non possiamo confidare nello sviluppo di una fraternità presentata come buonismo, come comportamento emergenziale oppure come credo delle istituzioni religiose, giacché si tratta di acquisire non un generico sentimento, ma una filosofia di vita.
2. La cooperazione fraterna, principio fondamentale per garantire
la dignità. Solidarietà, filantropia e fraternità.
L’appello
alla fraternità appare anche risolutivo del grande problema della tutela
della dignità umana, oggi più che mai avvertito (modulo
1). Molti convengono sul fatto che l’ideale di fraternità sprigioni
più della solidarietà, una energia costruttiva della dignità umana, in
quanto reca in sé l’aiuto verso l’altro inteso come aiuto al risveglio
della consapevolezza, compresa quella della propria dignità. Grazie alla
nostra storia passata, abbiamo compreso che senza la forza coscienziale
del cuore implicita nella fraternità, non potranno inverarsi cambiamenti
profondi, idonei a praticare nei fatti la dignità. La via meramente intellettuale
non porta queste trasformazioni profonde. D’altronde la stessa solidarietà,
bandiera spesso degli approcci intellettualistici, non reca in se una
valenza rivoluzionaria nelle relazioni umane e sociali. Il solidarismo
non ha rimesso in discussione in Francia, osserva Mattei, “le basi della
società repubblicana liberale, capitalistica e produttivista con le disuguaglianze,
le ingiustizie e l’individualismo che ne derivavano. La solidarietà ha
come unico scopo il correggere la rotta di tali disuguaglianze e ingiustizie
senza tuttavia rimetterle in discussione. La nostra Repubblica permette
lo sfruttamento e il dominio di certe categorie di cittadini nonché la
povertà e l’esclusione di queste. La Repubblica francese acconsente a
ciò, anche se sostiene il contrario. In altre parole, la solidarietà,
e anche questo ha contribuito alla sua fortuna, è compatibile tanto con
la democrazia a cui si rifà, quanto invece con le disuguaglianze e le
esclusioni che essa mantiene e perpetua. In questo senso, la solidarietà
non rientra nella stessa logica della fraternità. Sin dalle sue origini
bibliche, il messaggio della fratellanza è radicalmente diverso. La fraternità
indica una società genuinamente egualitaria. Indica un’uguaglianza di
diritto ma soprattutto di fatto, a nome dell’eminente dignità di ogni
essere umano indiscriminatamente. Una società fraterna è una società nella
quale i singoli privilegi non esistono più. La fraternità potrebbe caratterizzarsi
con la cura dell’altro, di ogni altro” (43).
Ad avviso di Zamagni, “la buona società non può accontentarsi dell'orizzonte
della solidarietà, perché una società che fosse solo solidale, e non anche
fraterna, sarebbe una società dalla quale ognuno cercherebbe di allontanarsi.
Il fatto è che mentre la società fraterna è anche una società solidale,
il viceversa non è necessariamente vero” (44).
Ma qual è la distinzione tra solidarietà e fraternità? Secondo Borgetto,
concettualmente le cose sono chiare: mentre la fraternità postula e implica
necessariamente un sentimento di amore e di amicizia verso gli altri,
cioè è dotata di una carica emotiva e sentimentale, il concetto di solidarietà
invece non ha necessariamente la dimensione emotiva e sentimentale paragonabile
a quella che è la caratteristica principale della fraternità. Ovviamente,
ciò non significa che la solidarietà debba esserne priva 45.
Sul piano dello svolgimento della vita civica osserva Baggio “due caratteristiche
fondamentali qualificano la fraternità politicamente. La prima, che la
differenzia radicalmente dalla solidarietà, è la sua orizzontalità: i
fratelli non accettano rapporti di subordinazione ma interpretano se stessi,
sempre, come pari, anche se hanno ruoli diversi. Al contrario la solidarietà,
come viene comunemente intesa e praticata, può consentire anche relazioni
verticali, di aiuto da parte del forte verso il debole; è chiaro che la
solidarietà così intesa può essere usata per mantenere il debole nella
sua condizione subordinata, dandogli l’aiuto sufficiente a garantire che
egli non si ribelli. La solidarietà non mette in questione la relazione
di potere; la fraternità, al contrario, non può non farlo. Lo stesso uso
della solidarietà come “solidarietà orizzontale” appartiene ad una prospettiva
recente, ispirata proprio dalla nozione di fraternità. La seconda caratteristica
consiste nel fatto che la relazione fraterna mi fa prendere atto che esiste
un altro, diverso da me, che ha strettamente a che fare con me - siamo,
insieme, società - e che ha i miei stessi diritti; non dispongo di lui…
devo accettarlo nella sua differenza e nel suo diritto di viverla e di
svilupparla. In questo senso, la fraternità è il fondamentale principio
di realtà, quello che stabilisce la verità di fatto senza la quale [...]
non c’è società politica” (46).
In altri termini, la fraternità pare essere l’unica forza in grado di
rimediare alle “inégalités entre les êtres”, come aveva già rilevato Aïvanhov
in una prospettiva spirituale: ”L’uguaglianza è possibile soltanto grazie
alla fraternità, perché gli umani non sono uguali in nessuna parte, salvo
che nella dignità. E da dove giunge questa dignità? Dal fatto che sono
tutti figli e figlie di Dio, dunque che sono tutti fratelli e sorelle.
In quel momento non soltanto i più privilegiati sentono di appartenere
alla medesima famiglia dei più poveri, ma i più poveri sentono anche che
esiste in essi un valore, una dignità, che li rende uguali ai più privilegiati,
e anche ai più saggi e ai più grandi geni” (47). Ha affermato recentemente
Bergoglio, "possiamo
esserne certi: io offendo la dignità umana dell’altro solo perché prima
ho venduto la mia. In cambio di cosa? Del potere, della fama, dei beni
materiali. E questo [...] in cambio della mia dignità di figlio e figlia
di Dio [...]. La dignità
umana è uguale in ogni essere umano: quando la calpesto nell’altro,
sto calpestando la mia” (48).
Anche in una prospettiva laica si riconosce che la fraternità è la forza
che può aiutare ad esprimere al meglio la propria dignità e la propria
ricchezza valoriale: “la fraternità non è facoltativa, è una necessità,
è un imperativo insito nei valori religiosi o laici più sacri se vogliamo
che quanti si sono autoproclamati esseri umani diventino veramente tali.
I redattori della Dichiarazione del 1948 ebbero l’intuito e l’ottimismo
di pensare che esiste un potenziale umano che ha da realizzarsi e che
la fraternità è quanto di meglio definisce e circoscrive questa speranza”
(49).
La fraternità non può essere confusa, nemmeno, con la filantropia: mentre
la prima, come rileva David,
“est empreinte d’égalité civile et privilégie l’aspiration à plus de dignité”,
la seconda ”est essentiellement élitiste et paternaliste” 50. Per rimarcare
questa differenza il citato autore osserva che sul piano storico la filantropia
“s’en est tenue électoralement à un système censitaire, alors que la fraternité
a entraîné dans son sillage le suffrage universel” (51). La filantropia
appartiene a matrici culturali e religiose diverse da quelle cristiane
(52).
Vi è, infatti, una profonda distinzione tra filantropia e azione gratuita
nella prospettiva della fraternità cristiana: la specificità della gratuità
“è la costruzione di particolari legami fra le persone. Laddove l’organizzazione
filantropica fa per gli altri, l’agire gratuito fa con gli altri. È proprio
questa caratteristica che differenzia l’azione autenticamente gratuita,
dalla beneficenza privata, tipica della filantropia. Infatti, la forza
del dono gratuito non sta nella cosa donata o nel quantum donato, così
è invece nella filantropia, tanto è vero che esistono le graduatorie o
le classifiche di merito filantropico, ma nella speciale cifra che il
dono rappresenta per il fatto di costituire una relazione tra persone
[...] mentre la filantropia
genera quasi sempre dipendenza nel destinatario dell’azione filantropica,
l’azione gratuita genera invece reciprocità” (53).
Nel romanzo di Malreaux,
La
Speranza, un contadino spagnolo, sofferente per le umiliazioni e le
offese che riceveva dal suo datore di lavoro (proprietario terriero),
spiega a un “intellettuale” che il contrario di umiliazione e disprezzo
non è uguaglianza, ma fraternità (54). Queste parole esprimono con efficacia
il nesso tra dignità umana e fraternità.
3. Le relazioni di interdipendenza tra i popoli e i valori di universalità.
“In questo periodo in cui la nostra civiltà rischia di implodere a causa dell’uso patologico delle sue risorse di base, sembra davvero ora di prendere in considerazione un nuovo paradigma basato sul sentimento di unità e sul rispetto degli altri”
3.1. Come abbiamo già osservato, la globalizzazione ha acuito le relazioni di interdipendenza tra i singoli, i popoli e gli Stati. La globalizzazione fa si che si percepiscano in modo sempre più intenso i nessi di interdipendenza sul piano economico e politico tra gli Stati e ciò, purtroppo, aumenta il divario tra gli Stati nella misura in cui quelli con limitata capacità di autodeterminazione incontrano molte difficoltà a mettersi al passo degli Stati più progrediti. Il modello dell’interdipendenza da solo non giunge a mantenere la pace nel sistema, di qui l’importanza della fraternità in quanto essa esclude l’egocentrismo, l’irresponsabilità e punta al bene comune, alla cooperazione nel rispetto del principio di sussidiarietà (55).
In conseguenza del principio dell’interdipendenza “nulla di ciò che è
accaduto, sta accadendo o accadrà altrove può essere a priori ritenuto
ininfluente qui ed ora. Anche all’attore quotidiano tale principio si
presenta con evidenza in occasione di eventi drammatici, come le calamità
naturali, le crisi economiche e finanziarie, la paura generata dal terrorismo”
(56). L’interdipendenza produce conseguenze sulla vita quotidiana di noi
tutti: ”ogni fatto che accade alla Borsa di New York o a Bagdad si ripercuote
in tutto il mondo [...] ogni mattina ciascuno di noi prende un tè che
viene dall'India o un caffè che proviene dalla Colombia, oppure indossa
un maglione fatto a Taiwan con una maglietta di cotone egiziana o indiana;
si ascoltano le informazioni su una radio fabbricata in Giappone e tutto
il giorno, in qualche modo, viviamo senza saperlo una vita planetaria.
Siamo come un momento di un ologramma dove ciascuno porta con sé il microcosmo.
Ma malgrado tutto ciò, non abbiamo il senso di questa solidarietà” (57).
Interdipendenza significa, osserva Bauman, “che tutti dipendiamo l'uno
dall'altro. Qualunque cosa accada in un luogo può avere conseguenze globali.
Con le risorse e le conoscenze acquisite, le azioni di ogni essere umano
percorrono enormi distanze nello spazio e nel tempo. Ciò che facciamo
(o ci asteniamo dal fare) può influenzare le condizioni di vita (o di
morte) di persone in luoghi che non visiteremo mai o di generazioni che
non conosceremo. Questa è la condizione in cui, più o meno consapevolmente,
costruiamo la nostra storia comune... Essendoci liberati della maggior
parte dei limiti spazio-temporali che confinavano il potenziale delle
nostre azioni al territorio che potevamo sorvegliare, non possiamo sottrarre
noi stessi, né chi è condizionato dal nostro comportamento, alla rete
globale della dipendenza reciproca” (58).
L’interdipendenza ha implicazioni anche sull’organizzazione degli stessi
Stati in quanto potrebbe favorire un assetto cosmopolita: “Il sistema
internazionale è composto dall’aggregazione di Stati sovrani. Si chiama
sistema perché appunto i vari componenti sono legati fra di loro da un
normale processo d’interdipendenza. Tenendo conto della realtà attuale
si afferma che nessuno Stato può rinchiudersi su se stesso. Sono numerosi
gli studiosi di politica, di sociologia politica, di economia, di diritto
internazionale [che vedono] nell’interdipendenza uno strumento in grado
di creare le condizioni per accrescere le ragioni della pace e della sicurezza
internazionale. L’interdipendenza presuppone un insieme di legami, rapporti
socioeconomici, culturali e politici che fanno sì che i comportamenti
di uno dei componenti hanno conseguenze su tutto il sistema. Nell’interdipendenza
gli uni devono contare sugli altri” (59). Non a caso, il “diritto fraterno
affacciatosi timidamente nell’epoca delle grandi rivoluzioni ritorna oggi
a riproporsi in una epoca che vede logorarsi la forma statale delle appartenenze
chiuse” (60).
Alcuni si auspicano, infatti, il passaggio dal diritto internazionale
degli Stati sovrani ad una “qualche forma di diritto cosmopolita” che
si prenda cura delle questioni dell'ambiente, dello sviluppo, della pace
e della guerra, ovvero delle questioni che superano le frontiere degli
Stati ed esigono un superamento della logica meramente individualista
di interesse riferita a persone, gruppi, classi o Stati (61).
Beck sostiene che stiamo già subendo in via di fatto una sorta di cosmopolitizzazione
inconsapevole: “la prospettiva nazionalistica, che equipara la società
con i cittadini della nazione stato, ci rende ciechi davanti al mondo
in cui viviamo. Per poter afferrare la correlazione tra popoli e popolazioni
di tutto il globo, occorre innanzitutto una prospettiva cosmopolita. Il
comun denominatore del nostro pianeta così densamente popolato è la "cosmopolitizzazione",
che sta a indicare l'erosione dei confini che si frappongono tra mercati,
stati, civiltà, culture e non da ultimo tra le esperienze di vita dei
vari popoli. Il mondo non ha perduto certamente le sue frontiere, ma questi
tracciati si fanno sempre più sfocati e indistinti, e diventano permeabili
al flusso di informazioni e capitali... A mio avviso, è importante che
la cosmopolitizzazione non avvenga... al di sopra della testa delle persone,
ma che prenda corpo nella vita di tutti i giorni degli individui” (62).
L’idea di interdipendenza e il bisogno di uno “diritto cosmopolita” non
sono nuovi, come abbiamo già evidenziato. Ad esempio, Kant ”introduce
lo ius cosmopoliticum non solamente come una mera esortazione etica, ma
quale principio autenticamente giuridico. Per lui, è la stessa natura
del creato che induce all’interdipendenza, perché la forma sferica della
terra non consente a nessuno di isolarsi veramente, e per quanto si tenti
di allontanarsi da qualcuno il risultato non potrà essere che avvicinarsi
ad altri. È per questo, osserva Kant, che gli uomini si trovano «in un
perpetuo rapporto di ognuno con tutti gli altri», per cui «il male e la
violenza commessi in un punto del nostro globo, vengano avvertiti anche
in tutti gli altri». Al principio dell’interdipendenza si accompagna il
conseguente argomento che i beni e gli interessi di tutti e di ciascuno
sono necessari per il perseguimento del proprio. Potremmo definirlo come
principio del comune destino: esso afferma che le determinazioni sostantive
dei beni perseguiti da attori, gruppi e comunità entrano in un rapporto
organico fra loro. Per cui ogni determinazione del fine/bene perseguita
da un attore, un gruppo, una comunità, non può esulare dalla considerazione
sulle possibilità di realizzazione dei fini/beni di ogni altro” (63).
Evidentemente, la cancellazione delle barriere non produce automaticamente
effetti benefici e può accadere, infatti, che “via via che scompaiono
le barriere tra gli uomini, si moltiplicano gli antagonismi mimetici.
La caduta dei muri divisori, che credevamo fosse l’inizio di una storia
di pace, ha dato luogo, nel mondo contemporaneo, alla funesta oscillazione
tra un’omologazione che annulla le differenze e viola le identità, e una
reazione nazionalista e fondamentalista che, per difendere la peculiarità
della propria, la contrappone alle altre” (64).
Recentemente, Bergoglio ha ricordato che “il numero sempre crescente di
interconnessioni e di comunicazioni che avviluppano il nostro pianeta
rende più palpabile la consapevolezza dell’unità e della condivisione
di un comune destino tra le Nazioni della terra. Nei dinamismi della storia,
pur nella diversità delle etnie, delle società e delle culture, vediamo
seminata così la vocazione a formare una comunità composta da fratelli
che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri.
Tale vocazione è però ancor oggi spesso contrastata e smentita nei fatti,
in un mondo caratterizzato da quella “globalizzazione
dell’indifferenza” che ci fa lentamente “abituare” alla sofferenza dell’altro,
chiudendoci in noi stessi. La globalizzazione [...] ci rende vicini, ma
non ci rende fratelli” (65).
L’interdipendenza ha comunque il pregio di mettere in luce la natura relazionale
della nostra coscienza e delle forze che governano la terra: ”parliamo
in continuazione di accesso e inclusione in una rete globale di comunicazione,
ma parliamo molto meno del perché, esattamente, vogliamo comunicare gli
uni con gli altri su una scala così planetaria. Si avverte la grave mancanza
di una ragione generale per cui miliardi di esseri umani dovrebbero essere
sempre più connessi. Qual è lo scopo di tutto ciò? Le sole, deboli spiegazioni
finora offerte sono la condivisione di informazioni, l'intrattenimento,
gli scambi commerciali avanzati e la velocizzazione della globalizzazione
economica [...] il punto è che l'aumento della connettività ci sta rendendo
sempre più consapevoli di tutti i rapporti che compongono un mondo così
complesso e vario. Una nuova generazione sta cominciando a vedere il mondo
sempre meno come un deposito di beni da espropriare e possedere, e sempre
più come un labirinto di relazioni cui accedere” (66).
L’interdipendenza rinnova la percezione di una unione anche di matrice
organicistica (su cui torneremo in seguito) tra i popoli e tra le persone:
“Se la necessaria interdipendenza degli uomini nella vita sociale è un
dato evidente, la scienza ha dimostrato, a sua volta, soprattutto con
Louis Pasteur e le sue scoperte scientifiche, che tutti gli organismi
viventi sono parti di una più ampia e complessa struttura a cui ognuno
è necessario non meno di ciascun altro, ulteriore conferma dell’idea che
l’uomo non è mai libero da vincoli nei confronti dei suoi simili e non
può più essere pensato come una monade autosufficiente all’interno di
un corpo sociale sempre più complesso e articolato. L’interdipendenza
diviene, perciò, la novità scientifica socialmente rilevante: la definizione
dei bisogni del singolo è possibile solo in riferimento alle molteplici
relazioni che egli intesse nella società. Riconoscere un legame forte
e normativo tra gli individui ne preserva l’integrità e i diritti, perché
ne rispetta la reale esistenza, ma soprattutto preserva l’ordine, ora
fondato sulla necessità e sul vantaggio dello stare insieme” (67).
La percezione dell’accresciuta interdipendenza conduce a riflettere anche
sull’universalità quale caratteristica coessenziale della fraternità.
L’appello alla fraternità è, infatti, anche un appello alla fraternità
universale, giacché la fraternità per essere tale non può che essere universale,
cioè essa non può non implicare l’unione di tutti i popoli. Nella storia
passata abbiamo già sperimentato fraternità parziali, cioè riferite a
un parte e non al tutto e queste non si sono rivelate risolutive dei conflitti
(modulo 2). Parimenti, il ricorso a semplici
modelli di coordinamento tra Stati separati non può ritenersi sufficiente
in ragione del perdurare al loro interno dei germi di separatività. Non
appare risolutiva la semplice riduzione dei poteri delle sovranità statali
a vantaggio di istituzioni politiche di global governance.
Si è rilevato che “limitarsi alla riconfigurazione, pur importante e per
molti versi indispensabile, della governance solo nel senso di un allargamento
degli attuali organismi o degli attuali «formati» (dal G8
al G14,
al G16 o al G20)
risponderebbe solo ad una parte del problema... Oggi si parla della necessità
di rifondare le istituzioni finanziarie multilaterali; ma si parla assai
meno... dell’esigenza di rivedere profondamente anche le Nazioni Unite
ed il loro sistema di governo, in senso più paritario, rappresentativo,
democratico… Il mondo ha bisogno di ampliare i canali di partecipazione
e di responsabilità, a livello di istituzioni internazionali, a livello
di governi, a livello di una cittadinanza attiva che non resti confinata
negli ambiti nazionali. La fraternità ci suggerisce un progetto di unità
nella distinzione, l’idea cioè di un’Autorità mondiale a carattere pluralista
e a diversi livelli di sussidiarietà” (68).
Osserva Attali
che è “la prima volta che succede nella storia: ci ritroviamo in un mondo
senza governo. La globalizzazione dei mercati non si è accompagnata alla
globalizzazione del diritto. Questa è la fonte dei nostri malanni... Un
giorno l'umanità capirà che la strada più vantaggiosa è quella di costituire
un governo democratico del mondo, che superi gli interessi delle nazioni
più potenti, protegga l'identità di ogni cultura... È interesse generale
dell'umanità. Pensare ad un governo mondiale non è illusorio; la storia
ha molta più immaginazione di qualsiasi romanziere. Bisogna senza dubbio
attendere che catastrofi di ordine finanziario, ecologico, demografico,
sanitario... facciano capire agli uomini che i loro destini sono comuni.
Essi prenderanno allora coscienza delle minacce sistemiche che hanno di
fronte” (69).
3.2. Malgrado queste gravi problematiche e forse anche grazie ad esse,
la fraternità è andata acquisendo nel corso della storia, “un significato
universale, arrivando ad individuare il soggetto al quale essa può pienamente
riferirsi: il soggetto “umanità”, l’unico che garantisce la completa espressione
anche agli due principi, di libertà e di uguaglianza” (70). Anche la Lubich
ha sottolineato che “conoscendo innumerevoli persone, gruppi, popoli,
ho constatato che la tensione all’unità, alla fraternità è un’aspirazione
insopprimibile che va facendosi strada. Ho scorto dovunque il progredire
dell’umanità, un passo dopo l’altro, fino a poter affermare che la sua
storia altro non è che un lento, eppure inarrestabile cammino verso la
fraternità universale. Ma si tratta di un cammino che va accompagnato
e sostenuto“ (71). La fraternità, osserva Aïvanhov, per essere tale deve
essere universale e deve, logicamente e necessariamente, convergere verso
unico centro e per tale ragione occorre arrivare ad una Pan-Terra cioè
ad unica famiglia (72). Anche Rajendra
Pachauri, Nobel 2007 per la pace, sostiene che “siamo un unico universo,
siamo un’unica famiglia” (73). Morin propone nella sua prospettiva l’unione
umana quali cittadini della Terra patria o quali cittadini della società-mondo
(74). Per Rifkin “la predisposizione all'empatia che fa parte della nostra
biologia è un'opportunità per riunire sempre più la razza umana in un'unica
famiglia allargata, cosa che richiede un continuo esercizio” (75).
Leonardo
Boff invita “a prendere coscienza che viviamo una nuova tappa della
storia dell’umanità e della Terra stessa: la tappa planetaria. Con essa
diventa chiaro che tutti abbiamo un destino e un futuro comuni. Dobbiamo,
come sottolinea la Carta
della Terra, «formare un’alleanza globale per prenderci cura gli uni
degli altri e del pianeta, se non vogliamo rischiare la nostra stessa
distruzione e quella della diversità della vita». L’ethos da costruire
deve tener conto della prospettiva basilare della mondializzazione così
come ci viene presentata dalla nuova cosmologia... La Terra appare come
una totalità fisico-chimica, biologica, socio-antropologica e spirituale,
una e complessa” (76).
In questo periodo in cui la nostra civiltà rischia di implodere a causa
dell’uso patologico delle sue risorse di base, sembra davvero ora di prendere
in considerazione, osserva Michtel,
un nuovo paradigma basato sul sentimento di unità e sul rispetto degli
altri: “una simile trasformazione merita tutti gli sforzi necessari. La
mia opinione è che il prossimo passo nella nostra evoluzione sia quello
che implica la scelta e la scoperta della personale ricompensa insita
nel comportamento altruistico. L’unità degli esseri viventi è riconosciuta
ai più profondi livelli della cosmologia. Questa unità ci impone di comprendere
che tutti noi, su questo pianeta, o risolviamo questi problemi insieme,
o insieme moriremo” (77).
Nel lontano 1552 il giovane Étienne
de La Boétie, amico di Montaigne,
presentava il valore dell’unità degli uomini nei seguenti termini: “la
natura ci ha fatto tutti di una medesima forma, e come sembra col medesimo
stampo, affinché noi ci si riconosca scambievolmente tutti compagni o
meglio fratelli. Le persone devono vivere aiutandosi vicendevolmente,
perché la natura non ha inteso porre gli uomini in questo mondo come in
un campo di battaglia, come briganti armati... non voleva farci uniti
tutti, ma tutti uno“ (78). Nessuno, dunque, come affermava Nelson Mandela,
è nato schiavo, né signore, né per vivere in miseria, ma tutti siamo nati
per essere fratelli.
Finché non lavoriamo per la fraternità universale, osserva Aïvanhov, lavoriamo
contro di noi perché non sviluppiamo la nostra vera natura: “perché siamo
venuti sulla terra? Per imparare a vivere come fratelli di tutti gli uomini.
Se attraverso le nostre varie attività non ci sforziamo di comportarci
correttamente con gli altri, per comprenderli, aiutarli e sostenerli,
non solo rendiamo loro la vita difficile, ma danneggiamo anche la nostra”
(79).
Martin
Luther King affermava: “ho il sogno che un giorno gli uomini si renderanno
conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli; e che la
fratellanza diventerà l’ordine del giorno di un uomo di affari e la parola
d’ordine dell’uomo di governo” (80). Anche Gandhi
nella stessa direzione sosteneva: “la mia missione non è semplicemente
la fratellanza dell’umanità indiana. Ma attraverso l’attuazione della
libertà dell’India, spero di attuare e sviluppare la missione della fratellanza
degli uomini” (81).
L’aspirazione a un’età di pace e di giustizia non è stata, dunque, fagocitata
dagli insuccessi delle organizzazioni politiche e religiose. Oggi molti
hanno compreso che il ricorso alla violenza verbale, fisica, psichica,
nelle sue variegate forme, non può generare un mondo migliore e in ragione
di ciò le diverse aspirazioni alla fraternità convivono quasi pacificamente.
Anche se deboli sono ancora i segni di unione fra le molteplici voci.
Se aderiamo a questi appelli secondo i quali la fraternità corrisponde
a uno stato ragionevole da raggiungere, allora, certamente occorre impegnarci
e non attendere il cambiamento dagli altri. Questo percorso di fraternità
deve fattivamente partire dallo sforzo individuale. Non possiamo essere
inerti e demandare ad altri: “come scrisse Norberto
Bobbio: «Coloro che affermano che il mondo andrà sempre così com'è
andato sinora contribuiscono a far sì che la loro previsione si avveri».
Perché si possa kantianamente parlare di «progresso morale» dell'umanità
è importante non solo una ortodossia, ma anche una ortoprassi di tutte
quelle persone, gruppi e istituzioni che si propongono di realizzare l'ideale
regolatore del Regno di Dio, di cui parlano i Vangeli o del regno dei
fini come diceva Kant nel suo linguaggio secolarizzato. Dobbiamo perseverare
su questo cammino, con l'ottimismo della volontà e il realismo dell'intelligenza,
consapevoli che la realtà è molto più complessa e coriacea dei nostri
desideri” (82).
Anche Boff-Hathaway
pongono in evidenza che “la convinzione che le grandi trasformazioni siano
impossibili diventa una profezia che si autoavvera. È ovvio che le attuali
strutture di potere costituiscono un ostacolo concreto al cambiamento,
ma uno degli espedienti con cui lo bloccano è proprio sfruttando e rafforzando
il nostro senso di impotenza: il mondo può essere cambiato. Una delle
ragioni principali per cui rimane com'è risiede nella profonda convinzione
che nulla possa cambiare né cambierà. Si tratta di un'evoluzione del tutto
nuova nella storia. Nelle epoche precedenti, il motivo per cui tutto rimaneva
fermo aveva poco a che fare con le opinioni, le convinzioni e la percezione
di sé” (83). Oggi l’acquisizione del consenso è un elemento fondamentale
per avere il potere di governare. Ritenere che il cambiamento sia utopico
o impossibile vuole dire esprimere il proprio consenso al mantenimento
dell’attuale forma di convivenza.
|
1.
F. Capra, Introduzione cit., p. 14.
2. Z. Bauman, Lontani e solidali, Corriere della Sera, 7 luglio 2001.
3. A.Lo Presti, L’idea di fraternità e il dibattito attuale sui fondamenti
della democrazia, Seminario “Fraternidad, Democracia e Instituciones”,
Pontificia Universidad Católica de Chile, 2011.
4. G.Tosi, op.cit., p. 546.
5. J. Rifkin, op.cit., p. 570.
6. O.M. Aïvanhov, La filosofia dell'universalità, Prosveta, 1996; Idem,
Pensieri Quotidiani, 30 dicembre 2004, Prosveta; P. Deunov, Le livre de
la Fraternité, Editions Ultima, 2010.
7. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 16 settembre 2007; Idem, “L’avvento
della Fraternità” in Opera omnia n. 25, Prosveta, 2005.
8. A.M. Baggio, Il principio dimenticato cit., p.16.
9. Z. Bauman, La società individualizzata, Il Mulino, 2002, p. 104. Osserva
Tosi, “nonostante la forza dei vincoli di sangue, non esiste nessun “istinto
naturale” che garantisca che questi vincoli siano fraterni nel senso di
solidali: quante lotte intestine attraversano le famiglie, quante violenze
si compiono dentro le pareti domestiche, quanti episodi di disaggregazioni
si registrano in quella che dovrebbe essere la “cellula della società”.
Non è per caso che la Bibbia registra, come primo atto della storia umana
dopo la caduta, un fratricidio: Caino uccide il fratello Abele! E quando
è interpellato da JHWH: «Dov’è Abele, tuo fratello?», egli risponde: «Non
lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen, 4, 9-10). Caino
era fratello nel senso carnale, ma non fraterno perché non si sentiva
responsabile per l’altro”, G.Tosi, op.cit., p. 527.
10. M.R. Manieri, Fraternità. Rilettura civile di un'idea cit., p.10.
11. B. Mattei, Solidarité ou Fraternité cit.
12. R. Mancini, Esistenza e gratuità. Antropologia della condivisione,
Cittadella, 1996, p.176.
13. F. Viola, in Forme storiche della fraternitas cit., p. 335.
14. P. Donati, Le associazioni familiari in Italia cit., p. 17.
15. A.M. Baggio, Dibattito intorno all’idea di fraternità. Prospettive
di ricerca politologica, Sophia n. 1/2008, Editrice Cittanuova, pp. 71-81.
16. U. Galimberti, Politica senza identità, Repubblica, 10 aprile 2001.
17. A. Sen, La crisi economica globale? Colpa di liberismo e finanza.
È tempo di giustizia e libertà, Unità, 22 maggio 2010.
18. A.M. Baggio, Fraternità o solidarietà cit.
19. S. Mazzacurati, Psicologia della Fraternità, 2010, www.stefanomazzacurati.com.
20. J.Le Goff, Fraternità: un diritto che non esiste cit.
21. G. Galeazzi, Democrazia empatica, www.meicmarche.it.
22. A.Lo Presti, L’idea di fraternità e il dibattito attuale cit.
23. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 22 novembre 2005, Prosveta.
24. O.M. Aïvanhov, Seule la fraternité peut remédier aux inégalités entre
les êtres, Lettres Tèmatiques, Prosveta, 2013.
25. E. Morin, Liberté, Egalité, Fraternité cit.
26. C.D. Gonthier, La fraternité comme valeur constitutionnelle cit.,
p. 717.
27. G. Canivet, De la valeur de fraternité cit. Osserva una giurista canadese:
“On ne veut pas de liberté sans égalité. Ce serait une liberté immorale
réservée seulement à quelques uns. On ne veut d’une égalité sans liberté
sans le droit à la différence qui mène à une société homogénéisée. On
ne veut pas non plus d’une liberté sans fraternité, sans un minimum de
soutien alimentaire (de redistribution), de compassion et de participation
à la gouvernance. Au bout du compte, une réflexion critique et actualisée
sur la fraternité peut nous permettre d’actualiser les promesses de la
liberté et de l’égalité, voir de même réaliser celles de Paix, Ordre et
même… bon gouvernement” N. Desrosiers, Réflexions critiques sur les implications
de la fraternité, Facultè de droit, Université dé Montreal, 2011, cisdl.org/gonthier/publications.html
28. B. Mattei, Solidarité ou Fraternité cit.
29. S. Zamagni, Principio di fraternità in economia cit. Per Zamagni “civilizzare
il mercato significa comprendere che non c'è soltanto una dimensione acquisitiva,
ma anche una dimensione espressiva alla base del comportamento umano.
Occorre fare in modo che tutte le dimensioni dell'umano, e dunque anche
quella relazionale, siano riconosciute e opportunamente valorizzate [...].
La parola chiave che oggi meglio di ogni altra esprime questa esigenza
è quella di fraternità [...]. È stata la scuola di pensiero francescana
a dare a questo termine il significato che esso ha conservato nel corso
del tempo: che è quello di costituire, ad un tempo, il complemento e l'esaltazione
del principio di solidarietà”. Osserva Martinelli che il principio di
fraternità interferisce con il mercato perché questo opera sulla base
della razionalità utilitaristica e della libera circolazione dei fattori
di produzione, A. Martinelli, Progetto 89 cit., p. 43.
30. L. Boff - M. Hathaway, op. cit., pp. 110-11.
31. S. Zamagni, I beni comuni per il bene comune, Edizioni Casa della
Cultura, 2014.
32. L. Bruni, Beni comuni, Quella virtù da riscoprire per salvarci dall’estinzione,
Vita, 26 novembre 2010. Osserva questo economista che la fraternità “è
un legame tra le persone, cioè un rapporto e un laccio; ma senza riconoscimento
dei legami che ci uniscono gli uni agli altri non si esce dalla tragedia
dei commons, che è una tragedia dovuta alla mancata consapevolezza che
la vita in comune è una rete di relazioni tra persone, comunità e popoli,
una rete di relazione che la globalizzazione rende sempre più fitta e
intrecciata”. Cfr., infra, modulo
12/8.
33. Questa affermazione di Gonthier è riportata da G. Canivet, De la valeur
de fraternité cit.
34. J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, 1997, p. 61. Si
è osservato che “l'impegno straordinario di Rawls è proprio questo: provare
a pensare (in modo razionale) la fraternità all'interno delle istituzioni,
non come elemento "esterno" ma piuttosto intrinseco ai processi
politici stessi; vedendo in essa una tappa essenziale per raggiungere
«mature libertà» e «solida uguaglianza», e riaprendo la riflessione sul
trittico rivoluzionario e sul senso profondo che ha avuto e può avere
per la filosofia politica. Introdurre inoltre l'idea di fraternità, come
necessaria ed indispensabile per la realizzazione concreta dei due principi
di giustizia, significa accreditarla in linea teorica e pratica come possibile
categoria politica” M. Martino, La prospettiva della Fraternità nel pensiero
di John Rawls, Nuova Umanità, XXXII 2010, n. 190-191, pp. 549-566.
35. F. Viola, La Fraternità nel bene comune cit., p. 141 e segg.
36. J. Rawls, Una teoria della Giustizia cit., p. 101.
37. F. Caretta, Plausibilità scientifica della fraternità, www.mdc-net.org
38. P. Ionata, Nati per amare, Città Nuova, 2006, p. 93.
39. Abraham H. Maslow, Motivazione e personalità, Armando Editore, 1992,
p. 445.
40. I.M. Pinto, Costituzione e fraternità cit., p. 17.
41. Ivi, p.11.
42. O.M. Aïvanhov, “La distribuzione delle ricchezze. Comunismo e capitalismo,
due manifestazioni complementari”, in La conquista Interiore della Pace,
Prosveta, 1991.
43. B. Mattei, Solidarité ou Fraternité cit.
44. S. Zamagni, L’economia del bene comune, Città Nuova, 2008, p. 7.
45. M. Borgetto, La notion de fraternité en droit public français. Le
passé, le présent et l'avenir de la solidarité, LGDJ-Montchrestien, Paris,
1993, pp. 7-8.
46. A.M. Baggio, Fraternità o solidarietà? cit.
47. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 22 novembre 2005, Prosveta.
48. J.M. Bergoglio, Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale
della Pace cit.
49. B. Mattei, Solidarité ou Fraternité cit.
50. M. David, Le printemps de la fraternité, Paris, Aubier, 1992, p. 19.
51. Ibidem. Cfr. sul punto, anche il commento di M. Hunyadi, Dangereuse
fraternité cit.
52. S. Zamagni, Fraternità, sviluppo economico e società civile cit.
53. Idem, L’economia come se la persona contasse: Verso una teoria economica
relazionale, Paper 2006, Dipartimento di Scienze Economiche, Università
Bologna.
54. V. Dao, André Malraux, ou, La quête de la fraternité, Droz, 1991,
p.169.
55. R. Augustin, La fraternità nella prospettiva delle guerre asimmetriche
cit.
56. A.Lo Presti, L’idea di fraternità e il dibattito attuale cit.
57. E. Morin, Ripensare la Politica cit.
58. Z. Bauman, Lontani e solidali cit.
59. R. Agustin, La fraternità nelle guerre asimmetriche cit.
60. M.R. Manieri, Fraternità. Rilettura civile di un'idea cit., p. 27.
61. G.Tosi, op.cit., p. 546. Questo autore aggiunge che dal punto di vista
delle relazioni internazionali ci sono molti indizi del fatto che è sempre
più chiara la necessità di un diritto cosmopolita: ”nella società in cui
viviamo (ma anche nelle società che ci hanno preceduto) la politica è
sempre stata realisticamente governata da interessi personali e di gruppo,
ma proprio l'urgenza e la gravità delle questioni in gioco può "realisticamente"
promuovere la necessità di una soluzione diversa. Davanti ai pericoli
che minacciano la sopravvivenza dell'umanità possiamo prevedere scenari
opposti: pessimisticamente o realisticamente la «lotta di tutti contro
tutti» dello stato di natura hobbesiano, o il riconoscimento che stiamo
sulla stessa nave e dobbiamo trovare uscite collettive che possano salvare
tutti e quindi la formazione di un nuovo patto sociale mondiale per uscire
dallo stato di natura che esiste fra gli Stati e fondare uno stato civile”,
ibidem.
62. U. Beck, Sette tesi contro l'uomo globale, Corriere della sera, 11
dicembre 2007.
63. A. Lo Presti, L’idea di fraternità e il dibattito attuale cit.
64. G. Savagnone, Fraternità e comunicazione cit., pp. 41-99.
65. J.M. Bergoglio, Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale
della Pace cit.
66. J. Rifkin, op.cit., p. 550.
67. A. Mattioni, Solidarietà giuridicizzazione della fraternità cit.,
p. 33.
68. P. Ferrara, Fraternità politica e mutamento internazionale, Seminario
di studi “Una governance per la crisi. Politiche di fraternità universale”,
Camera dei Deputati, Sala delle Colonne, Roma, 16 marzo 2009.
69. J. Attali, Domani, chi governerà il mondo?, Fazi editore, 2012, p.
12 e segg.
70. A.M. Baggio, L'idea di "fraternità" tra due Rivoluzioni
cit., pp. 217-268.
71. C. Lubich, Convegno “Città per l’unità”, Rosario 2005, www.mppu.org.
Afferma la Lubich: “Come si potrebbe pensare la pace e l’unità nel mondo
senza la visione di tutta l’umanità come una sola famiglia? [Occorre esprimere
la spiritualità] in una nuova linea di vita, in uno stile nuovo assunto
da milioni di persone che, ispirandosi fondamentalmente a principi cristiani,
senza trascurare, anzi evidenziando, valori paralleli presenti in altre
fedi e culture diverse… porta in questo mondo, bisognoso di ritrovare
o di consolidare la pace, pace appunto e unità. Si tratta di una nuova
spiritualità, attuale e moderna: la spiritualità dell’unità, ut omnes
unum sint”, Discorso 17 dicembre 1996, Premio Unesco per l’Educazione
alla Pace, Parigi, www.focolare.org.
72. “Per il momento si crede ancora che queste idee siano irrealizzabili.
Si dice che sono utopie. Ma un giorno tutto sarà talmente realizzabile
e realizzato, che tutti ne saranno stupiti. Questa idea si fa strada,
si sta approfondendo ed a poco a poco tutti la accetteranno... attualmente
si vedono dei grandi progetti di Pan-Europa, Pan-Asia, Pan-America, Pan-Africa.
Certamente questo rappresenta un progresso gigantesco, ma in questo modo
non si risolverà nulla. C’è solo la “Pan-Terra” che può risolvere tutto...
cioè tutta la terra riunita in una sola famiglia. Altrimenti al posto
di un paese che agisce contro un altro paese, avremo una nazione che agisce
contro un’altra nazione. L’Asia contro l’Europa sarebbe meglio?” O.M.
Aïvanhov, Conferenza “L’idea della Pan-Terra”, 28 novembre 1966, in Opera
omnia n. 26, Prosveta. Il primo progetto moderno di una Europa unita risale
al 1923, anno di pubblicazione del libro “Pan Europa” scritto da R. de
Coudenhove-Kalergi.
73. Cfr. R. Pachauri, in E. Laszlo, M. Roveda, Felicità nel cambiamento,
2011, p.120 e segg., portale.lifegate.it.
74. Negli ultimi lavori, Morin impiega anche l’espressione società-mondo.
Questa nozione, rileva Manghi, pone in rilievo non soltanto la dimensione
storico-politica, o la dimensione politico-antropologica, ma anche la
dimensione immediatamente interattivo-sociale, S.Manghi, Educarci alla
Società mondo cit., p.108.
75. J. Rifkin, op.cit., p. 567.
76. L. Boff, In cerca di un Ethos planetario, www.leonardoboff.com. Il
testo della Carta della Terra è stato approvato nel marzo 2000, www.cartadellaterra.it.
77. E. Michtel, Una visione dallo spazio, in Felicità nel cambiamento
cit., p. 133.
78. É. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Jaca Book, Milano,
1979: “bisogna credere che la natura, dando agli uni di più, agli altri
di meno, abbia voluto porre le condizioni per un affetto fraterno che
tutti potessero esercitare, avendo gli uni la forza di recare aiuto, gli
altri bisogno di riceverne. Così dunque questa buona madre ha dato a tutti
noi la terra da abitare, mettendoci in certo modo in un'unica grande casa,
ci ha fatti tutti con lo stesso impasto così che ognuno potesse riconoscersi
nel proprio fratello come in uno specchio... a tutti noi ha fatto il grande
dono della parola per comunicare, diventare sempre più fratelli e arrivare
tramite il continuo scambio delle nostre idee ad una comunione di volontà;
ha cercato in tutti i modi di stringere sempre più saldamente il vincolo
che ci lega in un patto di convivenza sociale; insomma sotto ogni punto
di vista ha mostrato chiaramente di averci voluti non solo uniti ma addirittura
una cosa sola”.
79. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 16 febbraio 2007, Prosveta. Cfr.
Idem, Verso la grande famiglia in Opera omnia n. 29, Prosveta.
80. M. L. King, Discorso della vigilia di Natale 1967, in Il fronte della
coscienza, Sei, 1968, p. 2.
81. M. K. Gandhi, Antiche come le montagne, Comunità, 1970, p. 162.
82. G. Tosi, op.cit., pp. 546-547. Osserva Rawls che se “una società dei
popoli ragionevolmente giusta i cui membri subordinano il potere di cui
dispongono al raggiungimento di scopi ragionevoli non si dimostrasse possibile,
e gli esseri umani si rivelassero per lo più amorali, se non incurabilmente
cinici ed egoisti, saremmo forse costretti a chiederci, con Kant, che
valore mai abbia per gli esseri umani vivere su questa terra” J. Rawis,
Il diritto dei popoli, Einaudi, 2001, p. 16.
83. L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 166.
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Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità. |
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Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale |
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Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza. |
La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività. |
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Modulo 4. Il nuovo senso civico dello stare insieme in collettività, nella Rete della Vita. Il contributo della scienza .... Modulo 5. L’atto di cooperazione fraterna non è atto di impoverimento o di accettazione passiva dell’altrui egocentrismo Modulo 6. Perché il nostro “Io” si oppone alla cooperazione? Modulo 7. La nostra scelta avanti al bivio: Modulo 8. Il ruolo della coscienza e del modo di vivere per il cambiamento. Modulo 9. La moralità della vita vissuta condiziona i processi cognitivi.... Modulo 10. Gli apporti cognitivi dell’intelligenza del cuore. Modulo 11. Occorre superare il distacco tra cultura e modo di vivere... |
Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale... |
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Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche |